CASSANDRA » cinque.

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È da circa dieci minuti che scrivo e cancello. Le lettere color pece si materializzano sotto al tocco fugace dei pollici sui tasti bianchi del mio smartphone per poi scomparire più velocemente di quanto ci abbiano messo a comparire. 'Ciao, mi chiamo Alessia e ho vent'anni, quasi'. Opto per il nostro gioco e la luce diventa verde in meno di un minuto. 'Finalmente'. La sua risposta mi fa sorridere e lascio che le dita continuino a lavorare per me, immaginandolo per un attimo mentre corruga la fronte prima di sorridere a sua volta. 'Non ti presenti?' 'Non ho voglia di giocare' mi irrigidisco, non rispondo e lascio che continui lui. 'Voglio parlare' 'Di cosa?' Ok, so bene di cosa vuole parlare ma non so se sono pronta e anche se lo fossi, Andrea mi piace. Andrea mi fa stare bene. Forse dovrei dirglielo? Che c'entra ora? Nulla. 'Di quello che ti ho detto l'altra sera' 'Vuoi seriamente darmi i dettagli del tuo bacio alla lavanda?' Acidità e sarcasmo, gli ingredienti principali della mia domanda. 'Come ti chiami?' lui mi ignora e passa oltre, sa bene che gli conviene se non vuole litigare. Infondo, mi conosce. 'Alessia', insisto e so bene che tra poco perderà la pazienza perché anche io conosco lui. 'Intendevo, come ti chiami davvero', 'Alessia' premo invio e aspetto. Scrive e cancella, questa volta è lui a non sapere cosa dire, a come dirlo. 'Ok. Ciao'. Sbatto le palpebre incredula avvicinandomi allo schermo del telefono e caccio un gemito di frustrazione. Vorrei far diventare rossa la mia luce e tornare a dormire ma non riesco. Non posso. 'Cosa diavolo pretendevi?' La violenza che uso contro ogni lettera fa pulsare le dita che veloci continuano ad inviare input. 'Hai dettato tu le regole, hai deciso tu di rimanere nell'ombra per due lunghi anni e sei stato sempre tu, a baciare un'altra. Quindi dimmi, cosa diavolo vuoi ora, da me?' Invio senza rimuginarci troppo sopra perché so bene che se lo facessi cancellerei le ultime parole e le sostituirei con un nome, il mio nome. Insomma lui è ventuno. E io? Io un idiota. Nessuna risposta. I minuti passano e lo sguardo rimane su quella chat, sul mio sfogo e su quella luce, rossa da ormai più di un quarto d'ora. «Molto maturo» borbotto e lancio il telefono sul letto che, ovviamente, rimbalza e cade a terra. Mentre mi avvicino prego con tutta me stessa di non aver fatto danni, oltre a quello fatto con ventuno, ovvio. Lo schermo è apposto, ma il cuore continua a battere in modo irregolare e si ferma non appena realizzo che probabilmente, questa volta è stata la volta. Ci fu un'altra occasione in cui litigai, pesantemente, con ventuno. La stessa litigata ma a parti inverse, continuavo a chiedergli il suo nome e lui dopo una quindicina di tentativi da parte mia, sbottò. Mi disse di farmene una ragione. Mi disse che erano "le regole" e che comunque non sarebbe cambiato nulla una volta saputo il suo nome. Lo salutai in malo modo, insomma diciamocelo, lo mandai al diavolo e non risposi ai suoi messaggi per circa un mese. Quando decisi di averlo fatto penare abbastanza e soprattutto, mi accorsi di stare peggio senza di lui, lo contattai promettendoli di non toccare più l'argomento, mai più. È così difficile. Stringo il telefono e mi lascio scivolare sul pavimento freddo lasciando andare la testa e abbandonandomi al buio. È così difficile?

«Cioccolato bianco e malaga» gli occhi della ragazzina bionda dietro al bancone mi scrutano indignati. È la terza volta che le faccio ripetere la sua scelta e sinceramente non ricordo neppure adesso il primo gusto. «Ci penso io» la voce di Emma mi da una scossa e il suo fianco snello mi spintona nell'angolo mentre con la paletta affonda nel cioccolato bianco. Certo, cioccolato bianco. Lo ricordavo. Sorride alla ragazzetta bionda e si scusa con lo sguardo. Una volta aggiunta anche la malaga, il gusto che ricordavo sul serio, le porge il gelato e io non posso far altro che guardare i suoi fianchi ondeggiare verso l'uscita. «Che diavolo hai oggi?» Sussurra Emma piantandosi entrambe le mani sui fianchi. «Vuoi che Piero ti licenzi?» «Ho dormito male Emma» taglio corto e lei mi scruta, mi fissa e so cosa sta facendo. Mi sfida a mentirle ancora. Abbasso lo sguardo colpevole sulla punta delle scarpe. «Si tratta di ventuno» «Lo sapevo!» Esulta quasi e la mia occhiataccia frena il suo entusiasmo. «Scusa. Che è successo?» Si avvicina e io lascio cadere lo sguardo sulle coppette vuote color cipria spostandolo subito dopo sui cucchiaini. Il contenitore è quasi vuoto e posso contare quelli rimasti. Sette, sono sette. Devo ricordarmi di andarli a prendere. «Abbiamo litigato» farfuglio cercando il suo sguardo e lei annuisce seccata, «Per via di Andrea?» Andrea. In tutto questo non ho più risposto al suo messaggio stamattina. «No, Andrea non c'entra». Le racconto del mio tentativo di riconciliazione dopo l'altra sera. Le racconto del suo chiedermi di diventare "reale" e soprattuto le racconto del mio rifiuto e del mio sfogo. «Perché?» Sono confusa, mi aspettavo una sfuriata da parte della fan numero uno di ventuno, invece la calma nella sua voce mi spiazza e mi lascia senza parole. «Perché?» Ripete la sua domanda accorgendosi probabilmente della mia sorpresa, della mia confusione. «Perché sono stanca di giocare» «Mi sembrava di aver capito che anche lui lo fosse» apro la bocca per risponderle ma le parole non escono e due bambini entrano saltellando con un paio di monetine strette tra le loro piccole mani. Sospiro e faccio spallucce mentre Emma si appresta a servire i bambini dai capelli scuri. «Vado a prendere i cucchiaini» lei annuisce spalmando sul cono una quantità esagerata di fragola e io sparisco dietro la porta scura dello sgabuzzino. Perdo tempo, fingo di cercare quello che in realtà ho sotto al naso e rubo uno di quei biscotti alla cannella che Piero adora e nasconde qui per evitare che Emma glieli finisca tutti. Biscotti personali di Piero. Biscotti che noi finiamo e ricompriamo ogni giorno. Finalmente mi decido ad uscire e quasi mi strozzo notando Andrea e un gruppetto di amici seduti ad un tavolo in fondo alla sala. Gli stessi che ho conosciuto la sera in cui mi ha salvata dal ballerino ossigenato e dal passare la serata a fare da terzo incomodo a Gabriel e la dentista. Mi accovaccio, mi nascondo dalla visuale e chiedo aiuto ad Emma. Non so perché, ma lo faccio. «Ehi». Non mi sente, continua a buttare gusti in coppe di vetro mentre canticchia una vecchia canzone dei Sum41. «Emma» insisto ma lei rimane intrappolata nella sua canzone e lotta con la nocciola. «Emma!» Alzo la voce e le lancio un cucchiaino che la supera cadendo un paio di metri dopo di lei. «Credo che non ti abbia ancora sentita» sobbalzo e porto lo sguardo dietro al bancone dove gli occhi di Andrea mi fissano divertiti da sopra al vetro. «Ciao Cass» deglutisco e avvampo «C-ciao» mi alzo lentamente e sistemo il grembiule bianco lisciandolo parecchie volte con le dita. Forse troppe volte. «Come stai?» Sento lo sguardo di Emma su di me, meglio tardi che mai eh. Non mi volto, resto su di lui. «Molto bene, tu?» Mento, la mia voce trema ancora e lui sorride, le fossette appaiono e mi mostra il suo tavolo con un cenno del capo. «Oh io sto bene. Sono qui con un paio di amici, ti avrei chiesto di venire ma non hai risposto» abbassa un attimo lo sguardo sulle mie dita e io faccio lo stesso accorgendomi solo ora che le sto torturando. Quando rialzo lo sguardo il suo mi aspetta e nascondo le mani dietro alla schiena tirando un sorriso «Mi dispiace» «Non sapevo lavorassi qui» «Sono piena di sorprese» la mia risposta stona non appena esce dalle labbra e si materializza in mezzo a noi e sento il viso andare a fuoco. Insomma, che diavolo di risposta è? Poi il caos, gruppi di ragazzini cominciano ad entrare e a formare file irregolari un po' ovunque. Ringrazio il tempismo della campanella del liceo. «Scusa, devo andare». Andrea torna al suo tavolo e il suo sguardo è mio, come al solito. E forse ora un po' la maledico, la campanella.

Una trentina di coni croccanti e coppette colorate dopo ho il grembiule a macchie profumate e colorate. «Odio il martedì» Emma sorride ricordandomi che ogni giorno dico la stessa cosa cambiando, ovviamente, il soggetto. «Hai un tavolo da sparecchiare» mi ricorda lei con un sorriso divertito sul volto. «Se ci vai tu prometto di fare le pulizie di chiusura ogni giorno per un mese intero!» Ci pensa, porta le dita sulle labbra picchiettandole velocemente e finalmente annuisce. Sto per tirare un sospiro di sollievo quando lei mi guarda ridacchiando e capisco. Stronza. «Ti odio» sussurro afferrando un vassoio vuoto ed avviandomi a passi molto lenti verso il tavolo di Andrea. «Ciao ragazzi» Andrea mi sorride e posa la mano sul mio braccio «Vi ricordate di Cass?» Cala il silenzio e mi mordo l'interno guancia maledicendo Emma per l'ennesima volta. «Lavori qui? Adoro questo posto» la voce di Filippo rompe il silenzio e l'imbarazzo. I suoi occhi scuri mi fissano e il suo sorriso si trasforma in una buffa smorfia quando Martina, la sua bella ragazza bionda, gli punzecchia la pancia con un un unghia laccata di verde «E comincia a vedersi, non credi Cass?» Mi sfugge una lieve risata e lei mi saluta con un ciao sussurrato che ricambio con un sorriso. «Dobbiamo star qui tutto il giorno?» Ambra si intromette ma nessuno le risponde. Stringe le labbra colorate di rosso e borbotta qualcosa. Ha i capelli raccolti in una treccia laterale e gli occhi truccati lievemente, uno spruzzo di lentiggini le colorano il naso che in questo momento arriccia accorgendosi che la sto fissando. Faccio scivolare lo sguardo velocemente su Ale, o Vale, non ho capito il suo nome quella sera. A dire il vero non si è mai presentato. Ho rubato il suo nome a metà dalle labbra dell'altra ragazza che era con noi ma che oggi, non è qui. Credo si chiamasse Arianna. I suoi capelli color miele sono nascosti da una pesante cuffia nera fatta eccezione di qualche ciuffo ribelle e il suo gelato è sciolto nella tazza, il cucchiaio continua ad affondare e tornare a galla con un ritmo ipnotico che mi ritrovo a seguire anche troppo a lungo. «Cass?» La mano di Andrea mi sventola davanti al viso e finalmente ritrovo il suo sguardo. «Allora, sarai dei nostri?» «Eh? Certo». Per cosa? Sto per chiederlo ma lui mi regala uno dei suoi meravigliosi sorrisi e io non posso far altro che ricambiare come un idiota.

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