CASSANDRA » dieci.

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Sono circa venti minuti che rispondo a domande, alcune al limite dell'assurdo, che ventuno non si stanca di pormi. Ho dovuto specificare cose tipo: la marca di dentifricio che preferisco e la tonalità di azzurro presente nel microscopico filo che per sbaglio, ho tirato dal mio cardigan circa un mese e mezzo fa. Dal canto mio sono riuscita a scoprire che gli piace il vino rosso, mangia pizza almeno tre volte a settimana e suona il piano. Suonava il piano. Ha smesso circa un anno e mezzo fa e non ha più ripreso. Dice che un tempo suonare lo rilassava, gli regalava una sensazione di benessere e pace che oramai, ha perso. Rilasso i muscoli della schiena incurvandomi leggermente in avanti. 'Hai fratelli o sorelle?' Sputo un'altra domanda, avida. Passano circa cinque minuti e mi saltano in bocca venti orsetti di gomma, prevalentemente rossi, prima che la sua risposta arrivi. 'Due fratelli, sono il più grande' 'Quanti anni ha il più piccolo?' Visualizza e non risponde. Per un attimo credo che si sia addormentato o che abbia capito che il mio è un modo piuttosto contorto di arrivare alla sua età. Passano altri cinque minuti e inizio seriamente a pensare che Morfeo lo abbia rapito. La luce verde continua a fissarmi proprio come io, fisso lei. 'Avrebbe compiuto dieci anni, la settimana prossima'. Ingoio la notizia ma non prima di aver letto almeno un'altro paio di volte quelle sette, maledette, parole. Io non le trovo, le parole. Un 'Mi dispiace' scivola silenzioso dalle labbra, passa quasi troppo velocemente alle dita e si materializza sullo schermo. Ma lui sembra non vederlo. 'Tu, hai fratelli?' Il mio no non viene come al solito arricchito da un 'per fortuna', rimane solitario, rispettoso. Sembra passare un eternità, osservo la luce verde che lampeggia accanto al suo nome e mi maledico per essere stata così impicciona, inopportuna. 'È stato un incidente.' Trattengo il respiro e accarezzo piano lo schermo dello smartphone. 'Mia mamma lo stava accompagnando a lezione di chitarra, quando un neo patentato ubriaco ha avuto la brillante idea di addormentarsi alla guida.' Non dico nulla, qualsiasi frase mi venga in mente mi dà l'aria di essere inopportuna. 'È stato tutto inutile'. Respiro a pieni polmoni e invio un futile: 'Mi dispiace', un ripetitivo 'mi dispiace' al quale lui risponde con uno smile. 'Film preferito?' Cambia argomento. Le domande continuano e le risposte sincere, almeno da parte mia, non si fanno attendere. Non entriamo mai nella cerchia anagrafica, non oggi. Oggi va bene così. Sono le quattro del mattino quando mi saluta obbligandomi ad andare a letto. Sono le cinque quando finalmente gli do retta e sono le otto e mezza quando la sveglia mi spacca i timpani. Maledetta.

Accarezzo la testa pelata, o quasi, di Gabriel. «Perché?» Vedo dall'alto  il suo sorriso affiorare piano, la sua testa pesa sulle mie gambe e per un attimo smette di leggere. «Non mi trovi sexy?» Inarca un sopracciglio e aspetta ancorando le sue iridi alle mie. «Insomma, pelato è bello, no?» Una smorfia si impossessa delle mio viso e scuoto il capo senza rispondere. «Vuoi uscire stasera?» Faccio spallucce iniziando a disegnare cerchi invisibili sulla tempia di Gabriel. L'unghia passa leggera vicino all'occhio, sfiora la punta del naso e disegna il contorno delle labbra. Scende dal mento e si ferma sul cuore, dove diventa prigioniera della mano fredda di lui. «Cass, sono solo capelli». Annuisco e lui stringe le mie dita tra le sue. «Lo sai che odio i cambiamenti.» È il suo turno, ora è lui ad annuire e a lasciarsi scappare un sospiro. So che posso sembrare esagerata ma la mia vita è costellata da cambiamenti rivelatisi negativi. Per esempio? Un bel giorno, dopo quindici anni di matrimonio, mia madre decise di cambiare cornice alla foto di lei e mio padre, sostituendo quella nero pece con una dai colori più tenui. Risultato? Dopo solo una settimana, lo trovó a letto con un'altra. Nel suo letto, con un'altra. Con la sua cornice rosa tenue a fare loro da contorno. Per questo, ovviamente, volle cambiare casa. E nel trasloco, oltre a perdere una valigia pieno di vestiti e un paio di cartoni contenenti libri, morì Alfonso, il mio pesciolino rosso. Quando a quindici anni il dentista mi tolse l'apparecchio e il mio grottesco sorriso metallico sparì, decisi di confessare a Gabriel quanto in realtà tenessi a lui e per l'occasione mi consultai con la mia, ormai ex, migliore amica. Inutile dire che giorno dopo la trovai tra le sue braccia, bocca contro bocca e mani sotto i vestiti. Quindi scusate se i capelli rasati di Gabriel mi fanno pensare ad un cattivo presagio e non mi soffermo su quanto sia sexy e desiderabile. «A cosa pensi?» Mi fissa, aspetta, e per un attimo sono tentata di obbligarlo a promettermi che andrà tutto bene. Invece mi ritrovo a sorridere e a rispondere con un falsissimo : «A cosa mettere stasera.» Lui sorride a sua volta ma so che ha sentito la mia richiesta silenziosa. L'ha sentita e ha deciso di ignorarla.

Il posto scelto da Gabriel non mi entusiasma particolarmente. Un bar grande quanto il monolocale in cui abitavo due anni fa.In mezzo al nulla, dove la persona meno inquietante è il tizio vestito da pollo che abbaia ai clienti. «Bel posto» Il mio sarcasmo non passa inosservato, come potrebbe? Lui ridacchia soddisfatto e divertito dell'espressione disgustata che sfoggio senza il minimo ritegno. «Sapevo che ti sarebbe piaciuto», mi assesta una leggera spallata ed ecco che vado a sbattere contro al malcapitato seduto al bancone del bar. Lo sento imprecare e alzo le mani prima che possa rivolgere a me quelle dolci parole. «M-mi dispiace...» La macchia che gli decora la camicia bianca in un primo momento attira la mia attenzione. «Mi dispiace così tanto» alzo finalmente lo sguardo su di lui, aspettandomi il peggio ma è troppo impegnato a valutare i danni. «Sì, lo hai già detto» bofonchia irritato iniziando a tamponare la macchia. Quando finalmente i suoi occhi incontrano i miei ho un sussulto. «Ale?» Mi guardo in giro alla ricerca di Andrea. «Lui non c'è», sussurra non guardandomi neanche in faccia. Arrossisco, sono così prevedibile? «Sei qui con qualcuno?» Nella mia testa suonava meglio, giuro. Lui però non sembra farci caso e scuote il capo. «E tu?» Mi volto pronta a presentare il mio migliore amico ad Alessandro ma rimango a mezz'aria quando scopro che alle mie spalle non c'è nessuno. «Sarà andato in bagno» mi giustifico e lui annuisce. «Vuoi bere qualcosa?» Mi siedo accanto a lui senza rispondere e mi lascio coccolare da una coca-cola. Forse mi sbagliavo, l'uomo pollo è appena stato declassato.

'Parlami di lui.' Panico. Penso a mio padre e a quanto mi faccia male, ancora oggi, ricordarlo. Credo che una piccola parte di me sia ancora convinta che un giorno, il telefono squillerà e che, quella che sentirò dall'altra parte sarà la sua voce. Ma non succederà. Non siamo in un film di fantascienza. E benché continui a ripetermelo ogni singolo giorno, non è facile. 'Lui chi?' Il ticchettio che causano le unghie battendo sullo schermo rompe il silenzio. 'Del tuo ragazzo.' Respiro. Mi scappa una risata e mi limito ad un no come risposta. Il suo: 'Perché?' mi irrita e porto gli occhi al cielo, accompagnando il gesto con uno sbuffo. 'Ti sembra il caso?' Mi ritrovo ad odiare quel ticchettio che al contrario, prima, trovavo tanto piacevole. 'Siamo amici, o sbaglio?' Mi provoca. 'Non è il mio ragazzo', lo scrivo in fretta, con convinzione, ma poi, l'occhio cade sulla foto che Andrea ha scattato un paio di settimane fa. Le sue labbra sostano sulla mia spalla destra, i suoi occhi, come al solito, fissi su di me. Mi scappa un gemito carico di frustrazione e mi correggo con un sincero : 'Ci stiamo conoscendo'. Sperando segretamente in un magico cambiamento di discorso. La sua risposta però arriva in fretta e quel suo: 'Non mi piace' mi fa sorridere. 'Non lo conosci, non può non piacerti'. Il mio cuore perde un battito quando gli occhi rubano la risposta di ventuno. Rileggo il suo messaggio almeno una decina di volte. Ogni volta nella mia testa il tono cambia. Ma in qualsiasi modo lo legga, il cuore batte all'impazzata e minaccia di uscirmi dal petto dopo le prime tre lettere. «Non mi piace che tu esca con qualcuno che non sia io.» La mia voce trema mentre leggo ad alta voce. Tre puntini di sospensione compaiono sullo schermo ma le dita rimangono immobili aspettando un input qualsiasi. 'Sei ingiusto.' Mi limito a due parole che lui sembra non gradire. 'Seriamente, è questa la tua risposta?' Mi scappa un sorriso. Non ho mai conosciuto una persona più permalosa di ventuno. Permalosa e forse anche un po' capricciosa. Non sopporto che pensi che gli basti uno schiocco di dita per avere quello che vuole. Arrogante. Respiro e sventolo bandiera bianca, non voglio litigare e dopo averglielo detto mi abbandono al gusto del the alla vaniglia ormai freddo. La mia richiesta di pace però non viene accolta e la sua risposta stizzita mi obbliga a disconnettermi in fretta prima di peggiorare la situazione. Presuntuoso. Borbottando mi dirigo verso la cucina dove abbandono la tazza di the ormai vuota. «Idiota.» Mi lascio cadere sulla poltrona color senape e accarezzo lo schermo del cellulare. Ignoro l'icona della chat e slitto su quella dei messaggi. 'Buonanotte' un cuore accompagna l'augurio rivolto ad Andrea che però, non visualizza. Mi lascio cullare dalla voce di Maurizio Costanzo e grazie al suo continuo e incomprensibile borbottio, sogno. Peccato che il mio sogno sia sbagliato.

Un cuore a tutti quelli che continuano a leggere le mie parole, anche in silenzio.

VentunoWhere stories live. Discover now