VENTUNO » sei.

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La bocca di Giada accoglie la mia pelle con un gemito soffocato, fremo sotto al suo tocco e soffio aria calda dalle narici osservandola dall'alto. Ha gli occhi chiusi e rabbrividisco di piacere quando li apre sfidando il mio sguardo. Il mio respiro irregolare è l'unica cosa che riesco a sentire, chiudo gli occhi per un secondo abbandonando i suoi e quando li riapro lo schermo illuminato del cellulare cattura la mia attenzione. Lo ignoro, mi concentro su Giada. Sulle labbra di Giada e sui suoi occhi, che sono di nuovo chiusi. Maledizione. Mi concentro sul mio respiro, su Giada e sui suoi movimenti ma il telefono si illumina di nuovo e non posso fare a meno di pensare e sperare che sia lei. Mi irrigidisco ed improvvisamente il suo tocco non è più così piacevole. Giada alza gli occhi e si allontana lasciandomi andare completamente «Che c'è?» Scuoto il capo e le regalo un sorriso esausto, un sorriso spento. «Non è il caso». La sua espressione sorpresa si trasforma in vera e propria rabbia quando mi rivesto velocemente e afferro il telefono controllando quella chat, quella luce. «Non è il caso?» Gracchia e io annuisco aggiornando ancora un paio di volte sperando di poter dare la colpa alla lentezza del wi-fi. «Non è il caso?» Mi passo una mano tra i capelli e sospiro irritato. Irritato dalla biondina che continua a farmi la stessa domanda alla quale, tra parentesi, ho già risposto. E irritato da lei. Irritato dal suo maledetto silenzio. Irritato da quella luce rossa. «Non è il caso» ringhio e Giada sussulta arretrando di qualche passo per la sorpresa. «Insomma, mi dispiace ma non mi sento bene» mi correggo, inserisco pause a caso ed enfatizzo ogni parola per sembrare sincero, forse. Si lega i capelli in una disordinata coda di cavallo prima di regalarmi uno sguardo pieno di rabbia e delusione. «Sei proprio uno stronzo, lo sai?» Continuo a guardarla senza rispondere e lei, continua ad insultarmi bofonchiando a denti stretti diversi aggettivi per niente lusinghieri. La cosa triste è che la maggior parte di essi sono meritati, dal sottoscritto. «Hai una sigaretta?» Azzardo un sorriso e osservo le sue labbra schiudersi per la sorpresa. «Sei proprio uno stronzo» strilla di nuovo le stesse parole di poco fa e non posso far altro che annuire divertito «Lo hai già detto» sussurro, ma la porte sbatte e il rumore copre la mia voce. «Lo prendo come un no» sbuffo e ricontrollo per l'ennesima volta il telefono, luce rossa. Ovviamente.

Tutte le nostre parole si materializzano davanti al mio sguardo stanco una volta aperta la chat di lei. Sono passati meno di due giorni da quando abbiamo litigato, se così si può dire, e già mi manca. Rileggo la nostra conversazione o quel che ne rimane, visto che l'ultimo aggiornamento del telefono ha deciso di non includere il backup dei dati e di perdermi così, ogni cosa. Sei proprio una femminuccia. Il mio io interiore mi ricopre di insulti ma questo non mi impedisce di andare avanti nella lettura e di sorridere ad alcuni suoi vecchi messaggi. Rammollito. Ho conosciuto lei grazie al mio nickname; ventuno. 'Ventuno. Ventuno come i grammi dell'anima?' Avevo spudoratamente ignorato quel messaggio in un primo momento. Ero troppo impegnato a convincere missjulie a mandarmi una foto del suo decoltè  per curarmi di lei e la mia anima. Due ore dopo però, missjulie si era rivelata una puritana a cui piaceva giocare alla provocatrice ed a quel punto, le uniche persone online erano lei e un certo maradona123456. 'Non l'avevo mai vista così. Mi piace'. In realtà il mio nickname era per l'appunto, un tributo ai grammi che si dice, perdiamo, una volta morti. Ventuno. Ma lei non doveva saperlo per forza. 'Non dirmi che è il tuo anno di nascita' mi stava davvero chiedendo se fossi un novantenne arrapato? 'In realtà è un'unità di misura' ci aveva messo un po' a capire ma avevo deciso di dare la colpa all'orario e quando finalmente il 'sta scrivendo' era comparso, la batteria del mio stupido telefono mi aveva abbandonato. Solo un quarto d'ora dopo ero riuscito ad ottenere un misero cinque percento, ma la luce era ormai rossa. Lei, era sparita. Il giorno dopo però la luce si riaccese e lei rispose alla mia provocazione. Sono passati due anni. Faccio scattare lo zip sotto la Marlboro rossa che tengo tra le dita. L'odore di fumo e benzina si fondono e mi ritrovo a pensare che lei odia il fumo. Suo padre è morto a causa di un tumore, un tumore che lo ha divorato lentamente e in silenzio finché non ha deciso di urlare di colpo, facendosi trovare quando era ormai troppo tardi. Tumore regalatoli dalle quaranta sigarette giornaliere che si fumava. «Se vuoi cambiare fai pure, io esco» la voce di mio fratello mi obbliga a guardarlo. Addento un biscotto al cioccolato sfogando in esso tutta la mia frustrazione, la mia rabbia e la mia delusione nei confronti di quella ragazza. L'ennesimo biscotto della serata. Il quindicesimo, credo. «Dove vai?» Mi fingo interessato ma in realtà ho già smesso di ascoltarlo o forse, non ho mai iniziato. Uscirà sicuramente con la sua nuova ragazza e la porterà in quel solito, vecchio, bar. «Ok?» Mi fissa aspettandosi, sicuramente, una risposta e io annuisco dando la colpa alla bocca piena  per le mie mancate parole tornando poi a concentrare la mia attenzione al televisore e a Yaniv Schulman o Nev Schulman, se preferite. Insomma, a Catfish. «Sul serio amico, credi che una così parlerebbe con te?» Mi ritrovo a parlare con un televisore alle dieci di sabato sera, fantastico. Seguo con poco interesse il resto della storia e quando alla fine il povero malcapitato scopre di aver flirtato per oltre tre mesi con un tizio di due metri, di colore, con la passione per bugie e arte contemporanea di nome Greg, spengo il televisore e la sigaretta quasi simultaneamente.

Un capitolo piuttosto corto narrato da ventuno. Non mi entusiasma particolarmente ma vabbè. Siete bellissimi.

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