CASSANDRA » uno.

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Sono passate due settimane dal giorno in cui mio padre mi ha lasciata e credo di non aver ancor realizzato che, il suo lasciarmi, questa volta, sarà definitivo.

O forse mi fa comodo, non realizzare.

Mi trascino in bagno superando quella che era la sua camera e negandomi il piacere di sfiorare il legno scuro della porta come ero solita fare quando lui, era ancora qui.

'Buongiorno, mi chiamo Amelia, ho ventisei anni e soprattutto, ancora sonno' la luce rossa mi informa che lui non è online ma ciò nonostante premo invio e fisso il telefono per un paio di minuti sperando, come al solito, che quella luce diventi verde.

Quando due anni fa conobbi ventuno decidemmo di tenere le nostre identità "nascoste" e di presentarci ogni giorno, con un nome differente, inventando una vita che probabilmente, non avremmo mai potuto avere o forse, mai voluto.

'Giorgio, trent'anni oggi' gli faccio i miei più sinceri auguri e lui ringrazia offrendomi un pezzo di torta dopo il lavoro.

'Potrei accettare, attento' mi sistemo i capelli in uno chignon disordinato e mi dirigo verso la cucina regalando la mia completa attenzione al mio smartphone.

'Come stai oggi?' Cambia furbamente argomento.

'Bene' rispondo.

Mento e lui ne è consapevole. Prendo un paio di biscotti e la mezza bottiglia di latte sopravvissuta alle mie voglie notturne, cambio stanza, di nuovo.

«Ti ricordo che hai una casa» bofonchio prima di far mio un pezzo di biscotto e lasciando che un sorso di latte lo sciolga ancor più in fretta permettendomi di parlare nuovamente.

«E io, non ho bisogno di un baby sitter», mi lascio cadere sul divano osservando Gabriel.

«Mi hai sentita?» insisto inacidita.

«Purtroppo si!» Si lamenta lui voltandosi dall'altra parte e dandomi così le spalle.

La vibrazione del cellulare mi fa sobbalzare e il biscotto mi scivola dalle mani rotolando fino a sotto il divano, perfetto.

«Ciao, mamma» la sento parlare con qualcuno, la sento scusarsi e sento una porta sbattere.

«Cass?» Chi altro potrebbe chiamarla mamma? E anche se io avessi dieci sorelle, ha chiamato lei o sbaglio?

Decido di non agitarmi, di non agitarla e dopo aver preso un bel respiro silenzioso soffio un in direzione della cornetta, non privandomi comunque, del piacere di portare gli occhi al cielo.

«Oh devo aver sbagliato numero»

Bugiarda.

«Come stai, comunque?»

«Bene, tu?» In realtà non le importa e lo so bene. Proprio come non importa a me di come stia lei, e lei, lo sa bene.

«Lorenzo, il tizio delle pompe funebri, mi ha chiamata stamattina», se non conoscessi mia madre direi che è esitazione quella che sento nella sua voce quando fa una pausa di circa mezzo minuto facendomi scivolare dalle labbra un deciso e ruvido suono simile ad un incitamento a continuare, a finire quella frase che aspetto da circa due settimane.

Iniziavo a preoccuparmi in effetti, iniziavo a chiedermi quando avrebbe avuto il coraggio di pronunciarla.

«Vogliono i soldi, Cassandra» eccola, appunto.

«Come, non hai ancora pagato il funerale?» Decido di giocarmi la carta del sarcasmo e Gabriel si volta, concentra le sue iridi chiare su di me e io alzo le mie incontrando il suo sguardo divertito.

Lei non risponde, spiazzata dalla mia domanda che, quasi sicuramente, avrà preso sul serio.

Mi godo il silenzio per ancora un paio di secondi e quando la sento prender coraggio e aprir bocca la fermo, le dico che salderò il conto oggi stesso e senza aggiungere nulla abbandono lo sguardo di Gabriel portandolo sul tasto rosso, lo sfioro con il pollice e chiudo così la conversazione.

«Vieni anche tu?» Ma prima di tutto penso al biscotto, al biscotto sotto al divano.

[ • ]

'Oggi sono andata all'agenzia di pompe funebri, tutto puzzava di fiori li dentro. Fiori e legna arsa.'

Sono riuscita a convincere Gabriel, è finalmente tornato a casa sua così da regalarmi un po' di pace, di tranquillità.

'Ho un regalo per te'

'Pensavo che il compleanno fosse il tuo!' Mi fingo disinteressata ma in realtà fremo dalla voglia di sapere.

'Ti regalo una risposta sincera'. Rileggo quel messaggio un paio di volte prima di convincermi della sua autenticità.

Ok, forse più di un paio di volte.

'Dici sul serio?'

Lui mi manda un 'Sì' secco e mi ritrovo a sorridere.

Potrei chiedergli il suo nome completo e da lì cominciare una lunga, lunghissima ed estenuante ricerca. O forse, il numero di telefono così da poterlo chiamare e sentire, finalmente, la sua voce. Ho sempre dato per scontato che ventuno fosse un uomo ma se non lo fosse?

Potrei chiedergli questo, no? No.

'Allora?' Mi mette fretta ma non importa, prendo ancora tempo e per un attimo penso di chiedergli il suo giorno di nascita, magari oggi è davvero il suo compleanno.

Sapere dove abita non mi aiuterebbe, la mia speranza di incontrarlo, anche per caso, in Piazza della Signoria o in quella nuova gelateria biologica sparirebbe.

'Ci incontreremo, un giorno?' Ecco la mia domanda, l'unica della quale mi importi davvero la risposta.

'Pensaci bene, è questa la tua domanda?' Sembra stupito, probabilmente lui avrebbe chiesto altro.

'Sì, è la mia domanda'. Non stacco gli occhi dallo schermo, non stacco gli occhi da quel sta scrivendo e poi ecco il suono, la risposta.

'Sì' risponde in modo secco e mi strappa un sorriso.

'E quando?' Una volta premuto invio capisco l'errore, non ho neppure bisogno di leggere la sua risposta che nel frattempo lampeggia sotto i miei occhi.

'Ti avevo detto di pensarci bene...' Idiota.

Sbuffo sonoramente e chiudo la conversazione così, indispettita. Senza dargli il tempo di aggiungere altro.

Mi alzo dal divano ed ecco nuovamente quella porta scura, che al contrario di stamattina, sfioro.

VentunoWhere stories live. Discover now