Capitolo 52 : Qualcosa in più

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Non so dirvi quanto tempo passò, quanto rimasi immobile in quella posizione, quanto ascoltai il vociare del Governatore, quanto lasciai che il buio mi avvolgesse, ma ad un tratto udii un tonfo e poi vi fu solo un silenzio assordante. Ipotizzai che Philip si fosse accasciato a terra esausto o che avesse perso i sensi a causa del troppo alcool ingerito, perciò non indagai. Piegai la testa all'indietro, poggiandola a quel morbido materasso. Scorsi dalla finestra qualche briciolo di costellazione. Era una bella notte alla vista, non al cuore. Udii qualche passo in soggiorno. Bene, era sveglio. Ma almeno aveva smesso di fare baccano. Mi stropicciai gli occhi, percependoli leggermente umidi. Mia madre mi aveva insegnato a dare sfogo alle proprie emozioni, poiché ingabbiarle consiste soltanto nel rimandare il dolore o lo sconforto di qualche giorno, mese, producendo infine il doppio dell'intensità di esse. Procrastinare era controproducente. Niente da ridire al riguardo, ma adesso non ne ero proprio capace. Forse ero troppo stanca o forse volevo soltanto convincermi di ciò, come per fornire una scusa alla mia stessa coscienza. Insomma, un motivo valido per trasgredire ad un comportamento efficiente ed utile. La porta vibrò nuovamente, ma con differente impeto. Al di là vi era una leggera bussata. Se anche Philip si era dato una calmata, non avevo certo intenzione di farlo entrare o di aprire un dialogo. Ma la voce che giunse ai miei timpani fu inaspettata.

-Sono io.

Daryl? Mi alzai a fatica, percependo le gambe leggermente intorpidite a causa della posizione scomposta. Spalancai la porta quasi temessi un agguato o quasi pensassi di aver avuto soltanto un'allucinazione uditiva, ma l'arciere era proprio lì, su quel pianerottolo, su quello che era l'ingresso della mia camera. Mi guardò inespressivo, porgendomi il mio zaino. Lo afferrai e mi affacciai in corridoio, facendo capolino dallo stipite. Daryl parlò, come se avesse intuito il mio dilemma.

-È crollato sul divano. - spiegò sbrigativo.

Osservai la mano che stava cercando di nascondere dietro il busto, scorgendo le nocche sporche di sangue. Probabilmente aveva deviato il setto nasale a quell'ubriacone. Mi appoggiai alla porta, interrogandolo con lo sguardo. Volevo capire perché fosse venuto.

-Ti avevo detto che non ti avrei più permesso di startene qui. – parlò graffiante, entrando nella stanza senza permesso – Ma se proprio vuoi rimanerci, concedimi di restare.

Si sedette vicino alla finestra, essendo questa dotata di una specie di divanetto, e adagiò la balestra ai proprio piedi, tornando poi a fissare quel cielo brulicante di lucciole. Lanciai lo zaino sulla cassettiera e chiusi la porta, arrancando verso il letto. Mi sdraiai, dandogli la schiena. Fissavo quell'oggetto di legno pensando a tutti i calci e pugni che si era beccato nell'ultima ora. L'arciere era con me, avrei dovuto sentirmi protetta, al sicuro, eppure percepivo uno strano sentore nel mio animo, quasi provassi del risentimento nei suoi confronti. Insomma, Rick aveva detto la verità dopotutto, ma Daryl si era sempre comportato diversamente con me, come se non avesse mai detto quelle parole. Non aveva nemmeno cercato di negarle, di rifilarmi una scusa od una spiegazione. Sospirai, affondando le mani sotto al cuscino e rannicchiandomi come mio solito in posizione fetale.

-Finiremo mai quel discorso? – borbottai.

-Non era niente di importante.

Parlavamo senza guardarci. Egli scrutava quel manto blu ed io fissavo la sua ombra sulla parete di fronte, proiettata da un debole fascio lunare. Aveva un braccio poggiato sull'infisso della finestra e la mano gli solleticava il mento decorato da quel biondo pizzetto abbozzato.

-Perché sei qui?

-Per proteggerti. – rispose senza distogliere lo sguardo – Non voglio che ti succeda qualcosa.

Sorrisi, ma fortunatamente egli non poteva vedermi. Mi piaceva parlare senza essere scrutata in volto, mi sentivo più libera di assumere espressioni spontanee.

Una nuova vita || The Walking DeadWhere stories live. Discover now