Capitolo 9 : Giano

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La gelida aria del mattino mi investì, costringendomi a stringermi negli abiti in cerca di calore. La sfera color pesca si trovava ancora a metà strada, sospesa in quel soffitto azzurro. Poche nuvole in lontananza. Caricai il cavallo dello zaino e del borsone, lasciando su di me le mie bambine, le armi. Mi incamminai verso i cancelli, ansiosa di percorrere quel lungo tragitto. Gli altri dormivano ancora e ciò mi consentì di evitare saluti e spiegazioni. Solo Rick e Daryl erano a conoscenza della mia partenza, ci avrebbero pensato loro. Uno scarno stormo di uccelli sorvolò la prigione, spezzando la monotonia di quei suoni gutturali. Un leggero battito di ali. Accarezzai la chioma del destriero. Non gli avevo dato un nome, ma mi sopportava da un anno circa. Provavo una certa tensione all'idea di dover rivedere Philip, speravo di trovarlo di buon umore, altrimenti si sarebbe adirato molto se avessi provato a distoglierlo dall'odio che lo stava consumando. Nell'orto vidi ergersi al cielo una zappa, che ricadde subito al suolo. E così via, colpo dopo colpo. Quell'uomo doveva obbligatoriamente trovare del lavoro che lo impegnasse, gli era impossibile starsene fermo con le mani in mano. Un uragano. Passeggiai lentamente, osservandomi la scarpe. Stavo cambiando, diventando debole, e non mi piaceva. Lo sceriffo mi inquadrò sotto alcuni ricci pregni di sudore che pendevano sulla sua fronte.

-Non hai dormito, vero? - domandai a bassa voce, come se non volessi disturbare qualcuno o qualcosa.

Egli mi rispose, senza interrompere l'azione.

-Avevo delle cose da fare..

Lo squadrai, facendogli intendere che non ero una stupida.

-..insomma, non riuscivo a prendere sonno.

E conoscevamo entrambi il motivo. Non so perchè, ma non seppi trattenere quelle parole semi consolatrici, futili a se stesse.

-Andrà tutto bene, le cose si aggiusteranno.

Mollò la presa dell'arnese, asciugandosi i palmi bagnati sulla maglia grigia, e si avvicinò feroce.

-Perchè mi guardi così, con questi occhi tristi come se ti sentissi in colpa?!

Un grido soffocato il suo. Scontroso, incazzato, ma pur sempre con una certa postura. Non sembrava uno zoticone come l'arciere, Rick restava composto anche quando si alterava. Non fui pronta a rispondere, mi prese contropiede. Serio, sollevò nuovamente la zappa e riprese il proprio ruolo da contadino, invitandomi ad andarmene. Mi ero lasciata andare, per una frazione di secondi non avevo tenuto la parte della ragazza risoluta, esterna, ed egli lo aveva notato immediatamente. Scaltro, attento ad ogni minuzioso particolare, ed aveva fatto centro. Sì, io ero triste. Sì, mi sentivo in colpa. Non era successo ancora niente, ma sapevo benissimo che presto sarebbe accaduto qualcosa. Il problema, è che non avevo più intenzione di ucciderli, né di vederli morire. Cavalcando nel bosco, pensai e ripensai alla scena di poco prima. Continuavo a vedermi il volto dello sceriffo. La sua folta barba brizzolata, gli occhi accusatori. Non volevo distruggere la casa che si erano costruiti con tanta fatica. Era un padre, un amico, un capo. Aveva delle responsabilità e non si tirava indietro di fronte ad una minaccia. Combatteva per la sicurezza di tutti. Ero convinta che fosse stato anche costretto a compiere delle azioni che, nella realtà precedente, non avrebbe mai eseguito. Quindi, egli si trovava anche in lotta con se stesso, con la propria coscienza, morale. Era difficile buttarsi alle spalle il passato e concentrarsi solo sul presente, abbattendo tutte le vecchie regole. L'uomo ha la capacità di adattarsi, ma in quel caso non era così semplice come si teorizzava. Impossibile non scontrarsi con chi si era un tempo. Galoppavo veloce, vogliosa di un abbraccio, di parole rassicuranti. Dopotutto ero sopravvissuta da sola per mesi, ero tornata a casa e subito ero ripartita per una missione folle ed insensata. Tutto per colpa mia ovviamente. Quindi meritavo, esigevo comprensione e complicità da qualcuno. Amicizia, vera amicizia. Come quella che teneva stretto il gruppo del blocco C. Nel mezzo del cammino, un posto di blocco non mi consentì di procedere. Una bella folla massiccia di putridi si dirigeva proprio verso la prigione. Per un attimo pensai di tornare indietro, passando per una strada secondaria, in modo d'avvertirli. Ma subito cambiai idea, se la sarebbero cavata da soli, come avevano sempre fatto. Perciò, mi allontanai dalla mandria affamata, percorrendo un'altra via, sebbene più lunga. I gruppi di non morti avevano la tendenza ad emigrare. Prima divoravano tutto ciò che fosse di loro gradimento ed una volta ripulita la zona, si mettevano in viaggio su quelle loro gambe marce. Monotoni. Uno stile di vita molto semplice il loro. Durante il tragitto fui costretta ad ucciderne qualcuno. Sfruttai il tirapugni bilama, molto comodo nel combattimento ravvicinato. Essendo assai affilato, risultava una cavolata trafiggere quei crani, e poi mi piaceva alternare. Usare sempre lo stesso tipo di arma mi annoiava, era giusto anche allenarsi con le altre. Dopo un lasso di tempo che mi parve l'esattezza di tre ore, giunsi alla destinazione tanto bramata. Per mia sfortuna, fu di nuovo Martinez ad accogliermi.

Una nuova vita || The Walking DeadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora