Capitolo 27 : Nessuna Tregua

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Il mondo mi crollò addosso. Una fitta al cuore mi travolse, bloccandomi il respiro per una frazione di secondi. La mano che era poggiata sulle labbra per impedire un secondo conato, prese immediatamente un altro compito: evitare i singhiozzi. Le lacrime cominciarono subito a solcarmi le gote e la gola si strinse in una morsa dolorosa. Beth era lì, proprio di fronte a me, mutilata e sporca del suo stesso sangue. Levò i suoi occhi azzurri su di me, urlanti di scuse. Oltre alla sofferenza, nelle sue iridi vi era richiesta di perdono. Si sentiva in colpa, si era allontanata pensando di essere al sicuro. Mi buttai a terra in ginocchio, immergendomi nella pozza di sangue arterioso. Aveva una fasciatura provvisoria, ma la ferita non era stata cauterizzata. A giudicare dal sangue intorno, ne aveva perso molto, troppo. La sua pelle era pallida, lunare. Avvolsi il suo volto fra le mani, cercando di darle un po' di forza. Le toccavo le guance, le spostavo i capelli dorati dal volto e la strinsi a me, come se cingessi una bambina. No Cassie, non di nuovo. Per quanto cercassi di scacciare quelle immagini, mia sorella continuava ad occuparmi la mente. Gli stessi occhi marini, gli stessi capelli grano, la stessa innocenza. Fu come rivivere quel terribile momento. Ma adesso, le cose sarebbero andate diversamente. Beth, potevo salvarla.

-Non sei sola, ti ho trovato Beth. Siamo venuti qui per te, non preoccuparti.. Andrà tutto bene, d'accordo? – le sussurrai – Fidati di me.

Ella acconsentì con lo sguardo, tanto era debole. Mi dava l'impressione che avrebbe perso i sensi da un momento all'altro. Mi posizionai di lato per afferrarla e portarla in braccio.

-Ti farà male, ma cerca di restare sveglia. Non svenire, ti prego.

Beth piangeva, sicura di morire a breve. Feci un grande respiro e la tirai su. Soffocò un urlo, poggiando la bocca fra il mio collo e la spalla.

-Ce la farai, non azzardarti a mollare. Tienimi compagnia fino alla chiesa, intesi? – le ordinai dolcemente – Canticchiami qualcosa, ma non chiudere gli occhi.

Intonò un flebile motivetto a labbra serrate, ma bastava per far si che non si addormentasse. Obbligata a passare per la foresta, sapevo che l'odore del sangue avrebbe attirato i putridi, ma non vi era altra via d'uscita. Ad ogni passo veloce, una fitta alla coscia mi faceva digrignare i denti. Avrei sopportato. Immersa nella natura, cercai di tornare al punto di raccolta che avevamo contrassegnato, ma non c'era nessuno ad aspettarmi. La foresta era silenziosa, non udivo alcun sparo. Scacciai il pensiero che fosse successo qualcosa ai miei compagni. Probabilmente avevano raggiunto direttamente la chiesa in ritirata, o forse erano stati costretti a prendere una deviazione. Mi feci forza, sebbene le braccia cominciassero a farsi deboli. Beth era magra e minuta, ma pareva un macigno. Non ricordavo di aver posta tanta distanza dalla parrocchia alla scuola, ma ahimè il percorso sembrava infinito. Camminavo con difficoltà a causa del dolore pulsante e fastidioso, e la radura si estendeva sempre più.  Temevo di non riuscire a raggiungere in tempo il rifugio, Beth necessitava di cure immediate. Di colpo la canzone terminò e la ragazza abbassò le palpebre. Adagiai con delicatezza il mento alla sua fronte, avvertendo una temperatura alterata. Le stava salendo la febbre, la ferita si era infettata. La scossi un poco, il giusto per permetterle di riaprire gli occhi.

-Non ce la faccio.. – si scusò con voce tremolante – Sento di dover chiudere gli occhi.

-Sì che ce la fai. – insistetti – Sei forte Beth. Ci siamo quasi, non mollare proprio adesso.

Percepivo la canotta umida, non aveva ancora smesso di piangere.

-Avrò una protesi come papà?  - chiese con un filo di speranza.

-Più bella. – la incoraggiai.

La sua voce mi aiutò a stringere i denti e a continuare a camminare. Se pensavo a quanto mi facesse male la coscia, mi ricredevo considerando il dolore che potesse provare Beth, priva di una parte della gamba. Tutto mi ricordava Cassie. Non avrei mai potuto superare un'altra perdita simile. Stavolta non avrei fallito, stavolta sarei stata migliore. Con questo obiettivo ben fissato in testa, continuai la maratona. Dopo un miglio, mi abbassai per passare sotto a un ramo e scorsi la chiesa, compresi alcuni del gruppo che stavano di guardia. Non appena sbucai dal verde, mi trovai una balestra puntata contro, la quale, però, crollò a terra all'istante. Daryl ci guardava impietrito, sconvolto in volto. Osservai gli altri e nessuno osò avvicinarsi, come se non volessero accettare quell'immagine. Eravamo entrambe ricoperte di sangue, provate, ed ella menomata. Dopo quella frazione di secondi che mi parvero minuti interminabili, Daryl prese Beth fra le braccia  e corse dentro con Kio, pronto a fare tutto il possibile. Tyreese tirò un pugno alla parete, incazzato con se stesso, e seguì i due uomini. Si sentiva responsabile. Carol era statuaria come al solito, i muscoli facciali non evidenziarono un'espressione addolorata, ma le sue iridi si fecero lucide. Il figlio dello sceriffo e Sasha erano all'interno, quindi non potetti osservare le loro reazioni emotive, a differenza di Michonne che aveva la testa china, ma le mani strette in pugni. Rabbiosa. Rick fissava l'ingresso della parrocchia, immobile come se si fosse spento. Dalla spalla sinistra gocciolavano alcune lacrime di sangue. Era stato attraversato da un proiettile. Mi avvicinai a lui, arrancando. Avrei dovuto sedermi, non sforzare ulteriormente quel povero arto leso, ma in quel preciso momento pensavo a tutt'altro. La preoccupazione era troppa. Senza che aprisse bocca, egli parlò come se interrogato, farfugliando fra la folta barba brizzolata.

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