Capitolo 116

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Audrey's Pov

Mi sveglio e non faccio nemmeno in tempo a mettermi a sedere che subito mi distendo di nuovo a causa del forte giramento di testa. Che c'era in quel sedativo, la droga?
Aspetto qualche minuto con gli occhi aperti a fissare il soffitto bianco, per poi mettermi a sedere definitivamente e guardarmi un po' intorno.
Ti sei cacciata in un bel guaio Audrey. E sinceramente non mi importa. Mi butterei addirittura in un dirupo per Cameron.
Mi alzo e mi avvicino al portone di ferro, guardando fuori dalle piccole sbarre e notando che nella camera di fronte alla mia c'è un ragazzo affacciato che sta provando di spezzare le sbarre...con le mani. Proprio non capisco il senso di questi sotterranei se esiste il vero e proprio manicomio. Magari questo è per quei problemi lievi, ma comunque non credo sia legale.

-Si, ne abbiamo portati dentro altri due un'ora fa, anche se una non credo sia tanto malata e l'altro va portato al Fraderotar perché è molto grave- Fraderotar, l'ho già sentito. È il manicomio di cui mi ha parlato Cameron un po' di tempo fa, quello in cui è stato lui.
No, non può essere. Non può andare così, no, è tutto sbagliato. Questo non era il suo destino, il nostro destino.

-No!- urlo, sbattendo le ginocchia vicino alla porta per cercare di aprirla, inutilmente.

-Senti devo andare, uno dei due pazienti si è svegliato...si, ti faccio risapere- sento un bip e poi dei passi farsi sempre più vicini alla mia "gabbia".

-Buongiorno fiorellino- da notare il modo in cui si prendono gioco dei pazienti...questa è una cosa davvero cattiva, cioè, come si fa a prendere in giro un malato solo perché è più debole di te?

-Se ne avessi l'opportunità, non esiterei a staccarti i denti uno per uno e chiuderti in questa stanza a morire dissanguato- sputo, mentre il dottore ridacchia e si avvicina alle sbarre.

-Sei tosta. Ma sappi che al momento il coltello dalla parte del manico ce l'ho io-

-L'hai detto tu, al momento- ghigno, mentre la sua faccia assume un'espressione accigliata. Poi gira su i tacchi e se ne va, senza dire più niente.
Devo pensare a qualcosa per uscire da qui, un buco nel pavimento, un buco nel muro, qualsiasi cosa. Alla fine queste sono solo celle provvisorie, non possono essere serrate e fatte bene come quelle di un vero e proprio manicomio.
Improvvisamente sento un urlo e poi la frase "Tiratemi fuori di qui". Proveniva da una donna. Povera donna.
Provo a frugare nelle tasche della giacca e dei pantaloni per vedere se trovo qualcosa, ma niente. Mi hanno anche preso il coltellino che avevo nella giacca.
Mi avvicino al "letto" fatto di marmo e sprovvisto sia di cuscino che di coperta e mi ci siedo, mettendomi una mano sul petto e grattando un punto a caso dal nervosismo.
Poi sento qualcosa sotto la mia mano e sorrido: quei deficienti si sono dimenticati di togliermi la collana.
Me la tolgo e la osservo, cercando di trovare un punto tagliente o un punto che sia in grado di aprire la serratura.
Poi prendo tra le dita la piccola "A" e mi alzo, avvicinandomi alla porta e infilandola nella serratura.
Smanetto un po', ma niente. L'unica soluzione per uscire forse...

-Se non mi fate uscire all'istante mi strozzo!- urlo, avvolgendomi la collana intorno al collo e sentendo dei passi farsi sempre più forti.

-Cosa ci fai tu con quella!- esclama un'infermiera.

-I tuoi amichetti si sono dimenticati che una pazza con una di queste potrebbe strangolarsi e non vi conviene che una cosa del genere accada- faccio finta di stringere la collana sempre di più e continuo a far finta di tossire, sempre con un sorriso beffardo sul viso.

-Ferma!- urla.
Continuo a tossire sempre più forte, stringo gli occhi e mi piego in due.

-Fermati ragazzina, per favore!- urla ancora, prima di chiamare aiuto. Un attimo dopo sento la porta aprirsi e mi inginocchio a terra, mentre qualcuno mi prende la collana dalle mani e qualcun altro mi da delle pacche sulla schiena.
Apro gli occhi, e in una frazione di secondo mi alzo, tirando un pugno alla persona che avevo davanti e un calcio a quella dietro, congratulandomi con me stessa.
Inizio a correre prima che i due mi prendano e, mentre corro, prendo tra le mani una sedia e la sbatto contro il muro, rompendola e prendendo due delle gambe di legno.
Mi fermo nel bel mezzo del corridoio, con un braccio rivolto verso destra e uno verso sinistra, sembrando quasi Gesù.

𝐒𝐎𝐌𝐄𝐓𝐇𝐈𝐍𝐆 𝐁𝐈𝐆 ⋆ Cameron Dallas [3]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora