✩ 11 - Il corvo e il vampiro ✩

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Cyprian avrebbe faticato a vedere in tutto quel buio, pur essendo un vampiro, ma ciò che aveva consumato durante la cena aveva amplificato i suoi sensi, permettendo ai suoi occhi di perforare la densa tenebra che avvolgeva l'alta scalinata spiraliforme che stava discendendo, verso il ventre dell'imponente edificio che si era rivelato essere la sua prigione. Il suo altare sacrificale.

Riusciva a stento a respirare, la mente scombussolata come se si fosse appena risvegliato da un lungo coma. I suoi arti si muovevano di loro spontanea volontà, animati dall'istinto di sopravvivenza. Sperava solo che quel cunicolo segreto lo avrebbe condotto alla salvezza. Fuori dalle mura di Arcadia, magari, così avrebbe attraversato il lago di Albora e raggiunto un qualsiasi altro posto. Anche là fuori, si disse, dove abitavano gli assassini della sua famiglia – no, della sua intera specie – avrebbe trovato più possibilità di riuscire a vivere per più di una singola settimana, a partire da quella notte, di quante ne avrebbe avute rimanendo al fianco della donna che l'aveva cresciuto. Allevato come un agnello da mandare al macello.

Ma se anche esisteva un modo per eludere gli scudi magici della cittadella, non lo trovò quella sera. Non c'erano corridoi segreti ad aspettarlo al termine della scala, che percorse con la sensazione di star discendendo fino al cuore del pianeta, metri e metri sottoterra: si ritrovò davanti solo una scura porta d'ebano, chiusa dall'interno in uno stanzino angusto. Fortunatamente la chiave si trovava nella serratura, e non dovette fare altro che girarla. Chiaramente quella scala doveva essere la via di fuga progettata da Diamanthea, sin dai tempi della costruzione dell'Accademia, oppure la strada perfetta per trasportare sino alla sua stanza dei giochi le vittime catturate. Persone che si fidavano di lei, che avrebbero accettato di seguirla senza troppe esitazioni. Vampiri purosangue, che lei aveva dissanguato, divorato, assimilato. Il suo pensiero fece contorcere lo stomaco di Cyprian. Quei resti giacevano dentro di lui, ora che gli erano stati serviti con l'inganno.

Nella fretta, quasi sfondò la porta con una spallata dopo averla aperta. Sperava di sentire la fredda brezza notturna baciargli il viso e smuovergli i lunghi capelli, ma tutto ciò che vide fu altro buio, che si dissipava solo in fondo a un lungo corridoio. I sotterranei dell'Accademia, senza dubbio. Se la scala conduceva lì, in quel luogo silenzioso e decisamente poco frequentato, abbandonato addirittura, forse c'erano delle porte segrete in giro che gli avrebbero permesso di uscire senza essere notato.

Trattene il fiato mentre procedeva a grandi falcate subito dopo aver richiuso la porta dietro di lui. Non poté girare la chiave ma, con un po' di fortuna, Diamanthea non avrebbe notato quel particolare. Se avesse sospettato di lui, della sua presenza nella sua piccola dispensa personale, Cyprian non sarebbe mai arrivato vivo all'esame che Diamanthea attendeva col fiato sospeso.

Il rumore dei suoi passi rimbombò nel largo corridoio. Aprì porte casuali, tentando di limitarne i cigolii, ma non trovò nulla, solo magazzini e vecchi dormitori dedicati ai lavoratori ai tempi dell'edificazione. Non le aprì tutte, però, per il semplice motivo che ognuno dei suoi sensi fu allertato all'improvviso da una sorta di allarme innato.

Respirò a fondo l'aria, sentendo quasi il sapore della polvere sulla lingua, e i suoi occhi, da cui partivano lunghe venature nere, guizzarono a destra e manca come schegge impazzite. Piegò la schiena come un predatore pronto al balzo. I suoi antenati cacciavano nel buio, nei secoli del brutale splendore vampirico, quando ancora gli elfi esistevano a Domiin, ma quella notte era lui a rischiare di essere cacciato.

Notò con la sola vista periferica un'ombra rintanarsi dietro un cumulo di vecchie casse di legno che emanavano l'aroma dolciastro di frutta marcia, vecchie provviste lasciate lì da tempo in attesa di essere gettate. Il suo fiuto fu ostacolato proprio da quel forte miasma, ma nemmeno questo gli impedì di percepire l'acre odore di sangue nelle vicinanze, addirittura sentire il palpitio del cuore che lo pompava, quieto ma nel preludio di una certa agitazione. Una parte di lui ebbe paura. L'altra, fame.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 07 ⏰

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