Prologo

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È difficile descrivere il suono di un impero che crolla.

I muri che tremano, le grida che giungono dall'inferno al di là delle mura. Pianti, singhiozzi e fremiti terrorizzati, preghiere che, si spera, verranno ascoltate. È difficile descrivere i brividi da cui vengono colti quei pochi fortunati, sempre che così possano essere chiamati, che si rintanano nel palazzo. Così come lo è parlare delle lacrime di chi sa di aver perso qualcuno, di aver perso tutto, mentre là fuori, da qualche parte, scorre il sangue di una persona cara, o di un innocente.

L'imperatrice non avrebbe saputo descrivere niente di tutto ciò. Non trovava parole che rendessero giustizia alla rabbia crescente nel suo cuore, alla stanchezza che le appesantiva gli arti. Davanti a lei, crollava tutto ciò in cui aveva sempre creduto e per cui tanto duramente aveva lavorato. Ma non pianse, non diede questa soddisfazione ai nemici che ora gridavano ed esultavano mentre, a qualche sala di distanza, un ariete veniva sollevato e scagliato contro i cancelli. A ogni nuovo attacco seguiva una risata brutale, che di umano non aveva nulla, e dalle pareti cadeva intonaco e marmo e pietra. Le finestre esplodevano, fumo e nubi di terriccio e polvere s'infiltravano nella regale dimora, quella che avrebbe dovuto essere il suo nido sicuro, il posto adatto in cui prendere decisioni e crescere una famiglia.

Le avevano detto di scappare. "Voi siete l'imperatrice", continuavano a ripeterle i servitori, i nobili che l'avevano incontrata lungo il loro cammino, mentre si dirigevano correndo alle uscite d'emergenza più vicine. Passaggi segreti erano scavati nella pietra bianca, illuminati da torce flebili che segnavano la strada per la salvezza. Non erano mai stati aperti, mai stati usati, prima di quel giorno. Erano stati costruiti molti secoli prima che lei venisse alla luce, ma tutti sapevano della loro esistenza. In silenzio, tutti speravano di non dover mai fare uso di essi. "Dovete scappare, mettervi in salvo", ripetevano quelle voci. Si accalcavano, confondevano la mente della donna, che neanche una sola volta si era fermata ad ascoltare uno di quei consigli. Fuggire non era nei suoi piani. Sapeva che tutto ciò sarebbe accaduto, lo aveva capito con arrendevolezza quando i messaggeri avevano portato a corte la notizia di un'invasione progressiva alle porte del suo regno.

Selenite doveva essere una città impenetrabile. Immensa e bellissima, si stagliava sulla cima del più alto monte empiriano, sopra le nuvole e le piogge. Aveva vissuto lì per decenni, e non sapeva ancora come fosse il rombo dei temporali o lo scrosciare delle onde del mare. Aveva lasciato di rado la sua casa, e solo per questioni importanti. Seguiva la tacita legge impressa nel suo cuore, la promessa che aveva stipulato con sé e con i cittadini di quelle terre il giorno in cui una corona era stata posta sulla sua testa. Non avrebbe mai abbandonato Selenite. Non avrebbe mai abbandonato il suo impero, neanche nel più pericoloso dei casi.

Suo marito era della stessa opinione, per questo era stato il primo a indossare l'armatura, all'alba di quel nefasto giorno. Splendeva vestito d'oro e metallo, la spada legata alla guaina e l'elmo sui folti capelli biondi. Era stato sellato un cavallo grigio per lui, quel mattino. L'armata era divisa in due parti di fronte al palazzo. Al centro, i soldati lasciavano sgombera una via che gli permettesse di attraversare l'esercito fino a raggiungere la prima fila.

Anche allora, l'imperatrice non aveva pianto.

L'uomo che aveva amato per una vita, e che avrebbe amato anche in quella seguente e in qualsiasi altra, le si era avvicinato e l'aveva baciata per l'ultima volta. Con un dito, le aveva sollevato il mento, per ricordarle di non chinarlo mai.

«Tornerò,» promise in quell'istante, il fantasma di un debole sorriso tinto sulle labbra sottili, «giusto in tempo per vederla

Lei annuì. Non gli chiese di pronunciare alcun giuramento. Se la Dea fosse stata loro favorevole, avrebbe concesso a entrambi di rivedersi. Aveva invocato il suo nome per tutto il giorno, anche mentre le doglie la coglievano, mentre il sole occupava il posto più alto nel cielo.

KADER - Erede della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora