Guarigione e conforto.

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Mycroft, superata la crisi, dormiva sereno. Quella mattinata convulsa, trascorse senza altri problemi.

Sherlock, aveva deciso di stargli vicino per qualche ora, ma John insistette perché si prendesse una pausa. Aveva notato che irrigidiva le gambe e muoveva i piedi senza sosta.

"Tuo fratello sta bene, di certo meglio di te. Dobbiamo vedere le tue ferite, o non reggerai per molto."

Il giovane agitò la mano per sottrarsi alla sua premura. "Posso farcela, non sono sempre stato in piedi come hai fatto tu."

Il dottore sorrise, il suo amico notava sempre tutto, immaginò che lo avesse visto zoppicare. Anche la sua gamba risentiva delle troppe ore trascorse a vegliare il suo paziente.

"Il medico sono io, quindi farai quello che ti dico," lo spinse ad alzarsi, "non ti sei riposato in modo adeguato. Non hai avuto nemmeno il tempo di riprenderti dal tuo rapimento. Forza sistemiamo quelle ferite."

Lo fissò torvo, ma dopo un paio di grugniti accettò l'imposizione, si trascinò fino alla poltrona vicino alla libreria, dove c'erano i medicinali. Si lasciò andare e allungò le gambe stendendole sopra uno sgabello.

"Finalmente ti sei arreso, amico mio!" ridacchiò Watson.

"So quanto sei insistente! E pur di farti smettere, ti ho accontentato." rispose ironico.

C'era stanchezza nel suo sguardo acuto, anche se la mascherava bene. Gli sfilò le calze e il giovane trattenne una smorfia di dolore.

Watson aggrottò la fronte osservando i tagli arrossati.

Il giovane sbuffò vedendo il suo volto oscurarsi. "Non fartene una colpa John, il mio pensiero era per Myc, sapevi che era arrivato al limite e non si poteva aspettare oltre."

Scosse la testa mentre prendeva delle fasce pulite.

"Avrei dovuto obbligarti a prenderti delle pause. Inoltre hai mangiato pochissimo." medicò le ferite in silenzio. Sherlock appoggiò la testa e chiuse gli occhi quando il dolore si fece più intenso.

Abraham entrò in quel momento. Il dottore gli fece segno di fare silenzio indicandogli il fratello che dormiva.

"Che succede? Ragazzo stai bene?" chiese sottovoce.

Watson strinse le labbra. "Diciamo che sopporta, ma i piedi sono arrossati." Stava esaminando le caviglie, stringendo l'ultima benda.

Sherlock aprì gli occhi stanchi. Il maggiordomo inarcò le folte sopracciglia.

"Prendo io il tuo posto mentre ti rilassi e mangi qualcosa. Mycroft è in buone mani."

Titubante girò la testa verso il fratello, John aveva finito, ripose i medicinali.

"Ab ha ragione, devi smetterla di preoccuparti."

"Ho avuto paura," mormorò sfregandosi le tempie. "ho visto in lui gli stessi occhi offuscati di nostra madre."

Watson alzò la testa, il suo amico non era riuscito a superare del tutto la crisi del maggiore, aveva gli occhi arrossati per la stanchezza e il bisogno di riposo.

"Ti ho già spiegato la sua reazione. Avrei dovuto prevedere il suo stato mentale. Ora sei tu che devi andare oltre."

"Tutte risposte assennate, ma ho temuto lo stesso per la sua sanità mentale."

Abraham, le spalle curve, prese la sedia e si accomodò al suo fianco.

"Non ne sei a conoscenza, ma è accaduto ancora che vedesse Emma." Gli raccontò l'episodio successo alla fumeria d'oppio.

Le strade di Londra_ La scomparsa di SherlockWhere stories live. Discover now