𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟏𝟏

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Pov Luna:

Dopo l'ultimo litigio, non facevo altro che pensarci e i giorni volavano da quando avevo conosciuto Andrea. Avrei desiderato conoscerlo al di fuori del lavoro, se solo avessi avuto l'opportunità o almeno una parola da parte sua. Eppure, invece di una semplice parola, da quando abbiamo iniziato a scriverci su WhatsApp dal giorno della presentazione del libro alla Mondadori, sembrava che passassimo da un argomento all'altro senza mai smettere, nemmeno per un istante. Ci eravamo organizzati e per me sarebbe stata la prima volta di rivederlo al di fuori dell'ambiente lavorativo. "Luna, ti prego, quando esci con questo ragazzo, vestiti bene", così diceva la voce di mia madre che sembrava avvertirmi di non so cosa. Le conversazioni diventarono molto lunghe, dalle 10 del mattino fino al momento in cui ci saremmo finalmente incontrati quel sabato alle 17 in punto fuori dal bar alla fine della strada.

"Vieni in bici?" chiesi.

"No, vengo a piedi" (video).

Era il nostro primo appuntamento e mi sentivo già intrappolata in quella torre così alta, come se da una vita aspettassi solo oggi per ringraziare il cielo di aver trovato il principe che sarebbe salito torri, vette e saette per salvarmi. Indossai un top arancione e una gonna che richiamava uno stile un po' ottocentesco astratto, l'unica cosa che speravo di fare colpire positivamente quel ragazzo. "Anastasio, scendo!" avvisai mia sorella, dato che eravamo sole a casa, e mi diressi verso il bar dove ci eravamo dati appuntamento il giorno prima. Chiusei la porta di casa con un'indecisione che quasi mi fece barcollare, e indossai delle zeppe bianche, il colore della verità e delle cose semplici, tutte belle a forma di fiore, nonostante avvicinandomi vagamente al mio stile di vita quotidiano. Ero agitata all'idea di vederlo al di fuori del GATAS e non appena vidi la sua sagoma avvicinarsi, non sapevo più dove guardare quella sera.

"Che figo!"

"Ma che pettorali!"

"Che fisico!"

"Che occhi!"

"E che sorriso!"

"E quel baffo alla D'Artagnan che aggiungeva un tocco di eleganza ancor più seducente."

La mia testa era piena di tutte queste caratteristiche e sapevo che dovevo vivere il momento senza pensarci troppo su. "Ehi, tutto bene!", ecco la sua voce che dissipò tutte le mie paure e ansie. "Sì, tutto bene?", risposi educatamente. "Wow", sentii solo un'esclamazione provenire dalla sua dolce e potente voce come se avesse un microfono in mano. "Camminiamo?", dissi, presa dall'imbarazzo, e qualcosa mi diceva che anche lui l'avesse capito. "Sì, andiamo verso la piazza", annuì semplicemente e camminammo uno accanto all'altro con il desiderio buffo di non riuscire a resistere nemmeno al di fuori del lavoro. "Guarda!", dissi, osservando una maratona di cavalli in centro alla piazza quel giorno. "Bellissimi, e guarda proprio oggi", disse Andrea con nonchalance.

Aveva un certo fascino tutto suo, diverso dagli altri ma alquanto eloquente. "Dai, andiamo a prendere un caffè, non voglio farti camminare troppo", e le sue qualità da gentiluomo sembrarono emergere. Seguii il suo suggerimento e, anche se mi dispiaceva ammetterlo, nessun ragazzo mi aveva mai corteggiato o trattato così. Mi sentivo catapultata in un'altra epoca, diversa da quella che avevo vissuto prima di incontrarlo. Posò le mani sullo schienale della sedia del tavolino del bar per invitarmi a sedermi, gesto di galanteria che ormai non si vedeva più. "Sarà l'ottava meraviglia del mondo", pensai, sentendomi come una foglia al vento di fronte a lui. Forse non era un sentimento unilaterale, a giudicare dagli occhi lucidi e cristallini che mi guardavano.

Parlavamo di tutto e di niente, quando improvvisamente sentii la sua mano sfiorare la mia e dentro di me scaturirono emozioni mai provate prima.

Guardai la mano e lui sembrava essere qualcosa tra noi quella sera, sembrava giocare a nostro favore. Cominciò a parlarmi dolcemente mentre con l'altra mano sembrava delineare i contorni e le linee delle mie folte sopracciglia, e di quanto ci avessi messo tempo a definirle. Quel tocco mi fece sobbalzare, un tremore lungo le gambe così esagerato da farmi provare un brivido intenso lungo la schiena.

Dopo mille sensazioni mescolate, non potevo fare a meno di chiedergli di uscire da quel bar affollato, pieno di giovani che il sabato sera si riunivano. Per la maggior parte, si trattava di ragazzi del mio piccolo paesino e la mia fortuna era stata incontrare proprio lui a pochi passi da me. "Dovrei andare, oggi c'è la festa del santo nella mia chiesa", dissi, anche se dentro di me non volevo lasciarlo per nessun altro al mondo. La chiamata di quel momento mi fece mancare il respiro. "Tranquilla, ti accompagno vicino alla chiesa e poi ci salutiamo. Il prossimo sabato, non prendere impegni", così mi salutò con un occhiolino e un bacio qua e là, come si faceva una volta. Da quella serata in poi, non potevo fare a meno di pensare sempre di più a lui, desiderando che diventasse qualcosa che sarebbe dovuto essere solo mio, e di nessun altro.

𝐀𝐦𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐚 𝐞𝐩𝐨𝐜𝐚Where stories live. Discover now