🪲Ventinovesimo capitolo 𓂀

12 4 0
                                    

La giovane vampira non uscì per molto tempo chiudendosi in quel tempio quasi a voler fuggire il mondo, e da tutti coloro che aveva lasciato. Anche se in realtà l'unico che le mancasse era suo padre Imhotep.

Hesyra, colui che aveva amato, lo eliminò dal suo cuore; almeno così credeva.
Per mesi aveva rinunciato al cielo stellato, sua unica alternativa al sole. Il Lord le portava vittime vive come pasto e lei le accettava rassegnata, uccidendole senza provare alcun tipo di emozione. Aveva deciso di chiudersi in sé stessa lasciando che fosse solo la sua natura a controllare il suo corpo.

Il Lord capì che sua figlia aveva ancora conti in sospeso con la sua vecchia vita mortale. Le scrutò i ricordi con discrezione, mentre lei dormiva e capì che la delusione che aveva provato nel vedere suo marito giacere con un'altra donna era un tarlo che continuava a rodere, aggiungendosi alla sua già lunga lista di tormenti.

Il vampiro trovò quell'uomo, Hesyra, che abitava ancora nel tempio di Ra nonostante fossero trascorsi già svariati anni.
Con uno sguardo confuse quella mente umana e portò l'uomo da sua figlia Erdie.

La vampira si sentì mancare nel vederlo.
«Figlia mia, adesso voglio che tu faccia di lui qualunque cosa pensi possa servire a donarti un po' di pace».

Il suo respirò accellerò, non sapeva cosa dovesse fare ed Hesyra era ancora sotto il controllo mentale di suo padre.
«Padre, liberatelo. Voglio parlargli e voglio che sia cosciente».

Il Lord obbedì a sua figlia. Quando il mortale riprese padronanza di sé si spaventò; il suo sguardo vagava spaesato e si posò infine su Erdie, aberrando e incantandosi nello stesso momento.

«Erdie... eri...morta...» balbettò confuso.
«Sono certa che per te sarà stata una liberazione, la mia morte deve averti giovato».
«No, affatto» le rispose in un soffio, senza neanche riflettere. I suoi occhi non si spostavano da quelli di lei, la guardava e studiava tutti quei cambiamenti che aveva avuto. Era diventata bella, molto ma molto più bella, il suo viso superava la perfezione di quello della dea Hator*.

Aveva zigomi alti, sopracciglia delicate e labbra di uno splendido colorito roseo; i capelli le erano arrivati ben oltre le spalle e si attorcigliavano in boccoli splendenti. Se avesse potuto sarebbe rimasto a guardarla per sempre.

Era una dea ormai, e se ne rendeva conto. Non era più la ragazza che aveva sposato. Adesso era dotata di una grazia che lo ammutoliva, ogni movimento era fluido come quelli di ballerine esperte. Con quello stesso fascino gli si avvicinò.

«Vedo che sai ancora mentire bene» disse lei, sputandogli il suo disprezzo in faccia.
«La tua scomparsa mi ha afflitto Erdie, come puoi dire cose del genere? » i suoi occhi tremavano, ma le sue parole erano sicure.

Se nulla di quello che l'aveva portata a vivere in un tempio sotterraneo fosse successo, certamente si sarebbe fidata di quelle parole. Ma l'Hesyra di cui si era innamorata e che aveva sposato era un lontano riverbero dell'uomo che aveva davanti.

Portava ancora il capo calvo e la sua inconfondibile aroma di gigli, ma il suo viso era stato torturato dal tempo, gli occhi si poggiavano su occhiaie profonde, la sua pelle era segnata da piccole macchie e lucida come una superficie di bronzo, le labbra carnose che aveva baciato così tante volte adesso erano secche e lievemente screpolate.

Eppure Erdie sembrava non badare davvero a quelle imperfezioni, continuava a cercare in quegli occhi scuri come datteri maturi, l'uomo che aveva amato e che era stata così felice di dover sposare.

Quell'immagine poi tornò, lo rivedeva nuovamente nudo, giacere estasiato sotto il corpo di una vile schiava. Concedeva a lei il piacere che avrebbe dovuto riservare solo a sua moglie quando lei si sarebbe sentita pronta.

«Non ti credo» sibilò ed era talmente vicina a lui, che Hesyra sentì l'odore di sangue che impregnava il suo alito.
In quel momento l'uomo ebbe paura, ma l'amava ancora. E fu quell'amore a dargli il coraggio per afferrarle una mano gelida e implorarla di credergli. Lui l'aveva amata e l'amava ancora nonostante si fosse risposato. 

Il cuore della vampira perse un colpo nel sentire quella notizia. Adesso aveva una nuova moglie. «Ma credevo tu fossi morta! » si giustificò subito l'uomo, disperato. «Ma se vorrai ancora essere mia moglie, sono pronto a lasciare Nebet**. Lo giuro sugli dei, Erdie».

Ancora una volta fu colpita da quelle parole che non si sarebbe mai aspettata di udire. Hesyra  non aveva ancora lasciato la sua mano, e lei non gliela aveva sottratta seppur la callosità della sua pelle iniziava a darle fastidio.

Erdie guardò suo padre, torreggiava poco distante da loro, splendente come un dio grazie a tutti i gioielli che indossava. Il suo cuore era agitato, ma vedere suo padre immortale la calmò.

Hesyra non era lì per sistemare il suo futuro ma per placare parte del suo passato.
Gli toccò il braccio, lasciando che il suo potere raggiungesse la mente dell'uomo. «Voglio solo sapere se mi hai amata davvero» gli chiese ancora. Voleva esser certa che non l'avesse mentito perché quello sguardo e quel tono l'avevano sempre convinta del suo amore.

Hesyra le rivolse uno sguardo spento. «Sì, ti ho amata davvero» le parole sembravano meccaniche, ma provenivano dal suo cuore.
Gli occhi le si inumidirono, ma trattenne le lacrime. «E perché... Perché hai giaciuto con una schiava?! » la sua domanda fu quasi un'aggressione.

«Lei sfruttò le mie debolezze, e tu non ti sei mai voluta concedere, non mi davi spiegazioni. Ti allontanavi rifiutandomi ogni risposta. Credevo di non essere più abbastanza per te».

Le tremarono le labbra. Ripensò a quei mesi, a come lei ogni notte sembrava rifugiarsi nell'angolo più remoto del loro letto. Si rese conto che aveva ragione, lei gli parlava di rado e non lo rendeva partecipe di come la sua mente si fosse ammalata. Tuttavia lo amava, lo amava con sincerità; purtroppo dentro si sentiva spezzata.

«La colpa è stata di entrambi. Ci perdoneremo a vicenda» parlò stringendogli la mano. «Anche io ti amavo, non lo dimostravo, ma a te tenevo davvero. Credo che le cose dovevano andare così, sii felice».

Con le lacrime che le scorrevano sul viso, baciò castamente le labbra dell'uomo. Solo un gesto di addio; avrebbe ripulito il ricordo che aveva di lui e lo avrebbe conservato per sempre.

Chiese infine a suo padre di ricondurlo indietro, e far sì che lui credesse di aver sognato. Prima però che lo portasse via gli infilò al dito l'anello del loro matrimonio. Nonostante lo aveva odiato per anni, non si era mai tolta quel monile. 

Suo padre, l'immortale che con amore l'aveva ricreata, l'aveva aiutata anche ad assemblare alcuni pezzi della sua vecchia vita mortale, e gli era grata.

Suo padre, l'immortale che con amore l'aveva ricreata, l'aveva aiutata anche ad assemblare alcuni pezzi della sua vecchia vita mortale, e gli era grata

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.


Note aurore:

*Hator (dall'originale egizio: ḥwt-ḥr; che significa Casa di Horus, ellenizzato Ἅθωρ, Hathor) è una divinità egizia appartenente alla religione dell'antico Egitto, dea della gioia, dell'amore, della maternità e della bellezza.

**Nebet: ho preso questo nome dalla prima donna visir dell'Egitto antico. Sì, all'epoca le donne potevano già concorrere con gli a uomini a potenti cariche statali. (N.d.A. Eravamo più avanti cinquemila anni fa)

Fiore di sabbia. Gli alboriWhere stories live. Discover now