🪲Secondo capitolo 𓂀

92 27 58
                                    

𓆙

Il sole era alto nel cielo, brillava incontrastato come l'occhio di un dio sopra i mortali. E al suo sorgere, sotto forma di Khepry*, tutto il popolo si metteva al lavoro, le case brulicavano di vita e di rumori. 
L'abitazione delle figlie di Imhotep era circondata da un largo cortile decorato da palme e tante piante cespugliose, statue di dei e re in fila sul prato e colonne bianche con decori vivaci accanto ai muri del recinto.
Al centro esatto vi era un lago artificiale abbastanza ampio, alimentato da un piccolo canale che entrava grazie ad un incavo nel muro.
La loro casa si alzava su due piani in mattoni rivestiti di intonaco bianco, tanto che quando i raggi del sole vi si riflettevano sopra sembravano farla splendere. Al primo piano, dove il calore del sole rendeva le stanze insopportabilmente calde, vi erano i dormitoi dei servi e la cucina. Mine ed Erdie ci erano entrate molto di rado soprattutto nelle stagione calda di Akhet.
Le due ragazze abitavano il piano terra, dove ogni angolo era riccamente decorato con colori vivaci, statue, piante e mobili.

«Volete uscire, ragazze? » domandò loro Akerat quando le gemelle si ritrovarono nel grande salone. Sorrideva, mostrando dei denti un po' consumati dalla sabbia che finiva nell'impasto del pane che i contadini producevano all'aperto.
Entrambe annuirono felici.
«Bene, vi aiuto a prepararvi».

Mine ed Erdie ringraziarono la donna e corsero allegre a prendere il velo bianco con cui fasciavano il capo per proteggerlo dai raggi solari e i sandali in fibre di papiro intrecciate. Li indossarono e uscirono di casa naturalmente scortate dalle loro due schiave e da due eunuchi, uomini castrati che costituivano la loro scorta armata.
Ogni ragazza di rango superiore ne aveva uno, con il compito di non lasciarla mai da sola. Essendo impossibile per un uomo castrato sentire l'impulso sessuale, gli era concesso girare per le stanze private delle donne, ed infatti Obeishur e Daimaat dormivano in luoghi adiacenti a quelle delle due ragazzine.
Erdie era sempre accompagnata da Obeishur, un uomo alto e possente, dalla carnagione nera come il limo che ricopriva i campi dopo l'inondazione e che parlava assai di rado. Lei lo soprannominava spesso "Apedemak"** poiché erano più i ruggiti che uscivano dalla sua bocca che parole.

Mine invece era sotto la protezione di Daimaat, dal corpo spaventoso come il compagno, dalla pelle marrone come la corteccia di un albero ma dallo spirito decisamente diverso. Assomigliava più ad un gigante buono e non era raro che intrattenessero lunghe chiacchierate.
Nessuno dei due uomini era uno schiavo, bensì mercenari che Imhotep pagava ogni mese per guadagnarsi la loro lealtà. 

Il piccolo gruppo uscì dalle mura dalla grande casa e si diresse nel centro del paese. 
Per le strade aleggiavano odori diversi amalgamati fra loro come la dolcezza dei datteri maturi e l'aspro della fermentazione della birra. Poi risate, urla: il mercato era appena iniziato.
I contadini, vestiti solo con un leggero perizoma, portavano il loro bestiame per il baratto seminando le strade con i loro escrementi e destreggiandosi tra i ragazzini che correvano all'impazzata senza una meta apparente.

Erdie osservava la nudità di quei bambini con invidia: loro non erano costretti ad indossare alcun tipo di abito fuori e dentro le loro case. Purtroppo lei e sua sorella appartenevano ad un ceto alto e dovevano mantenere un contegno diverso.
«Non credi che il sole oggi riscaldi meno la nostra terra? » osservò Mine rimirando sperduta il cielo limpido. Erdie uscì dai suoi pensieri con un sussulto. 
«Non ne sei lieta? Il caldo soffocante si è ritirato. Ora vieni! » la spronò con un sorriso.
Erdie si diresse subito verso il corso del Nilo, il centro dei loro giochi.
Iniziarono a rincorrersi sulle sponde, sfidandosi al salto sulle rocce. Sfida che Mine perdeva puntualmente. Sua sorella Erdie era molto più brava di lei, era agile e veloce; esattamente il suo contrario.

I due eunuchi le seguivano a poca distanza, pronti ad intervenire se si fossero trovate in pericolo, mentre Akerat aveva imparato a trattenere il suo istinto materno nei loro confronti. Nonostante le avesse cresciute come delle figlie e loro la rispettavano allo stesso modo, era consapevole che avevano il diritto di divertirsi.
D'un tratto Mine si bloccò. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione: «Erdie guarda là! L'erba si muove in maniera strana! »
A seguire dalla sua affermazione si sentirono piccoli risolini soffocati, i loro amici stavano tendendo loro un agguato.
La ragazza fece segno alla sorella di colpirli e Mine obbedì; ma il ramo si perse fra le fronde dei papiri. Erdie prese in mano una pietra e la scaraventò fra i cespugli. La sua mira non fallì. Riuscì a colpire uno dei ragazzi nascosti fra le fronde.
«Vieni, Mine, scappa! » l'incitò ridendo Erdie.
Le due bambine iniziano a correre a ritroso verso la foce del fiume, mentre dai cespugli uscirono tre ragazzini, figli di altri vizir, che incominciarono a rincorrerle. 
Tutti quei giovani, insieme alle loro guardie, si recavano lì dove il Nilo si divideva in tanti affluenti creando il delta fertile. Giocavano fra le canne, si bagnavano nelle acque, sempre sorvegliati dalle loro guardie che approfittavano di quella riunione per chiacchierare fra loro.

Fiore di sabbia. Gli alboriWhere stories live. Discover now