🪲Primo capitolo 𓂀

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Za'Net, 2647 a. C.

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«Ancora quel sogno, Mine? » la voce ovattata di sua sorella giunse come un cuneo.
Gli occhi di Mineptah erano ancora persi fra il sogno e la realtà, tanto da non accorgersi che sua sorella Erdie la stava osservando con un velo di rammarico nello sguardo.

Mine ed Erdiemaat erano gemelle identiche e diverse, che condividevano anche lo stesso sogno fin da quando avevano memoria.
Alcune notti, talvolta illuminate dalla luna, sognavano un mondo ghiacciato che i loro occhi non avevano mai visto, un freddo più potente di quello che sorgeva nel deserto quando il sole scompariva.

Ogni mattino, al loro risveglio, quella strana sensazione si riaffacciava con prepotenza, quasi a volerle spronare continuamente a cercare la soluzione.

«Sì» biascicò «vorrei capire se almeno siano visioni dettate dalla dea Hathor o dal Dio Seth» le rispose seria.
«Ho parlato con un sacerdote, vecchio amico di nostro padre tornato nelle nostre terre dall'alto Egitto» iniziò a spiegare Erdie, mentre Akerat, la schiava nubiana di Mine, prendeva dal tavolino basso in vimini un piatto di terracotta contenente del pane scuro schiacciato e una tazza piena di acqua.
«Mangiate, signorina» le disse la donna ritirandosi poi vicino al muro per lasciare che le due sorelle parlassero tranquille. L'intonaco bianco della parete faceva apparire ancora più scura la pelle della schiava e più opachi i suoi abiti in tela.  

Erdie si accomodò sul letto della sorella, invadendone quasi completamente lo spazio «Secondo lui si tratta di un'anima defunta che si è persa poiché il suo corpo non ha trovato degna sepoltura» inizió a spiegare «e sempre secondo il sacerdote dovremmo ritrovare questo corpo e concedergli i giusti onori».
Mine si alzò e si sedette controvoglia sulla stuoia, aggiustando i cuscini sotto di sé. Mentre mangiava si guardava intorno. Quel sogno le aveva lasciato quella strana sensazione, come una consapevolezza o un antico ricordo che non poteva uscire dalla sua mente. E ogni volta la loro stanza le appariva strana, come se non l'avesse mai vista prima.

La loro camera invece era sempre la stessa, non era mutata in nulla. Sui muri bianchi c'erano i soliti due dipinti raffiguranti la dea Maat, dove dormiva Erdie, e la dea Iside, dove invece c'era il suo letto. Le piantine di papiro erano al loro posto, immerse in una brocca d'acqua accanto alla finestra, sulle sedie in legno con le loro gambe ad X vi erano poggiati gli abiti in lino che avrebbero dovuto indossare.
Il mobile dei cosmetici era tutto disordinato come ogni giorno, con gli arnesi per il khol sparsi ovunque e lo specchio in bronzo poggiato di traverso contro il muro.

Erdie infatti era già stata truccata e lavata dalla sua nuova schiava, una ragazza dei paesi del nord, terre oltre il mare dove il grande Nilo si disperdeva, catturata poco più di un mese prima da una flotta pirata. Ancora non riusciva a parlare la lingua egizia, perciò di lei tutti sapevano ben poco. Era stata comprata per pura compassione: Imhotep l'aveva vista picchiare dal suo padrone che non aveva pietà verso il suo stato di salute, il troppo calore del sole e il poco cibo che dovevano averle dato l'avevano debilitata. In fondo gli schiavi erano solo oggetti da cui prendere il massimo.

Era una ragazza già minuta di costituzione, con la pelle bianca come l'avorio, i capelli biondi e gli occhi di un azzurro troppo pallido per sopravvivere al sole dell'Egitto.
Invece di scegliere una schiava nubiana per sopperire alla morte dell'ultima dama di compagnia di sua figlia Erdie, Imhotep scelse lei.
Per fortuna la ragazza cercò di ripagare quel gesto adeguandosi bene ai suoi doveri di schiava. E, dopo un mese di tentennamenti, scoprirono che si chiamava Krio.

Fiore di sabbia. Gli alboriTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon