🪲Diciannovesimo capitolo 𓂀

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Imhotep era distrutto. Le guance erano ormai scavate, gli occhi erano diventati due pesanti cerchi neri. Aveva subito troppe perdite dolorose e non aveva avuto il tempo di piangerne nemmeno una.

Akerat era la donna che aveva amato per anni in silenzio, ed era morta senza poterle dire quanto l'amasse davvero, che il suo non era solo un desiderio lussurioso.
E sua figlia Mineptah che aveva subito una morte così terrificante conservando nel cuore ancora l'odio per lui.

Non avrebbe mai potuto immaginare che il tempo non gli sarebbe bastato per riappacificarsi. Quei rimpianti lo laceravano dall'interno come i tarli facevano con i legni.

L'uomo non poteva però permettersi il tempo per struggersi realmente con il suo dolore, il braccio di Erdie era in condizioni disperate. Fu curato in ogni modo: le ferite che non smettevano di sanguinare furono cicatrizzate con il ferro rovente dopo che ogni tessuto fosse stato ricucito nel modo migliore.

Imhotep sperava che durante quelle dolorose operazioni sua figlia non riprendesse coscienza, tuttavia, anche se fosse mai tornata in sé, la febbre era troppo alta per darle una vera concezione del dolore.

Ma Erdie non riaprì gli occhi neanche dopo. Una violenta infezione la colse nonostante fosse suo padre stesso a spalmarle sul braccio malconcio unguenti a base di bicarbonato di sodio.

Una mattina giunsero gli artigiani dell'oro, portavano i gioielli che Mine aveva commissionato loro. Fu così che Imhotep si ritrovò fra le mani la riproduzione dell'anello che le aveva regalato anni e anni prima. Si domandò il motivo, perché Mine ne volesse due.

Dopo una notte passata nella sua ormai famigliare disperazione forse intuì. E sorrise amaramente.
Sua figlia era determinata a fare ciò che a lui aveva sempre terrorizzato: seguire il proprio cuore.
Amava quel contadino e nulla l'avrebbe fermata. A quanto pareva neanche la morte.

Fece cercare Hapy dalle guardie, ma di lui non c'era più traccia. Nessuno lo aveva più visto dalla morte di Mineptah.
Intanto il corpo del ragazzo era abbandonato senza vita in una grotta ormai da mesi.

La morte di Mine aveva asciugato tutti i vivi che l'avevano conosciuta, come il patron faceva con i cadaveri, lasciandoli in una realtà troppo simile all'oltretomba. Una Duat senza uscite.

Erdie ragazza passò sei mesi nel suo letto, preda delle convulsioni e dei deliri della febbre che andava e veniva come la marea. Rivedeva ogni istante quell'alligatore bestiale che divorava sua sorella, che la trascinava urlante nelle profondità del fiume. Alle volte assisteva in prima persona al suo smembramento in acqua mentre le urla non cessavano neanche dopo che di quel corpo non era rimasto che qualche pezzo dello scheletro.
Ma la maggior parte delle volte sentiva Mine accusarla di non averla salvata, di averla lasciata morire da sola. E a quel punto Erdie veniva uccisa da sua sorella che diventava un enorme mostro pieno di zanne affilate.

Per sei mesi nessun medico era riuscito a strapparla da quegli incubi e quasi nessuno credeva ormai che si sarebbe ripresa. Tranne suo padre che non accettava quell'evidenza.

Ma Mine non l'aveva abbandonata. Anche da morta era riuscita a salvarla dalla fine. Era solo uno spirito impercettibile eppure era riuscita a fermare l'avanzare dell'infezione e a debellarla. Non credeva neanche lei che fosse possibile per uno spettro senza vita aiutare ancora le persone che si amano. Era perfino riuscita a raggiungere sua sorella nei sogni per cercare di strapparle il suo senso di colpa.

Nella mente di Erdie le due sorelle erano tornate nuovamente lì, sulle sponde del fiume che aveva segnato l'inizio della loro agonia. I loro piedi nudi venivano nuovamente accarezzati dalle dita gentili dell'acqua sacra.

Tutto il paesaggio era immerso nel rosso di un tramonto spettacolare, sarebbe stato l'addio migliore che Mine potesse darle.
«Credi che io sia stata una buona sorella per te? »le domandò Erdie.
Nelle fantasie del sogno nulla era accaduto, ma in loro c'era la consapevolezza della realtà. Una realtà distorta, dove la morte non sottrae nulla, ma si mescola alla vita.
«La migliore che potessi avere» aveva risposto lei.
«Eppure ti ho lasciata morire».

Mine le prese la mano e gliela accarezzò dolcemente.
«Una delle due sarebbe dovuta morire quel giorno. È stato provvidenziale che sia stata io ad andarmene. La nostra terra ha bisogno di te» la abbracciò.

Gli occhi di Erdie si allagarono per poi lasciar colare sul suo viso grosse lacrime malinconiche.
«Sono stata felice con te e con papà» continuò Mine.
«Non sei più arrabbiata con lui? »

La ragazza sorrise. «Papà ha agito secondo ciò che riteneva giusto. Digli che non lo odio, anzi. Gli voglio molto bene».
«Mi mancherai tanto» le disse ancora l'altra, con le lacrime che le gonfiavano gli occhi e la gola.

Mine le sistemò amorevolmente una ciocca di capelli dietro l'orecchio e le accarezzò il viso. «Non dimenticare mia amata sorella ciò che sto per dirti. Non importa cosa si interponga fra noi due, che sia la morte o il tempo. Io resterò al tuo fianco. Non permetterò mai che ti accada qualcosa.
«... Ti voglio molto bene Erdie... ».

Furono queste le parole con cui si svegliò quel giorno; sconvolgendo chiunque non osasse più sperare.

La febbre era scesa di colpo, il braccio gonfio di infezione aveva espulso tutti i suoi liquidi corrotti. Improvvisamente il corpo di Erdie era in via di guarigione.
Sua sorella l'aveva salvata.

C'èra qualcuno che la guardava oltre il suo capo. Per qualche istante il suo cuore sperò fosse la sua amata Mine. Sperò di poter fermare quel momento, quel breve lasso di tempo che distacca il sogno dalla realtà dove la mente è capace di creare illusioni reali. Dove poteva essere certa che tutto fosse normale.
Ma la consapevolezza le crollò addosso come una colata di melma che le tolse il respiro.

Prima delle sue parole furono le lacrime a precedere ogni discorso.

Sua sorella era morta. Morta. Bastavano queste poche parole a premerle il petto e soffocarla.

Ogni altro ragionamento in merito era come bere dell'amaro veleno.
Tremava e suo padre, senza fargli alcuna domanda, la abbracciò. Erano rimasti soltanto loro due, unici superstiti della loro famiglia.
La morte aveva spezzato ogni sibilo di felicità.

La ragazza si abbracciò al padre, piangendo e aggrappandosi sempre con più forza.

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Fiore di sabbia. Gli alboriOù les histoires vivent. Découvrez maintenant