🪲Quindicesimo capitolo 𓂀

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Quando Mine fu riportata nella sua stanza si rivoltò  contro Krio, accusandola di aver parlato con suo padre riferendole l'esatto posto dove si sarebbe recata con Hapy, ma sua sorella si intromise.
«Sono stata io a parlare con nostro padre» le disse con calma, sapendo che Mine si sarebbe infuriata anche con lei.
«Come hai potuto! Io mi fidavo di te! » urlò contro l'altra.

Erdie quasi si spaventò per la reazione quasi esagerata che aveva avuto sua sorella. «Ero preoccupata, era quasi l'alba e tu non eri ancora a casa... Dopo ciò che era successo ad Akerat, temevo per te... Oh, ti prego perdonami...»

Ma Mine non aveva alcuna intenzione di perdonarla. Anzi, la ragazza continuò ad inveire contro sua sorella senza quasi fermarsi a prendere fiato, mentre grosse lacrime scendevano disperate dal suo visto.

Il sole era già  sorto da molto quando Imhotep irruppe nella stanza delle sue figlie.
«Mine, è giusto che adesso io ti parli».
«Andatevene padre, io non ho voglia di ascoltarvi! »
«Non sei nella posizione di decidere, sei mia figlia! »

Mine si avvicinò all'uomo senza temerlo, guardandolo con odio. «Non avevate alcun diritto di far colpire Hapy in quel modo! »

«Stai confondendo i ruoli. Sono io che decido cosa sia giusto o meno fare. E tu devi limitarti ad obbedirmi. Fin quando non avrò mutato il mio ordine tu resterai chiusa in questa stanza. Daimaat e Sekemta resteranno a guardia della tua stanza».

«Siete solo un despota! Gli dei avrebbero dovuto acconsentire alla vostra morte e non a quella di Akerat! »
Lo schiaffo del padre giunse immediato e la sua eco si riverberò nelle orecchie dei presenti.
Erdie trattenne il fiato, coprendosi la bocca con una mano.

Suo padre non aveva mai osato colpire nessuna delle due da quando erano nate.
L'uomo deglutì e uscì dalla stanza, forse più turbato di sua figlia.

Il pomeriggio di quello stesso giorno Erdie andò in cerca del padre per parlargli; da quando era successo tutto la loro casa sembrava silenziosa come un tempio abbandonato, privo di vita e a tratti spaventosa. Lo trovò infine nella sua stanza, attorniato dalle schiave che si prendevano cura di lui, lavandolo e radendolo.

«Padre sono Erdie, posso parlarvi?»
L'uomo si voltò, si fece coprire con un velo le nudità e si avvicinò alla figlia.
«Dimmi tesoro».

«Non farete partecipare Mine all'ultima cerimonia della levata della stella Sopedet? È la più importante...»
«No» rispose secco. «Ci saremo solo noi due. Gli dei saranno clementi allo stesso modo».
«Ne siete sicuro?»
«Mine non dovrà uscire da quella stanza».

Erdie abbassò il capo, rassegnata alla decisione inappellabile di suo padre, sospirando appena; non poteva fare a meno di pensare che lei aveva perfettamente immaginato che quell'assurda storia sarebbe finita in quel modo.

«Credi che Mine le pensasse davvero quelle parole quando le ha dette? » le domandò ancora lui, con delusione.

Erdie fu sorpresa da quella domanda e capì che suo padre doveva davvero aver sofferto nell'udire quella frase, soprattutto se a pronunciarle era stata sua figlia.

«No, padre. Era solo arrabbiata. Appena le passerà verrà lei stessa ad implorarvi perdono».
«Credo in ciò che dici. La conosci meglio di me, ne sono sicuro. Adesso va a prepararti, forza».

Si sorrisero all'unisono.
L'ultima cerimonia che fu tenuta dal vizir e sua figlia permise alla stella Sopedet di sorgere e con lei di arrivare la piena del Nilo ad irrigare i capi.

Per la prima volta nella sua vita Mine fu costretta ad osservare da lontano lo svolgersi della funzione e della processione sacra. Era da sola a piangere.

Non poter vedere Hapy sembrava una condanna troppo dura e il non sapere cosa gli avesse fatto suo padre lo era ancora di più. Una parte di lei temeva che suo padre avesse dato l'ordine di ucciderlo, ma un'altra cercava di rassicurarla ricordandole che il nome di suo padre significava "colui che viene in pace" e in onore al suo nome aveva sempre evitato la violenza.
No, non lo aveva ucciso. Loro due si sarebbero rivisti, ne era certa!

Girovagò per la stanza come un animale in gabbia, mangiandosi le unghie e corrodendosi con l'ansia. Pianse ancora in un angolo, poi si rialzò girovagò ancora, ma alla fine cedette al sonno con gli occhi impregnati di lacrime.

Il giorno successivo Erdie aveva tentato in ogni modo di convincere sua sorella a riappacificarsi con suo padre, ma inutilmente. Anzi, Mine aggrediva perfino lei, rinfacciandole che suo padre l'aveva scoperta proprio perché lei aveva parlato.

La stessa storia si era ripetuta anche i giorni successivi. Erdie sperò che fosse solo una questione di tempo e tutto sarebbe tornato come prima. Ma Mine era cambiata, cambiata radicalmente.

La ragazza passava tutto il giorno a rimproverare la sua nuova  ancella Yuya per minuzie irrilevanti. Era una donna anziana, i cui errori erano comunque dovuti all'età. Ma a lei non sembrava importasse, un comportamento che in realtà non avrebbe mai assunto.

Imhotep non aveva ancora lasciato Za'net e seguiva i lavori del tempio a distanza, grazie ad emissari che viaggiavano continuamente. Voleva tornare a Iunu solo quando i rapporti con sua figlia fossero tornati come prima.

Purtroppo nessuno poteva immaginare che Mine non riuscì mai più a parlare con suo padre.

Purtroppo nessuno poteva immaginare che Mine non riuscì mai più a parlare con suo padre

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