Il principe sorrise. Quella ragazza era perspicace. «D'accordo, Ragazza Selvaggia.»

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Tornare a Gwajin era stata una liberazione e al tempo stesso una condanna.

Areum aveva dovuto sopportare le occhiate di delusione di suo padre e ascoltare i mille elogi che la madre aveva utilizzato per descrivere le abilità del fratello, sempre pronto a ristabilire ogni situazione sul punto di crollare.

A passo felpato, la principessa si allontanò dalla sala del trono. Avrebbe dovuto spiegarsi con re Naemul, ma l'ultima cosa che voleva era sopportare un altro rimprovero. Chi poteva capirla? Era certa che suo padre pensasse di avere a che fare con una figlia capricciosa e viziata, capace di aver mandato a monte il fidanzamento di proposito, quando lei era stata vittima di un complotto.

Areum entrò nel giardino delle Peonie Purpuree e lasciò vagare lo sguardo da un albero all'altro, alla ricerca di Hwa. La sua volpe, la sola amica con cui avrebbe potuto parlare senza essere giudicata, sembrava essere sparita.

La giovane si lasciò andare a un sospiro irritato, sedendo poi con abbozzata eleganza sotto un pruno appesantito dalla neve. Il secondo principe di Sunju l'aveva giudicata poco avvenente...

Ma chi credeva di essere?

Certo, non che Areum avesse mai creduto di essere una bellezza priva di eguali, ma non aveva mai pensato che qualcuno sarebbe arrivato a disprezzarla solo per il suo aspetto fisico.

Aveva diciassette anni e per lungo tempo non aveva fatto altro che sentirsi dire che una principessa doveva essere bella come una peonia e lei si era sempre adeguata alle creme e agli olii profumati, alle scomode gonne spumose e ai fastidiosi gioielli di corte.

Ma forse non era abbastanza.

Allargò dunque le gonne arancioni intorno alle gambe e fece per sistemarsi i capelli sulla schiena, ma un rumore secco la fece voltare verso un angolo del tronco, dove vide un ragazzo immobile, con un braccio a mezz'aria.

Tra le dita stringeva uno dei rami fioriti più belli del pruno.

«Dier!» esclamò Areum, sorridendo di felicità. Le era bastato solo un attimo per riconoscere il suo cugino preferito. Non lo vedeva da tempo, forse troppo. «Ti credevo nel Khusai, cosa ci fai qui?»

Lui sgranò gli occhi a mandorla e nascose il ramo dietro la schiena. Teneva i lunghi capelli castani legati in una crocchia alta sopra la testa, ma alcune ciocche erano sfuggite all'acconciatura e si erano adagiate sulle guance, rosse per la vergogna.

«I-io... non...» balbettò, incapace di comporre una frase per intero. Durante l'infanzia, Dier era rimasto muto a causa di alcuni traumi subiti all'interno del palazzo. Sostando alla tribù dello zio era riuscito a migliorare la situazione, ma non del tutto. «Non so-sono ne-nel... Khu-Khusai.» Riuscì a dire alla fine. La sua era una frase ovvia, che forse lo fece vergognare ancora di più.

Cieli di Sangue - Il Cammino Della RovinaWhere stories live. Discover now