18. Kiss me slowly ☆

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"Negli occhi tuoi il mio viso, il tuo nei miei, mostrano cuori semplici e sinceri, dove meglio li trovi due emisferi, senza ovest declinante o freddo nord, sol muore ciò che ha commisto, ma se i nostri due amori sono uno e noi ci amiamo in modo tale che nessuno sia da meno, mai morranno".

Tristano e Isotta♡

Il batticuore continuava a tormentarmi.

Da quando avevo lasciato quella stanza Kevin danzava nel mio petto, volteggiava nel mio cuore, come un acrobata appeso alla Sacra Sindone, lo batteva, in un tamburellare di lame forgiate dal fuoco di un drago, lo opprimeva col suo sguardo stregato.
E io non potevo far altro che soccombere al suo potere, lasciandomi trascinare dalla sua forza occulta.

Ero sull'orlo della follia e se non mi avrebbe dato delle risposte sarei presto precipitata in un baratro a strapiombo.

Forse aveva ragione lui, stargli accanto equivaleva a farmi male, ma io volevo che lui mi facesse male, agognavo il dolore inferto dalle sue dita, bramavo quell'Inferno che si portava dentro.

Avrei seguito Caronte di mia spontanea volontà per un suo ultimo bacio.

Nicolò mi aveva lasciato davanti al portone. Gli avevo detto che mi sentivo poco bene e che volevo ritornare a casa, in realtà ero scombussolata dall'incontro con Kevin.

Mi salutò, raccomandandomi assoluto riposo e se ne andò felice quando mi strappò la promessa di un'altra uscita.

Non ci pensavo neanche lontanamente ad uscire una terza volta con lui, due mi erano bastate e avanzate, ma la sua tenacia era ammirevole.

Mi strinsi nel giubbotto, mentre l'auto si allontanava in retromarcia, approfittando di quell'attimo di luce per inserire la chiave nella toppa.

Finalmente ero a casa.

Andai diritta in camera, gettai la borsa sulla sedia e afferrai il cellulare.
C'erano diversi messaggi di Carmen, curiosa di conoscere l'andamento della serata, e uno di mia madre in cui mi avvisava che si sarebbe trattenuta a lavoro per un emergenza.
Posai il telefono sulla scrivania, poi mi buttai sul letto.

Ripensai a Kevin e la tachicardia aumentò, mi sentivo agitata, accaldata e febbricitante.

Come Raskolnikov ero vittima di una violenta febbre di origine animica.

E io sapevo chi era la mia medicina.

Dovevo parlargli.

Ormai avevo compreso che il suo odio era una maschera.

Kevin non mi odiava, almeno non tanto quanto ostentava.

Ma perché nascondeva i suoi sentimenti?

Perché fingeva di detestarmi?

Mi voleva bene?

Sempre la stessa domanda che mi bruciava dentro, senza sosta.

Quando il portone si aprì scattai in piedi, come un soldato all'alba pronto per l'addestramento.
Io ero pronta, armata con un fucile a doppia canna e la mano sul grilletto.

UCCIDIMI DOLCEMENTEWhere stories live. Discover now