Capitolo 28

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Grace tornò a Brisbane una settimana dopo la partenza di Jeremy. Zia Sarah stava decisamente meglio, trascorreva le sue giornate in salotto o in giardino. Il dottor Theodors, dopo averle fatto le dovute raccomandazioni, lasciò la villa con la promessa che sarebbe presto ritornato come vecchio amico e non come medico, seppure la sua presenza sarebbe sempre stata di sollievo alle apprensioni soprattutto di Grace e Susan. Tranquillizzò entrambe confermando che il crollo di Sarah era stato causato, effettivamente, dalla forte agitazione che l’aveva travolta alla vista del dottor Winter giorni prima. Consigliò loro, dunque, di evitarle forti emozioni che la turbassero.
Sapendola nelle amorevoli mani di Susan, Grace ripartì col cuore più leggero, nonostante la sua felicità era a chilometri di distanza.

Jeremy era molto impegnato, come nuovo cardiochirurgo all’ospedale di Sidney aveva su di sé maggiori responsabilità e il suo turno sembrava non avere mai fine. Ovviamente, trovava ritagli di tempo per chiamare la sua Grace e sentire la sua dolce voce che lo rilassava.

«Quando riuscirai a tornare?» gli chiese lei. Erano trascorse tre settimane da quando si erano salutati all’aeroporto.

«Spero il prossimo fine settimana, ma non dipende da me. Purtroppo al momento siamo in carenza di personale a causa delle ferie ed io, essendo l’ultimo arrivato e responsabile dell’intero staff di cardiologia, non posso permettermi il lusso di assentarmi» rispose Jeremy con un sospiro.

«Dottor Winter, veda di non stancarsi troppo, però, perché qui c’è qualcuna che al suo ritorno reclamerà in maniera spietata le sue attenzioni» lo provocò Grace, distesa sul divano e con un sorriso a dipingerle le labbra.
Sarebbe voluta andare alla loro scogliera ma quel giorno pioveva.

«Non vedo l’ora… Mi manchi da morire!» esclamò Jeremy, pregustando già il momento in cui l'avrebbe stretta fra le sue braccia.

«Anche tu mi manchi tanto, amore mio! Se non fosse per mio padre prenderei il primo volo e ti raggiungerei» sospirò Grace, affranta.

Christopher era strano da quando lei era tornata, era quasi sempre taciturno, stranamente non era imbronciato ma il suo silenzio la preoccupava. Aveva cercato di capire cosa avesse ma lui diceva sempre di star bene. Così, per smuoverlo, e perché era giusto che suo padre sapesse, gli aveva raccontato di Jeremy e di quanto lui la facesse star bene. In un primo momento Christopher era rimasto perplesso, ma poi aveva cominciato a farle mille domande fino ad abbracciarla. Nemmeno quella notizia, però, era bastata; era tornato nuovamente nel suo mutismo gettando sua figlia nello sconforto.

*******

Grace raggiunse l’orologeria, solitamente era d’aiuto la mattina quando suo padre andava in giro per commissioni; il pomeriggio, invece, si affaccendava in casa per poi salire alla scogliera e lasciarsi andare ai suoi pensieri, perdendosi nella superba bellezza di quei tramonti che imperlavano di arancio le calme acque all’orizzonte, attendendo con ansia di sentire il telefono squillare e godersi quegli istanti parlando con Jeremy.

Quel pomeriggio, però, una pioggia considerevole la indusse a tornare nella piccola bottega pur di non restare in casa a non far niente.
Quando entrò, non trovò suo padre, bensì Steve. Non si vedevano dal giorno in cui lei aveva rifiutato la sua proposta e rimase senza parole nel trovarlo lì.

«Come stai?» le chiese il giovane, senza ombra di risentimento. Almeno così parve a Grace.

«Bene. Ma cosa ci fai qui?»

«Tuo padre mi ha chiesto di sostituirlo un’oretta, aveva qualcosa da fare, ma non voleva disturbarti. Io passavo semplicemente di qua e mi sono offerto di aiutarlo.»

Cosa poteva aver allontanato di così importante suo padre dal negozio al punto da lasciarlo nelle mani di quel ragazzo che lui stesso non aveva mai sopportato?

«Va bene, ora puoi andare però, resterò io» asserì Grace, avanzando verso il retro del bancone.

«Non è un problema… posso restare a farti compagnia» esclamò Steve.

«Non ce n’è bisogno.»
Grace si sentiva leggermente in imbarazzo, non sapeva come approcciarsi con quello che era stato il suo fidanzato per tanti anni.

Rimasero in silenzio per minuti interminabili. Steve non andò via, si tormentava le mani osservando la pioggia cadere fuori, mentre Grace si accinse a riordinare alcuni carillon arrivati quella mattina.

«Grace…» sussurrò improvvisamente il ragazzo. Lei si voltò per gentilezza. «Io non ce l’ho con te. So di non essermi comportato come dovrebbe fare un fidanzato, un compagno… Mi sono lasciato prendere dall’abitudine e…» Steve sospirò. «Riproviamoci, Grace!»

Lei lo fissò qualche istante, lesse in quegli occhi azzurri il rimpianto di averla persa.

«Mi dispiace, Steve, ma tra noi non funziona più… Non funzionava già da tanto… Ti prego, non continuare!»

Steve calò gli occhi sulle scarpe, sapeva di non avere più speranze ma c’era una domanda che gli arrovellava il cervello da settimane.

«C’è un altro?» chiese, cogliendo Grace di sorpresa.

«Eh?»

«Rispondi: c’è un altro?» Il tono non era accusatorio ma comunque deciso.

«Sì, c’è, ma… tra me e te è finita prima che lui arrivasse» precisò Grace. Voleva che Steve capisse che la loro rottura non era dovuta al fatto che lei ora era innamorata di un altro, bensì a un sentimento che oramai non esisteva più.

«Buonasera!» La voce di un uomo riscosse i due giovani che si voltarono verso la porta.

«Signor Thompson, cosa ci fa qui?» chiese perplessa Grace. Nessun fornitore consegnava nel pomeriggio, eccetto in rari casi ma sempre con preavviso.

«Salve, signorina Path, sono venuto a riscuotere il resto del mio debito.»

Un istante dopo, anche Christopher entrò in negozio, adagiando l’ombrello bagnato in un vaso e bloccandosi sulla porta ancora aperta.
Grace guardò tutti e due gli uomini strabuzzando gli occhi.

«Papà, cosa sta succedendo?»

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