5. "In the face of death we are all the same"

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Edith

Erano ormai le quattro del mattino e io mi trovavo ancora rinchiusa nel mio studio. Il collo mi doleva terribilmente, così come la schiena. Ero seduta alla mia scrivania ormai da ore e non avevo neanche cenato. I miei occhi eterocromi erano socchiusi mentre cercavano di non perdersi nell'oscurità. Fuori era buio e il silenzio e la calma erano perfetti per concentrarsi al meglio.

Le scartoffie mi avevano rinchiusa in quello studio fino alle prime luci dell'alba.

Quella era un'altra sfaccettatura dell'essere regina. Avere quel titolo non significava solo ed esclusivamente possedere un abbondante numero di ricchezze, ma implicava anche compilare e controllare pile immense di fogli che non parevano avere una fine.

Dopo aver passato al vaglio tutti quei documenti, mi potei finalmente concentrare su ciò che aveva invaso i miei pensieri nelle ultime ventiquattro ore

Sotto i miei occhi era posto il tomo che mi aveva consegnato Nathan: il Libro delle Ombre.

Quel manoscritto conteneva informazioni molto complesse e scoprirle sarebbe stata un'ardua impresa. Racchiudeva i segreti del mondo in cui vivevamo e riguardava esclusivamente la magia nera. La parte difficile, infatti, non era impadronirsene, bensì proprio decifrarne le pagine consumate dal tempo.

Si narrava che all'interno di quelle pagine si trovasse il luogo in cui la Morte risiedeva. In quel momento ero disperata.

Tutti evitavano la Morte, quindi, di conseguenza, nessuno aveva la più pallida idea di dove vivesse.
Anche se, in effetti, non vi era una certezza sulla reale esistenza della sua dimora. In fondo, era sempre della Morte che stavamo parlando. Misteriosa e oscura, che faceva gocciolare l'aspro sapore del dolore.

In ogni caso, io desideravo trovare quell'entità. Volevo incontrare la Morte e, se fosse stato necessario, l'avrei implorata di riportare mio padre da me. Io, una regina, avrei pregato in ginocchio la Morte in persona.

Se qualcuno fosse venuto a conoscenza della missione che stavo disperatamente cercando di compiere, mi avrebbe sicuramente scambiata per una folle. Mi avrebbero anche potuto uccidere, affinché non fossi più la regina.
La gente, di consueto, temeva la Morte. Io, invece, la stavo cercando.

Mi stavo passando una mano tra i capelli, esausta, quando, all'improvviso, il bussare alla porta mi fece sobbalzare. Allungai la mano e aprii la porta di legno lucido. Nathan comparve davanti a me con un'espressione preoccupata sul viso.

«Nathan, è successo qualcosa?» domandai reprimendo uno sbadiglio e combattendo affinché le mie palpebre non si chiudessero.

«Vostra Maestà, sono le quattro del mattino, cosa ci fate ancora qui?» chiese avvicinandosi alla mia scrivania.

Indossava un pigiama coperto da un accappatoio per tenerlo al caldo contro le gelide notti. Le temperature nel Regno del Nord erano molto basse, soprattutto d'inverno. La gente riusciva a sopravvivere in quel luogo solamente grazie alla magia. Senza di essa, non ci sarebbe stato riparo per noi dal freddo rigido.

«Sto cercando la dimora della Morte» ammisi mentre voltavo pagina, sperando di scovare qualche informazione utile. Ciò che trovai, però, mi lasciò abbastanza sbigottita. Le pagine successive erano bianche. Due pagine intonse, senza alcuna scritta o immagine.

«Ancora con questa storia, Edith?»

«Edith?» ripetei incredula, facendo saettare lo sguardo verso Nathan. Non mi chiamava da tempo così.

«Domani sicuramente me ne pentirò, ma ora ti devo parlare» dichiarò sedendosi e cercando di sistemarsi i capelli biondi come meglio riusciva.

«Dimmi...» gli concessi, svegliandomi quasi del tutto. Nathan, da quando aveva iniziato ad allenarsi per diventare la mia guardia del corpo, non mi aveva più chiamata per nome. Era da secoli che non lo sentivo uscire dalle sue labbra, e quel suo atteggiamento mi aveva fatto comprendere che in quel momento, in quella stanza, eravamo ritornati a essere semplicemente Nathan ed Edith.

Life Goes OnOù les histoires vivent. Découvrez maintenant