12. Flowers of silence

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Edith

Il dolce vento mattutino mi solleticava delicatamente le gote rosee, mentre il sole rifletteva i suoi raggi nel laghetto ghiacciato di fronte a me. Ero seduta sulla panchina ai piedi dello specchio d'acqua, fermo a causa della lastra di ghiaccio che ricopriva la sua superficie. Il vestito che indossavo era pesante, di un cotone pregiato che riusciva a tenermi al caldo, mentre i tacchi accarezzavano l'erba ricoperta dalla brina mattutina. C'era silenzio assoluto. Il tenero cinguettio degli uccellini non lo avrei risentito fino all'estate successiva a causa del freddo che abbracciava le vaste terre del nord.

Un flebile sorriso si formò sul mio viso pallido a causa dei dolci ricordi che quel luogo faceva riaffiorare nella mia mente.

*

L'inverno era ormai arrivato da mesi e non sembrava avere intenzione di andarsene presto. I miei lunghi capelli neri, simili a quelli di papà, erano decorati con tantissimi fiorellini che credevo si chiamassero "non ti scordar di me". Mi piacevano, assomigliavano agli occhi della mamma.

«Non ti sporgere troppo, potresti cadere!» esclamò terrorizzata la timida voce di Nathan dietro di me.

«Ci sono dei fiori, lì, voglio prenderli» risposi indicando i bellissimi fiori bianchi, lontani dalla riva. Le mie ginocchia si stavano sporcando sempre di più a causa del fango e tirai un sospiro di sollievo sapendo che la mamma non mi stava vedendo in quel momento.

«Edith, ti farai male!» continuò la vocina del mio migliore amico.

«Non ti preoccupare. Non mi accadrà niente» lo rassicurai, per poi sporgermi un altro po'.

C'ero quasi. Ancora un pochino. Un altro po' e... Presi!

Appena le mie mani pallide afferrarono gli steli dei fiori, sentii le ginocchia scivolare a causa del fango eccessivo. Un urlo sfuggì dalle mie labbra e sentii l'acqua gelida circondarmi completamente. La mano destra stringeva il mazzo di fiori, mentre la sinistra si muoveva freneticamente cercando di riportarmi a galla. L'acqua stava entrando nelle mie narici e nella mia bocca, riempiendo i miei polmoni.

Ossigeno, avevo bisogno di ossigeno.

La vista mi si stava offuscando, quando all'improvviso sentii delle forti e grandi mani circondare il mio esile bacino. Appena fuori dall'acqua aspirai più ossigeno che potevo e iniziai a tossire, espellendo l'acqua dai miei polmoni. Le stesse mani che mi salvarono iniziarono a togliermi i capelli bagnati dal viso e ad asciugarmi quest'ultimo.

«Stai bene? Edith, stai bene?» domandò la voce che avevo riconosciuto come quella di mio padre.

Annuii con la testa, mentre aprivo i miei occhi e incontravo i suoi.

«Non provarci mai più, intesi? Mi hai spaventato, piccola» mormorò mio padre, per poi stringermi tra le sue calorose braccia.

«Edith, stai bene? Ti avevo detto di non sporgerti troppo, ma tu non mi hai voluto ascoltare!» esclamò Nathan, entrando nel mio campo visivo con un broncio sul volto.

«Potevi aiutarmi!»

«Non so nuotare!»

«Perché non sai nuotare? Tutti sanno nuotare!» urlai in risposta, arrabbiata con il mio migliore amico.

«Okay, basta voi due. Andiamo a casa» ci interruppe mio padre, e compì un incantesimo su di me per asciugarmi del tutto. «Se tua madre viene a scoprire cosa ti è successo ci ucciderà entrambi, piccola mia. Credi di riuscire a non dire niente?»

Life Goes OnWhere stories live. Discover now