9. Deal

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Edith

Il tempo, quella mattina, non era dei migliori. Le nuvole, come ormai da un po' di giorni, coprivano il sole e il vento soffiava impetuoso. Dentro il castello, al contrario dell'esterno, vi era un tepore accogliente grazie ai camini presenti quasi in ogni stanza.

Aspettavo impaziente l'arrivo di Morte affinché potesse comunicarmi la sua decisione, e speravo con tutto il mio cuore che avrebbe acconsentito nell'aiutarmi.

Ero seduta sulla terrazza al di fuori della stanza adibita esclusivamente per l'ora del tè. Lo spazio era abbastanza piccolo, ma mi piaceva moltissimo. Era decorata da varie piante e le sedie argentee e il tavolino davanti a me erano perfetti nella loro semplicità.

Il freddo mi entrava fin dentro le ossa, ma il tè caldo che avevo in mano in quel momento mitigava alla perfezione quella sensazione. Sicuramente non era il magnifico tè nero di nonna Diane, ma anche quello preparato da Rosa era buono.

L'indomani mi sarei dovuta recare a controllare le miniere di persona, per poi andare come ospite nel Regno del Sud. L'idea non mi entusiasmava parecchio, soprattutto se consideravo l'atteggiamento dei fae, ma era obbligatorio. Dovevo ricordarmi il motivo per il quale avevo preso quella decisione: salvare il mio regno da una possibile guerra.

«Vostra Maestà, mi dispiace recarvi disturbo, ma c'è qualcuno di sotto che chiede di voi» comunicò la voce di Iria alle mie spalle.

Il sorriso che era solito contraddistinguerla era svanito e ciò mi preoccupava.

«C'è qualcosa che non va, Iria?» domandai, poggiando la piccola tazza che avevo in mano sul piattino apposito.

«No, ecco... è solo che non ho idea del perché, ma mi sembra famigliare» rifletté.

«Chi è questa persona?»

«Quando gliel'ho domandato mi ha detto che è "colui che stai aspettando"» rispose la giovane, citando le parole di quello che intuii subito essere Morte.

«Andiamo» decisi.

Mi alzai e camminai verso il piano terra del palazzo. Le mie gambe volevano correre, in quel momento, e il mio cuore con esse. Ero impaziente di conoscere il suo verdetto e una parte di me se ne vergognava tremendamente. Avevo sempre avuto tutto ciò che desideravo dalla vita e, nel corso del tempo, avevo sviluppato anche un certo orgoglio. Orgoglio che in quel momento, così come anche il giorno precedente, avevo schiacciato sotto i tacchi.

Arrivai all'entrata e mi ritrovai davanti colui che mi aspettavo di vedere: Morte.

«Sei qui» mormorai avvicinandomi, mantenendo uno sguardo inespressivo.

Indossava un lungo mantello nero con il cappuccio, che copriva le spalle larghe fasciate da una camicia nera. Le scarpe nere lucide erano inumidite dalla brina, causata dal rigido freddo invernale all'esterno. Le braccia erano incrociate al petto e alcune delle sue dita erano ornate da anelli argentei.

«Vostra Maestà» mi salutò con voce roca e profonda.

«Vostra Maestà!» esclamarono le guardie avvicinandosi a me e inchinandosi. «Ci dispiace, ma insisteva nell'entrare.»

«D'ora in poi permettetegli di accedere all'interno del palazzo quando desidera. È un caro conoscente ed è il benvenuto qui» mentii, affinché non trapelasse la verità che dovevo nascondere a chiunque avesse in programma di distruggermi.

«Sì, Vostra Maestà» accettarono, poi si alzarono e ritornarono alla loro posizione di vedetta.

«Nathan» chiamai il biondo, alle spalle di Morte.

Life Goes OnWhere stories live. Discover now