7. Life must come to an end pt.1

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Edith

Ero davanti alla Morte in persona, che mi stava domandando il motivo per cui mi trovassi lì in quel momento.

Dalle grandi vetrate serpeggiava l'oscurità della notte, che regnava sovrana in quel luogo inquietante. L'unico rumore che si udiva in quella stanza era il bubolare dei gufi al di fuori.

Il mio cuore martellava nel petto mentre le mie mani stavano sudando freddo. Non sapevo perché fossi così agitata. Forse era la paura di ricevere delle risposte che mi avrebbero ferita. Lo avrei convinto ad aiutarmi, fosse stata l'ultima cosa che avrei fatto.

«Voglio riportare in vita mio padre» gli comunicai.

«Mi sarei aspettato di tutto, se devo essere sincero, ma non una tale risposta» affermò dopo una manciata di secondi passati in silenzio, ma non si scompose. Si alzò e iniziò a camminare lungo il vasto studio.

«Mio padre era Anto-»

«So chi era tuo padre, sono stato io a raccogliere la sua anima un anno fa.»

Quell'affermazione mi scosse. Ciò significava che l'ultima persona ad aver visto mio padre siedeva proprio davanti a me.

«Vedi quell'ammasso di scartoffie sulla scrivania? Sono fogli che riportano i dati delle persone a cui dobbiamo prelevare la vita. Vengono mandate a me e mi spetta inviarle ai cupi mietitori affinché eseguano il loro compito.»

Solo in quel preciso istante mi accorsi di tutti i fogli sparsi sulla scrivania. Erano davvero tanti, forse troppi, e sapere che erano tutte persone che sarebbero dovute morire da lì a poco mi fece stringere il cuore.

«Cosa stai cercando di dirmi?» domandai, voltandomi e fissandolo mentre si alzava per versare un alcolico in un bicchiere di vetro.

«Sto cercando di dirti che molto raramente sono io a dover scortare le anime dei morti nell'aldilà. Non avviene quasi mai, se non in casi speciali.»

«Perché allora mio padre rientra in un caso speciale?»

«Probabilmente un gioco di Destino» affermò, posizionandosi davanti alla finestra con il bicchiere in mano.

«Non capisco...»

«Ovvio che non capisci» continuò con un flebile tono di voce, come se fosse... triste.

«Morte, mi aiuterai?» domandai, ormai stufa di attendere una risposta.

«No» rispose secco.

«Perché?» domandai, quindi, alzandomi e avvicinandomi a lui.

«Perché devi accettarlo. Tuo padre è tristemente deceduto, ma questo è il corso della vita, Edith. Si nasce, si cresce e si muore. Non posso vietarlo.»

Tutta la speranza e la gioia che possedevo stavano iniziando a tingersi di grigio per poi dissolversi in una nuvola di fumo. O, almeno, me lo ero immaginata così.

Strinsi i pugni fin quando non sentii il sangue caldo fuoriuscire dalle ferite causate dalle unghie, che si erano conficcate nei palmi. Un tornado di emozioni negative mi aveva investita in pieno e sentivo vacillare il controllo della mia energia. Avevo tanto potere in corpo, e a volte era complicato tenerlo a bada.

«Ma ci deve essere un modo. Ti prego. Ti sto pregando, io, una regina. Ti supplico, aiutami a rivedere mio padre.»

«Davanti alla morte, Edith, si è tutti uguali e impotenti. Non importa quanti soldi, quanti abiti, quante dimore o quanti sudditi tu abbia. La morte giunge per tutti.»

«C'è un modo, so che c'è. Farò di tutto per riportare in vita mio padre.»

Dopo attimi di silenzio in cui sarei potuta crollare da un momento all'altro, finalmente decise di parlare.

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