Extra Chris

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Tre secoli prima

L'ultima cosa che sentii fu la spada del nemico conficcarsi violentemente nel mio corpo, squarciando i vestiti e la pelle.

Caddi in ginocchio sull'erba morbida e il mio ultimo pensiero fu rivolto solo ed esclusivamente a lei. Quegli occhi così grandi nei quali mi perdevo e quel sorriso che illuminava le mie giornate. Lo stesso sguardo che vidi spegnersi e perdere tutta la vita che aveva al suo interno.

Il giorno in cui mi abbandonò fu il giorno nel quale morii. Ogni giornata senza di lei era una tortura, un'agonia. Mi svegliavo a causa della luce che penetrava dalla finestra o della pioggia che picchiettava insistentemente, non più grazie ai suoi lunghi capelli castani che mi solleticavano il viso.

Iria. Un nome che si riferiva a tutto ciò che era colorato e allegro, e lei non avrebbe potuto rispecchiarlo meglio. Se mi avessero chiesto di descrivere cosa fosse per me la vita, avrei sicuramente risposto che era lei.

E, in quel momento, mentre il sangue fuoriusciva copioso dalla ferita e il cuore smetteva pian piano di battere, sorrisi.

Sorrisi con le lacrime agli occhi, perché la sofferenza fisica che provavo non era minimamente comparabile al dolore che avevo percepito il giorno della sua morte.

In quel momento, steso sul campo di battaglia in fin di vita, ero felice. L'avrei rivista. Avrei rivisto la mia bellissima Iria, la mia vita.

E, appena percepii che il momento era ormai arrivato, scorsi una figura. Un uomo alto, dai capelli corvini che gli accarezzavano il collo e gli occhi scuri, che si chinò su di me.

«Azrael...» sussurrai, riconoscendo la figura dell'Angelo della Morte e del mio amico.

«Christopher Roux, principe ereditario di anni trecento. Quest'anima è stata raccolta» dichiarò, per poi porgermi una mano che non esitai ad afferrare.

Prima che io potessi parlargli, lui schioccò le dita davanti ai miei occhi e fu l'ultima cosa che vidi prima di cadere nell'oscurità.

*

Mi svegliai in una stanza, ma non avevo la più pallida idea di a chi appartenesse o di dove mi trovassi.

All'improvviso, la porta si aprì e la figura di un uomo comparve davanti a me. Era abbastanza alto, con i capelli neri tenuti legati – a eccezione di due singole ciocche che ricadevano ai lati del viso – e i suoi occhi erano altrettanto scuri.

«Bene, sei sveglio» esordì avvicinandosi a me.

Mi alzai con la poca forza che avevo e, una volta in piedi, constatai che fossi leggermente più alto di lui di qualche centimetro.

«Come ti chiami?» domandò l'uomo di fronte a me con le braccia incrociate al petto.

Volevo rispondere a una così semplice e banale domanda ma, poco prima di emettere fiato, chiusi la bocca.

Non sapevo come mi chiamassi o addirittura chi io fossi. La mia mente sembrava avvolta da una fitta nube che mi impediva di ricordare la mia identità o perché mi trovassi in quel luogo.

«I-Io non ricordo...» risposi, per poi posare la mano sulla testa, come se quel gesto avesse potuto aiutarmi a rammentare qualcosa.

«Ti chiami Christopher e sei un cupo mietitore» rispose l'angelo, senza interrompere il contatto visivo.

Christopher... mi chiamavo Christopher. Non capivo perché quel nome non mi suonasse per niente familiare.

Le parole che catturarono la mia attenzione però furono le seguenti: un cupo mietitore, aiutante della Morte. Colui che raccoglie le anime.

Life Goes OnWhere stories live. Discover now