fuga

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Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare quanto mi era appena stato detto, che venni trascinata di peso, per un braccio, all'interno del castello, giù nei sotterranei. Mi venne letteralmente ordinato di prendere il minimo indispensabile e recarmi il prima possibile nell'ufficio del professor Silente, di nuovo. Raccolsi velocemente le mie cose e raggiunsi Severus, davanti la porta nella quale il preside si trovava. Era seduto come sempre dietro la sua possente scrivania, accanto a Fanny. Mi regalò un accenno di sorriso, caloroso, ma un po' triste, in quanto non raggiungeva gli occhi. Mi scrutò a lungo, rivelandoci di essere profondamente dispiaciuto e intimandomi di farmi coraggio. Mi trattenni per non mandarlo al diavolo. Coraggio?! Mi era appena stato detto che un gruppo di pazzi furiosi assassini voleva letteralmente portarmi dal Signore Oscuro, e dovevo farmi coraggio? Non riuscii a dire nulla, mi limitai a scrollare le spalle e lanciare un'occhiata a Severus. Volevo uscire da lì, ma non avevo la benché minima idea di dove potessimo andare. Cosa ne sarebbe stato di me? E della mia famiglia?. Sospirai amareggiata; non potevo nemmeno salutare i miei amici... Strinsi con forza il manico della mia borsa, giocherellando con le cuciture di quest'ultimo.
Severus stava ancora parlando con il preside, a bassa voce. Li osservai confusa: di che diavolo discutevano con tanta discrezione? Attesi, fin quando Piton non mi si avvicinò. Mi strappò velocemente la borsa dalle mani, mi strinse velocemente il braccio e senza darmi il tempo di capirci qualcosa, ci smaterializzammo.

Atterrai con un tonfo sul pavimento, e guardandomi intorno capii di essere finita ancora una volta nel piccolo salotto di Spinner's End. La smaterializzazione improvvisa mi fece bruciare lo stomaco, costringendomi a tirarmi velocemente su per raggiungere il bagno. Vomitai per un momento e tornai da Severus, leggermente pallida in volto e assolutamente ignara sul da farsi. Fissai il mio insegnante di pozioni aspettando dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, ma tutto ciò che ottenni fu la sua uscita di scena e il rinchiudersi nel laboratorio della casa. Sospirai, realizzando che sarei stata per quel momento sola nel suo salone. strofinai i polpastrelli sulle tempie, cercando di fare mente locale. Mi avvicinai piano alla libreria dopo un istante, sfilai un tomo da quest'ultima e mi avvicinai al piccolo divano. Mi immersi nella lettura, fin quando, esausta per i troppi avvenimenti, mi addormentai. A risvegliarmi fu un tocco leggero che avvertii sulla spalla, che mi fece sussultare. Aprii gli occhi di scatto, trovandomi davanti la figura imponente di Severus, che mi guardava. Non riuscii a decifrare l'espressione che aveva sul volto, ne lessi solamente del dispiacere. Inarcai lievemente il sopracciglio, aspettando proferisse parola. Alla fine sospirò lievemente, e aprì la bocca:

“mi scuso per averti lasciata qua da sola, ma avevo bisogno di pensare al da farsi e sistemare delle cose...”

Tirai su il busto e annuii lentamente, sfregandomi gli occhi:

“che si fa?”

“per il momento, dobbiamo rimanere qui, non posso rivelarti perché...”

Sbuffai. Ero del tutto coinvolta, ma dei dettagli dovevano essermi celati. Mi alzai senza aggiungere altro e salii al piano di sopra. Mi diressi nel bagno, e mi sciacquai velocemente il viso, lasciando che il trucco colasse. Lo rimossi del tutto, e lasciai scorrere l'acqua fredda sui polsi, cercando di annullare il senso di smarrimento che mi stava pervadendo. chiusi gli occhi, concentrandomi solo sulla sensazione di gelo, che contrastava quella bruciante della mia pelle.

Dopo aver ripreso momentaneamente il controllo, uscii dal bagno e tornai di sotto. Oramai era arrivata l'ora di pranzo, ma lo stomaco era completamente serrato. Mi risedetti sul divano senza dire mezza parola. Fissai il libro che avevo iniziato a leggere prima di addormentarmi e incontrai lo sguardo di Severus; i suoi occhi mi scrutavano, cercando di leggermi l'anima.

Non volevo che sapesse quanto mi passava per la testa, perché nemmeno io sapevo definire il groviglio di pensieri che mi attanagliavano le membra. Giocherellai nervosamente con le maniche della divisa, che stavo ancora indossando. Fissai lo stemma della mia casa, conscia del fatto che probabilmente il ritorno alla normalità sarebbe stato lontano, lontanissimo. Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, riempiendosi di lacrime che minacciavano di uscire per liberare il senso di malessere che mi stava pervadendo da troppo tempo. Piton si avvicinò con cautela, prendendomi tra le braccia. Abbandonai il capo contro il suo torace, lasciandomi andare, senza emettere alcun suono. Strizzai gli occhi, senza preoccuparmi di bagnare la divisa da insegnante che stava ancora indossando. Strinsi i lembi di quest'ultima tra le mani, spingendo sempre di più il viso contro il suo petto. Mi mancava il fiato, ma non mi interessava respirare in quel momento, volevo solo essere libera, sentirmi bene, e far entrare aria nei polmoni in quel momento non mi avrebbe né giovato né portato a raggiungere uno stato benessere.
Mi avvinghiai completamente al suo corpo, cercando di mantenere regolare il mio respiro, che era flebile e silenzioso. Morsi con forza il labbro interiore, sentendo il retrogusto metallico del sangue invadermi. Continuai e continuai ancora, fin quando Severus si scostò leggermente, quanto bastava per prendermi il viso tra le mani e baciarmi; interruppe quel movimento, che mi stava lentamente distruggendo la bocca, e leccò via il rivolo di colore rosso scarlatto che fuoriusciva fiero dal labbro. Il sapore di menta invase le papille gustative, annullando completamente il gusto del liquido che mi scorreva nelle vene, pompato dal cuore.

Ci staccammo solo quando ad entrambi mancò il fiato. Sul mio viso non erano ancora sparite le tracce di pianto, perciò strofinai goffamente la mano sugli occhi, come una bambina che cercava di scacciare le lacrime versate dopo aver perso il giocattolo preferito. Tornai semi sdraiata, e abbandonai il capo contro il bracciolo del divano.

“Hai voglia di mangiare qualcosa?”, sussurrò Severus sedendosi piano al mio fianco.

Scossi rovinosamente il capo, colta da una nausea improvvisa. Presi le dita delle mie mani e ci giocherellai con la speranza di distrarmi per sentirmi meglio, mordicchiandomi nello stesso istante l'interno della guancia.
Avevo tante domande in testa, a cui non riuscivo a trovare risposta:
-Che cosa voleva da me il Signore Oscuro?
-Chi aveva scritto quel maledetto bigliettino per farmi entrare nella foresta?
-Come avrei dovuto comportarmi?
-Entro quanto sarei tornata a scuola?
-Sarei sopravvissuta?
-Perché Severus non poteva dirmi tutto?

Sospirai, conscia del fatto che mi ci sarebbe voluto parecchio tempo per vederci chiaro, sempre ammesso che prima o poi sarei venuta a capo di quella situazione, e non ero per nulla sicura di poterci riuscire.

“Vado... vado in camera, ho bisogno di dormire...”, sussurrai appena.

Mi alzai dal divano, avvertendo per un momento un capogiro, e mi diressi in camera. Mi stesi supina, gli occhi puntati verso il soffitto. Pensai ai miei amici, ad Hogwarts, a cui probabilmente furono propinate una serie di scuse per giustificare la mia assenza improvvisa. Visualizzando nella mia mente tutti i miei ricordi assieme a loro, una lacrima rotolò giù per la guancia, partendo dall'occhio sinistro. Da quella poi, ne seguirono tante altre, che racchiudevano perfettamente la rabbia, la tristezza e la frustrazione. Chiusi gli occhi cercando di riacquistare il controllo che avevo inevitabilmente perso, cercando di concentrarmi sul senso di stanchezza che mi stava pian piano pervadendo i sensi. Scacciai velocemente le poche lacrime che erano rimaste, dovevo farmi forza, dovevo a tutti i costi. Lo dovevo fare per me stessa in primis, ma anche per i miei genitori, per i miei amici, per Hogwarts e soprattutto per Severus. Essere forte in quella situazione era fondamentale, crollare avrebbe solamente facilitato il lavoro al Signore Oscuro, e non potevo per nessuna ragione permetterlo. Volevo vivere, crescere, conoscere nuove cose, esplorare il mondo, imparare... per farlo, dovevo vincere quella guerra, quella che sarebbe irrimediabilmente iniziata, per ristabilire la pace. Respirai profondamente, sentendomi per un momento lievemente meglio, più forte. Con la speranza che sarebbe andato prima o poi tutto bene, chiusi di nuovo gli occhi, cadendo in un sonno profondo.

Nata Babbana Where stories live. Discover now