¤CAPITOLO 20

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Un brivido mi corre lungo la schiena, mentre vengo scortata da Alexei nei corridoi di questo luogo infernale, domandandomi come caspita abbia fatto il professore ad aver già avvisato gli Avengers. Continuiamo a camminare in mezzo alla folla di persone urlanti, agenti dell' H.Y.D.R.A. che sono in preda al panico a causa dell'arrivo dei super eroi, in preda al nascondere boccette contenenti liquidi sconosciuti o bruciare fogli, documenti con chissà quali informazioni, altri invece si stanno armando, pronti all'imminente, mentre io al contrario sto progettando un piano per scappare dalle grinfie di Alexei e corrergli incontro.

Il russo dietro di me dietro di me continua ad imprecare nella sua lingua natia, intanto che scendiamo sempre più in basso, nelle profondità della base.

Alexei:" Cazzo, ci mancavano gli Avengers. Pensavo che ci avrebbero messo un po' di più a trovarci."- fa una pausa mentre prontamente ferma la nostra vorticosa fuga dai vendicatori- "a meno che"- fa un'altra pausa. Sposta la sua presa su di me dalle mani ammanettate, alle spalle, così che mi possa girare, in modo che ora siamo faccia a faccia. La pistola che prima era puntata sulla mia schiena ora è poggiata sulla mia spalla. Sento il metallo freddo attraverso quella che dovrebbe essere una tuta, ma che ormai è ricoperta di tagli e di graffi. Alexei riprende il discorso:" A meno che qualcuno non li abbia avvertiti".

Un brivido mi corre dalla nuca, lungo tutta la schiena, ma tengo un'espressione impassibile. Li dovrei ringraziare da questo punto di vista, la Stanza Rossa mi ha insegnato a seppellire le mie emozioni sotto uno strato spesso di ghiaccio, mi ha istruito a non far vedere al mondo quanto sia a pezzi, a recitare la parte dell'assassina senza cuore, recitare, perché in realtà io un cuore ce l'ho, ma è ormai da tempo che è in frantumi, da quando ho tradito Natasha. ( Inoltre risulta essere molto utile anche a poker, questa mia abilità, nel caso interessasse a qualcuno )

Lui continua a guardarmi con quei occhi di cui un tempo mi ero invaghita, come un'adolescente con una stupida cotta, quando lui era ancora il marito di mia sorella maggiore. Quel bacio a Mosca me lo aveva dato solo perchè aveva capito che provavo qualcosa per lui, come un cagnolino a cui viene dato il contentino, il capriccio di una bambina, che mi è costato molto caro, dato che mi tormenta da tutta la mia vita. Dio come sono stata ingenua.

Subito dopo che Tasha mi aveva cacciato di casa, avevo capito che era tutto un piano per dividerci, per farci litigare, perchè sapevano che assieme avremmo potuto abbattere la stanza rossa con uno schiocco delle dita.

Alexei:" Allora ne sai qualcosa zanzarina?"

Di riflesso a quel soprannome gli sputo in faccia. A quel gesto mi sorride in modo malvagio, mentre lascia andare la presa su di me. La pistola che prima era poggiata contro la mia spalla, viene spostata in modo che ora sia a contatto con la mia fronte, mentre l'uomo che la impugna mi guarda come un predatore guarda la sua preda.

Alexei:" Ultima possibilità zanzarina, come hanno fatto gli Avengers a trovarci."

In risposta gli arriva un altro sputo. Si pulisce grossolanamente con una mano il viso, per poi dirmi:

Alexei:" Ok, ho capito, dovrò andare a cercare il traditore da solo, anche se ho già qualche idea...cosa credi che penserà il professore quando andrò a fargli visita. Ricordati, però, Alexandra Barnes che lo hai voluto tu. "

Non faccio in tempo a decifrare ciò che mi ha detto che l'uomo di fronte a me sposta la pistola, e mi spara un colpo nella coscia destra, per poi scappare via. Provo a seguirlo, ma la gamba mi fa troppo male e poco dopo mi trovo a cadere rovinosamente per terra, mentre il dolore mi percorre per tutto il corpo. Continua a seguirlo, strisciando per terra per qualche metro, ma il mio corpo è troppo stanco a causa di tutto ciò che ha dovuto sopportare in questo periodo, quindi mi ritrovo da sola, ferita in mezzo a quel corridoio lungo, sporco e isolato. Porto le mani alla ferita, le dita mi tremano per lo sforzo, ma mi obbligo a restare lucida, mentre faccio una leggera pressione per fermare il sangue. Un gemito di dolore prende vita nella mia gola, e risuona per tutto il corridoio, mentre alcune lacrime incominciano a colarmi lungo il viso. Strappo la manica della mia tuta, ormai completamente rovinata, e la avvolgo poco sopra alla ferita, in modo da fermare, anche poco, l'afflusso di sangue. Guardo soddisfatta il mio lavoro, mentre noto le mie mani sporche di sangue, decido di riprovare ad alzarmi , proprio mentre però stavo per farlo sento qualcosa che mi sconvolge, il rumore dei clacson delle macchine. "Allora non siamo isolati in qualche base sperduta nel mondo. Siamo in un edificio...di una qualsiasi città del mondo...si sono nascosti sotto gli occhi di tutti, e non ce lo immaginavamo neanche". Mi ritorna in mente la stanza in cui mi sono risvegliata quando mi hanno portata qui, ovvero la riproduzione esatta della cella in cui ci rinchiudevano da bambine quando ci comportavamo male. L'hanno creata per noi, perchè sapevano quanti dei nostri incubi hanno come protagonista quella dannatissima stanza. Mi ricordo che Tasha l'aveva raccontato ad Alexei, quando erano "sposati". Che stronzo.

Mentre ragiono su tutto ciò, una figura appare a quello che sembra essere l'inizio del corridoio in cui mi trovo. La persona è contro luce, quindi non riesco a riconoscerla, ma quando si avvicina riesco finalmente a distinguerne i tratti chiaramente. Natasha. Non la vedevo da quando era uscita correndo dallo studio in cui ci aveva trascinato Alexei.

Gli occhi mi si spalancano per la sorpresa di vederla. Faccio per alzarmi, ma subito una fitta di dolore mi attraversa nuovamente il corpo ricordandomi che non posso farlo. Il sangue comincia ad uscire copiosamente dal foro che la pistola ha lasciato sulla mia gamba così faccio per mettere più pressione. La guardo, per poi chiederle, con voce flebile:

Alex:" Nat, ti prego...aiutami"

Alcune lacrime ricominciano a scivolare lungo le mie guance, mentre lei mi guarda negli occhi, e per un attimo rivedo quella bambina dai capelli rossi, con una pistola in mano che non sapeva neanche come usarla. La stessa bambina che tutte le mattine si ostinasse a farmi quegli storti e stupidissimi codini, nonostante sapesse benissimo il posto orribile in cui eravamo prigioniere; la bambina che mi curava le ferite che avevo sui piedi dopo le svariate ore passate a fare danza, o alla quale avevo sparato alla sua bambola preferita, solamente perchè ero gelosa. I ricordi più belli della mia infanzia mi investono come un'onda, lasciandomi boccheggiante sulla riva della spiaggia. Mi risveglio da quel turbinio di memorie e la vedo lì, quegli occhi verdi ora sono cambiati, non sono più quelli che mi hanno fatto ricordare, no sono freddi, distanti, gli stessi occhi che aveva quando dava il colpo di grazia alle sue vittime.

Non mi ero accorta che avesse fatto alcuni passi verso di me, fino a quando non la vedo indietreggiare, inciampando quasi nei suoi stessi piedi.

Io continuo a guardarla, implorandola con lo sguardo, mentre mi ritrovo a sussurrare un'altra volta.

Alex:" Tasha,...ti prego."

Lei mi fissa, alcune lacrime le bagnano il viso, le labbra le tremano ma continua a essere la composta assassina che tutti conosciamo, che dopo qualche istate mi risponde:

Nat:" Perchè dovrei aiutarti quando non so nemmeno chi sei."

Detto questo se ne va, lasciandomi nuovamente da sola. Non provo nemmeno a cercare aiuto dopo che Tasha se ne va, rimango lì in silenzio a rimuginare sulle parole di mia sorella, "...non so nemmeno chi sei", quelle parole mi hanno ferito profondamente.

"Nemmeno io so chi sono", penso ricordandomi ciò che mi ha detto Alexei poco fa, "Alexandra Barnes". L'ho già sentito questo cognome, ma ora non mi viene in mente chi potrebbe essere.

D'un tratto una voce mi risuona da dove in precedenza c'era stata Tasha, ma non riesco a riconoscerla. Dopo pochi secondi sento due braccia tirarmi su da terra, ma ormai sto iniziando a perdere i sensi a causa del sangue perso, quindi mi ritrovo a chiudere gli occhi e non riesco a vedere chi sia, ma una delle due braccia, quella che mi circonda le gambe è fredda, quasi fosse fatta di metallo, e così riconosco subito chi mi sta salvando.

"Bucky...Allora mi hanno trovato." penso mentre lui mi trasporta fuori da quel corridoio.

Bucky:" Tieni dura Alexandra, siamo quasi fuori."

D'un tratto un brivido mi percorre la schiena, mentre realizzo una cosa sconvolgente nella mia mente ormai annebbiata.

Bucky. Bucky Barnes.

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