Capitolo 13

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Jack

"Okay!" Ripete Jason ancora titubante.

"Vado avanti", dico rassegnato, mentre sento lo sportello di Bea chiudersi.

Quel suono mi fa male, come se avessi ricevuto un colpo. Sono furioso, li guardo entrare nella macchina grigia di Jason e colpisco il volante, ma cosa cazzo è successo alla mia vita nelle ultime ore? Sono disperato. Fino alla sera della festa tutto aveva un senso, tutti avevano un ruolo e dopo appena trentasei ore, non c'è più niente che vada bene. Colpisco ancora una volta, come se questo potesse svegliarmi dall'incubo in cui mi trovo.

Mi passo la mano tra i capelli, scompigliandoli ancora più di quanto non lo siano già. Cazzo, ero felice.

Tutto andava come doveva andare, l'università? Soddisfacente; la famiglia? Fantastica; gli amici? Di quelli veri di cui ti fidi e altri con cui cazzeggiare. Okay non avevo e non ho una donna, ma non la voglio neanche. Non dico per sempre, ma al momento no, mi sta bene spassarmela in attesa di iniziare la vita da adulto e ora... mi guardo e non mi riconosco.
È come se, quella dannata sera, avessi bevuto una pozione magica in grado di incasinarmi la vita.

Poi all'improvviso... alzo la testa di scatto e lascio vagare lo sguardo in avanti. Vedo Jason e Bea parlare animatamente, si capisce da come gesticolano, ma non mi concentro su di loro, mi torna in mente il testo di approfondimento che ho studiato lo scorso mese:

il soggetto decide di non ricordare il fatto traumatico per non rivivere il dolore.

Sconvolto abbasso lo sguardo sulle mie mani che tremano e per l'ennesima volta mi chiedo: "cosa è successo quella sera?"

Cerco di ricordare ancora una volta, mi sforzo di richiamare qualche immagine, ma vedo soltanto Bea entrare in casa, niente di nuovo, tutto finisce lì.

Il soggetto recupererà la memoria solo quando si sentirà pronto o quando un evento lo stimolerà a farlo.

Mi appoggio al manubrio e tolgo gli occhiali, li lanciò sul sedile accanto al mio. Scuoto la testa è, sicuramente, questo. So di non aver bevuto talmente tanto da giustificare un'amnesia.

Devo assolutamente trovare il modo di ricordare, e forse è davvero arrivato il momento di parlare con Bea.

Sento un clacson suonare e istintivamente mi tiro su, vedo Bea avvicinarsi alla mia auto, non affatto contenta.

Mi viene quasi da sorridere nel vedere il suo broncio, Jason riesce sempre a farle fare quello che vuole lui. Io no, non ho il suo stesso ascendente su di lei.

Ad ogni passo che l'avvicina a me, il cuore mi batte impazzito.
La vedo portarsi indietro i capelli, con aria frustrata, aprire lo sportello e accomodarsi accanto a me, al volo recupero gli occhiali.

"Jason dice che non devo fare la bambina e parlare con te."

La guardo sbattendo le palpebre per essere certo che sia qua, ed è così, anche se obbligata: è qui.
Ed io? Io ne sono felice.

Si volta verso di me arrabbiata.

"Non dici niente? E poi sarei io la bambina", si lamenta per poi sbuffare.

"Se non devi parlare me ne torno da lui" mi dice seria indicando l'auto grigia.

Continuo ad osservarla in silenzio, non riesco a dire nulla. I suoi occhi catturano i miei chiedendomi di fare qualcosa.

"Basta!"

Dice furiosa, pronta a scendere per tornare da dove è venuta. Vedo la sua mano poggiarsi sullo sportello e istintivamente la mia afferra il suo braccio. La tiro a me stringendola.

"No", mormoro "ti prego scusa, scusa, scusa..." ripeto tra i suoi capelli, mentre mi si rannicchia contro.

Il mio corpo trema ad averla così vicina, l'avvolgo nel mio abbraccio respirando il suo profumo floreale.

"Okay", sospira arresa.

E poi succede. Un flash illumina la mia mente: Jack andiamo a ballare dai... no! Dai. Ho detto no! Dai. No! non guardarmi così, dai Bea non è giusto. Ti prego! D'accordo ma solo uno. Odio come tutti ti guardano mentre balli con me. Lo faccio per questo! Cosa? Niente, niente andiamo.

Uno scambio di battute tra di noi, della scorsa notte, mi ritorna in mente e rivedo perfettamente il suo sguardo dolce, mentre mi implora di ballare, sguardo a cui non ho mai saputo dire di no, lo stesso che ha usato anche ieri mattina.

Mi allontano da lei di scatto.

"Che c'è? Sei cosi bianco."

È preoccupata, se ne torna al suo posto e continua a fissarmi. Anche lei ha tolto gli occhiali e vedo la confusione nel suo sguardo. Le sopracciglia le si piegano e vedo che vorrebbe leggermi dentro. Distolgo gli occhi e fisso la strada davanti a me.

"Non ricomincerai a fare lo strano, vero?"

"No!"

Le dico secco, ma me ne pento subito, non è colpa sua tutto questo. Cerco di ricompormi e farle un sorriso.

"Scusa."

Le ripeto, ancora, vedendo il suo sguardo offeso.

"D'accordo. Hai ragione, ho qualcosa che non va." Sospiro. "Ma non voglio parlarne ora. Possiamo rinviare a più tardi, a quando saremo a casa?"

La supplico con le mani giunte. La vedo fissarmi per un po', fino a quando abbassa la testa in segno di consenso.

"Bene, andiamo." Dico sollevato.

Mi giro nuovamente verso la strada e faccio cenno a Jason di partire, vedo il suo ghigno nello specchietto e lo fulmino con lo sguardo. Anche lui mi farà impazzire, prima mi ordina di starle lontana e poi me la rimanda in auto. Penso che dovrò fare una chiacchierata anche con lui.

Metto la freccia per immettermi nel traffico e mentre ripenso al frammento di ricordo provo un certo fastidio, quando risento la sua voce birichina dirmi "lo faccio per questo", che cazzo significa che lo fa per questo? Non la deve toccare nessuno, neanche tu. Cosa? Certo neanche io.

Arrendersi all'inevitabileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora