Prologo 01

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PROLOGO

Novembre 1987

Neve.

La neve ricopriva ogni centimetro di Mosca. Si posava volteggiando in piccole volute sulla città addormentata. Centimetro dopo centimetro, granello dopo granello, tutto era sepolto dalla coltre candida e pesante dei cristalli.

Gocce più scure caddero sul manto, distruggendo l'alone di purezza che la natura aveva pazientemente creato. Nascosta nell'ombra di un palazzo fatiscente, una figura umana stava inquinando il candore con il suo sangue.

Si teneva lontana dalla luce dei lampioni; qualcuno la stava cercando.

Diana era nuda, coperta solo da una leggera sottoveste, che svolazzava sospinta dal vento scoprendole le gambe. Era stata costretta ad abbandonare i suoi vestiti in camera per non essere catturata. Durante la fuga era stata colpita al braccio da un proiettile; le si era recisa un'arteria e non riusciva a bloccare l'emorragia.

Sul cumulo di neve sotto i suoi piedi si era formato un rigagnolo rossastro. Era stato Jack a tradirla, il suo amante. Le aveva promesso collaborazione, una vita migliore, divertimento e lei gli aveva creduto. Si era persa nella profondità dei suoi occhi viola e aveva abboccato all'amo; era caduta nella trappola dell'organizzazione che la stava braccando da anni.

Batté la testa contro il muro, stava perdendo le forze, le palpebre erano due macigni, non avrebbe resistito a lungo. Sarebbe rimasta lì ad attendere la morte, non poteva fare altrimenti. Affrontare i suoi inseguitori e tentare la fuga era fuori discussione: l'organizzazione l'avrebbe rintracciata ovunque. Ora che conoscevano la sua identità e la sua storia, non l'avrebbero lasciata in pace.

Sentì i cani abbaiare poco distanti da lei. Si strinse contro il muro. Aveva un groppo alla gola e gli occhi azzurri gonfi di pianto. Solo in quel momento si accorse della scia di impronte e sangue che si era lasciata alle spalle. I cani l'avrebbero rintracciata in breve tempo e la morte non si decideva ad arrivare, i soldati l'avrebbero salvata dalla morte ma sarebbe stata loro prigioniera per almeno venti anni. Doveva trovare un luogo più sicuro dove nascondersi.

Si girò verso la strada e scorse in lontananza una struttura in cemento, era il parcheggio di un centro commerciale. Esaminò l'altezza.

"Cinque piani.", sussurrò.

"È qui!", urlò una voce alle sue spalle, "L'ho trovata!"

Diana riconobbe la voce di Jack. Uscì allo scoperto correndo, a passo incerto, incontro alla morte, fuggendo dalla schiavitù. Attraversò a grandi balzi la strada deserta inseguita da Jack e dai soldati dell'organizzazione.

"Fermati Diana!", le intimò Jack.

Ma lei non si fermò. Non aveva alcuna intenzione di farlo. La prigionia non le si addiceva, era questa la ragione per cui aveva tradito i suoi ideali: voleva una vita normale. L'avrebbero sottoposta a terribili torture allo scopo di cavarle la verità da bocca. Non ci erano riusciti con le buone, ora si prospettavano le cattive. E lei avrebbe ceduto prima o poi. Era solo un'umana e non una divinità come credevano loro. La sua morte avrebbe regalato una speranza al mondo. Doveva assicurarsi che la sua missione passasse ad altri.

Arrivata in prossimità dell'edificio, allungò una mano sulla maniglia della porticina che affacciava sul passaggio pedonale. Non ebbe nemmeno il tempo di sperare che fosse aperta. Ebbe fortuna e per poco non cadde, tanta era la forza con cui l'aveva spinta.

Il corridoio era ben illuminato e le luci al neon misero in evidenza il pallore che il suo viso stava assumendo nonostante l'abbronzatura. La ferita al braccio andava meglio, il freddo aveva parzialmente bloccato l'emorragia. Avanzò, zoppicando, reggendosi al corrimano.

Sentiva i soldati farsi più vicini, più pericolosi.

Non riuscì a trattenere un conato di vomito. Caviale e champagne che quella sera aveva consumato, in compagnia di Jack, tornarono su. Il rigurgito conteneva tracce di sangue. La testa le ronzava, il mondo cominciava a vacillare.

Oltrepassò una seconda porta e fu nel parcheggio; era silenzioso e avvolto dalla penombra.

"Signore, aiutami tu, non mi abbandonare."

Il rumore dei passi sul duro asfalto produceva un'eco particolare: il suono della piccolezza umana, della sconfitta. Oltre a quello avvertiva un rumore sinistro. Un verso agghiacciante. Si accorse che era il suo respiro, era diventato un rantolo disperato. Lei era disperata, alla ricerca di aria che la tenesse in vita per un altro minuto, altri preziosi minuti.

"Dammi la forza. Ti prego, dammi la forza." Non ottenendo risposta, piagnucolò.

L'avevano abbandonata. Li aveva traditi ed era stata punita.

Una luce bianca, una piccola sfera di luce incorporea le roteò attorno e le indicò il percorso da intraprendere.

Lei la seguì con lo sguardo. "Sei tu?"

Non ottenne alcuna risposta.

La luce scomparve quando fu sicura che Diana guardasse esattamente nella direzione degli ascensori. La donna sgranò gli occhi pieni di lacrime e si gettò nell'ultima corsa della sua vita. L'ascensore era su quel piano, non aveva dubbi. Entrò e schiacciò il pulsante che l'avrebbe portata in cima.

"Diana!"

Vide Jack, la sua capigliatura scura, i suoi occhi brillanti, seguito dai soldati. I loro passi risuonarono come proiettili. Gemette ad ogni tonfo. Si rannicchiò ad un lato dell'ascensore e li guardò, con il cuore in gola, fino a che le porte non si furono serrate.

Dopo un secondo udì un tonfo. Jack aveva colpito la cabina con furia.

"Come la raggiungiamo?", chiese uno degli uomini.

Jack provò a richiamare il secondo ascensore, ma era bloccato. "Accidenti.", disse tra i denti. "Le scale! Usiamo le scale!"

Anche la porta d'accesso alla tromba delle scale era bloccata. Jack sapeva cosa la tenesse ferma, o chi. "Sei tu, non è vero?" Assestò delle poderose spallate alla porta. "Maledetto, lasciami passare. Prima o poi la cattureremo, non ha vie di scampo! E prenderemo anche te!"

Il colonnello Frank Zagaglia si fece avanti. Era un uomo corpulento, dai tratti mediterranei. "È lui?"

Jack gli fece cenno di tacere; nonostante il colonnello fosse un illustre personaggio per la società, non era nessuno per l'organizzazione: solo una pedina, un'esca per far uscire allo scoperto l'assassina. Assestò altre spallate alla porta e la sentì vacillare. "Sei stanco?"

La forza che dall'altro lato stava bloccando il passaggio lasciò la presa appena fu certa che l'ascensore era arrivato in cima alla struttura.

Jack aprì la porta con una pedata e non vide nessuno.

Frank lo osservò sconcertato. "Ma cosa?"

"Non c'è tempo!", lo zittì. Si rivolse ai suoi colleghi: "Seguitemi, presto!" Aveva il fiatone ed era eccitato. L'adrenalina era a mille. Era stato un bel colpaccio per lui portarsela a letto e nel contempo spiarla. Infine metterla alle strette, farle credere di essere dalla sua parte e offrirle la possibilità di una vita migliore. Lei gli aveva raccontato tutto: chi fosse realmente e quale fosse la sua missione.

Una bella pallottola in fronte avrebbe decretato un finale perfetto, ma gli ordini erano di portarla indietro, sana e salva. Sana non proprio e nemmeno salva, ma viva.

L'Angelo della MorteWhere stories live. Discover now