5.

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Esamino con cura il mio outfit e sorrido soddisfatta, scendo dall'auto e chiudo lo sportello. Scosto i capelli dietro le spalle, ignorando la ventata gelida che mi schiaffeggia in pieno viso e mi avvicino alla carinissima villetta che ho davanti. È uno dei nuovi complessi costruiti negli ultimi anni e ad essere sincera, mi domando anche se ci sia lo zampino di un certo Maxwell. Arrivo al cancello e scruto il campanello. Anita M... non si legge il cognome, sembra come se l'inchiostro sia stato lavato via.

«Layla Morgan?» un accento britannico mi arriva alle orecchie.

Sollevo il capo e sorrido notando una bellissima donna, credo sui trenta, che mi sorride di rimando, ferma sulla soglia di casa.

«Proprio io. Anita?»

«In persona!» risponde.

Il cancello vibra e poco dopo me lo chiudo alle spalle. La raggiungo e rimango estasiata dalla sua bellezza. È alta, capelli più biondi del grano e grandi occhi dello stesso colore del cioccolato fuso. Gambe lunghe e un fisico longilineo. Io non sono bassa, affatto, ma nemmeno lei scherza.

«Prego, accomodati. Ho appena messo su il tè» si fa da parte per potermi far passare.

Mi guardo intorno, notando una marea di scatoloni e carta da imballaggio. «Vi trasferite?»

«In realtà, ci siamo appena stabiliti qui. Siamo arrivati una settimana fa e io ho subito inserito l'annuncio sul sito perché il mio lavoro non mi permette molte vacanze» spiega, scostando una manciata di macchinine con il piede. «Spence! Vieni di sotto!» esclama. «Come avevo già accennato, sarebbe perfetto se potessi portarlo da te nel pomeriggio e riprenderlo prima di cena. A volte potrebbe capire anche oltre, ma tu hai assicurato che non sarebbe stato un problema, quindi...»

«Non lo è, infatti» la rassicuro. «Posso anche lavorare da casa se ce ne fosse bisogno. Però ti avviso già da adesso che nel fine settimana mi viene un po' complicato, soprattutto la domenica. Lo preciso, nel caso dovessi fare degli straordinari.»

Ci tengo a mettere le cose in chiaro con chi lavoro. E poi diciamocelo, con i pranzi della domenica c'è il rischio che lo traumatizzerei quel povero bambino anziché farlo divertire.

«Eccomi!» esclama un bambino.

Mi scontro con due pozze verdi, capelli biondo cenere che incorniciano un visino adorabile.

«Ehilà» sollevo una mano in direzione del bambino che mi esamina con aria sospetta.

«Sei la babysitter? Puoi dire tu a mia madre che sono grande abbastanza da stare da solo?» domanda con quell'accento britannico che mi fa impazzire.

Adesso, questo è il momento della verità, mi gioco tutta la tua simpatia e il rispetto di Anita. «Potrei, certo, non c'è dubbio che tu sia grande ma non penso che tua mamma ti farebbe uscire di casa e poi chi è che ti porterebbe a mangiare il gelato? O al cinema? O lo zoo? Io proprio non saprei» picchietto l'indice sul mento, in attesa di qualunque reazione.

Si gratta il collo. «A questo non avevo pensato. Per me può restare» si rivolge alla madre.

«Beh,» ride Anita. «Grazie per avermi dato il permesso. Spencer, ti presento Layla. Layla, lui è il mio tesoro, Spencer.»

Spencer guarda la madre con aria criptica. «Dallo zio mi ci porta, vero? Ci siamo trasferiti pure per questo e tu lo hai promesso.»

«Ma certo che ti ci porta. Dovremmo prima parlare con lui e accordarci sui giorni, ma si può fare. Adesso vai pure a giocare» gli accarezza il viso e il bambino, dopo avermi salutato, si fionda su per le scale.

«Scusalo, è ancora un po' frastornato dal nuovo ambiente. Mio fratello vive qui da anni ormai, ha praticamente perso ogni accenno del suo accento. Noi avevamo bisogno di un cambiamento bello grande e così... eccoci qua» sorride Anita stringendosi nelle spalle, le mani nelle tasche dei jeans.

𝐋𝐀𝐘𝐋𝐀 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟒]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora