Dear Diary - The Vampire Diar...

By Dottie93

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DELENA [AU: Tutti umani] Elena Gilbert è una ragazza di diciotto anni, all'ultimo anno di liceo, ch... More

Dear Diary
Today I saw a boy
And I wondered if he noticed me
He took my breath away
Diary, do you think we'll be more than friends?
I can't get him off my mind (parte 1)
I can't get him off my mind (parte 2)
And it scares me (parte 1)
And it scares me (parte 2)
'Cause I've never felt this way (parte 1)
'Cause I've never felt this way (parte 2)
Does he know what's in my heart? (parte 1)
Does he know what's in my heart? (parte 2)
Should I tell him how I feel...? (parte 1)
Should I tell him how I feel...? (parte 2)
I thought he smiled at me (parte 1)
I thought he smiled at me (parte 2)
As he walked by (parte 1)
As he walked by (parte 2)
As he walked by (parte 3)
As he walked by (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 1)
Now I can't wait to see that boy again (parte 2)
Now I can't wait to see that boy again (parte 3)
Now I can't wait to see that boy again (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 5)
One touch of his hand (parte 1)
One touch of his hand (parte 2)
One touch of his hand (parte 3)
One touch of his hand (parte 4)
One touch of his hand (parte 5)
One touch of his hand (parte 6)
So, diary, I'll confide in you (parte 1)
So, diary, I'll confide in you (parte 2)
So, diary, I'll confide in you (parte 3)
He smiled (parte 1)
He smiled (parte 2)
He smiled (parte 3)
He smiled (parte 4)
And I thought my heart could fly (parte 1)
And I thought my heart could fly (parte 2)
No one in this world knows me better than you do (parte 1)
No one in this world knows me better than you do (parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 1)
Please, tell me what to say (Parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 3)
Diary, tell me what to do (parte 1)
Diary, tell me what to do (parte 2)
Diary, tell me what to do (Parte 3)
...or would that scare him away? (Parte 1)

So, diary, I'll confide in you (parte 4)

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By Dottie93

Le mani di Damon sembravano essere ovunque, come le sue labbra, e così Elena cercava di fare altrettanto: spalle, viso, fianchi, collo, qualunque cosa riuscisse a toccare. Erano finiti un po' sul pavimento, poi erano tornati sul letto, e dopo ancora aveva perso la cognizione del tempo e dello spazio, per quel che ne sapeva lei, potevano anche essere arrivati al divano.

Non aveva nemmeno idea di quanto tempo era passato, aveva solo la vaga concezione del materasso contro la schiena, anche se per poco perché a forza di rotolarsi tra le lenzuola, continuavano a scambiarsi il posto.

Era senza fiato, sembrava quasi che, ad ogni momento, avrebbe davvero potuto smettere di respirare, ma non c'era nessuna paura in quel pensiero. Forse perché quella tortura era talmente dolce che niente poteva sembrarle una cosa negativa.

«Dam...» lo chiamò, piano, per quel che si poteva permettere, un po' perché lui non le lasciava abbastanza spazio per parlare un po' perché non le lasciava abbastanza fiato.

Il ragazzo sollevò la testa a guardarla, curioso e con un sorriso birichino sulle labbra. «Mmh?» suonava un po' come se già avesse saputo che voleva dirgli.

Elena era sicura che fosse così, infatti non ebbe bisogno di dire nulla: la portò esattamente dove voleva, e lei si lasciò andare in un grido muto, con la testa sepolta tra due cuscini, e le mani incastrate tra i suoi capelli.

Le labbra di lui, invece, indugiavano ancora pigramente sulla sua pelle, sebbene anche Damon fosse stanco quanto lei: il tempo che avevano dedicato l'uno all'altra fu chiaro, però, solo quando suonò la sveglia sul comodino.

Fu in quel momento che entrambi si guardarono quasi increduli, prima di ridacchiare, un po' per sconcerto, un po' per vero divertimento.

«Credo di aver provato la mia fama.» fu il commento di lui, malizioso.

Certo lei non poteva dire il contrario. Da quando avevano scoperto quel lato della loro relazione, non avevano avuto problemi ad andare avanti a lungo, ma le cose da "tutta la notte" sembravano ancora troppo da film per poter essere vere.

Rise, dandogli una leggera spinta sulla spalla. «Scemo.»

Lanciò uno sguardo alla sveglia solo per scoprire che erano davvero le sei del mattino, e si disse che erano fortunati perché la scuola era più vicina da lì, e si poteva impiegare quel tempo in più per le coccole, anche se Damon si era sempre dimostrato poco portato: come aveva detto lui, le coccole finivano sempre per essere dell'altro.

E poi aveva proprio bisogno di alzarsi da lì, non solo perché si doveva sgranchire un po', ma perché quel letto era diventato un campo di battaglia, letteralmente, e non solo per le lenzuola fuori posto. Stava cominciando a diventare disgustoso, restare lì, ora che non c'era nulla per distrarsi dal pensiero dell'igiene.

«Colpa tua.» Damon sembrò averle letto nel pensiero, senza nemmeno avere il bisogno di guardarla. «Adesso devo fare la lavatrice.»

Elena tirò su un sopracciglio. «Non credo proprio.» incrociò addirittura le braccia, forzandolo ad alzare la testa dal suo sterno. «Questa è tutta colpa tua!»

Non attese nemmeno che potesse provare a rispondere perché lo spinse via, troppo in imbarazzo al pensiero che lui potesse, effettivamente, avere ragione. Riuscì a spostarlo solo perché l'aveva preso di sorpresa, ma di certo non la lasciò allontanarsi troppo così presto: la tirò per un braccio, e lei si ritrovò di nuovo stesa, ma stavolta sopra di lui, che a quanto pare non indugiava in formalità.

«Che ti importa?» le disse, leggero. «Tanto tra dieci minuti facciamo la doccia.»

«Vedo che hai già deciso tutto.» osservò lei, divertita, però si sistemò meglio contro il suo petto. «Spero che avremo il tempo anche di fare colazione.»

Lui sembrò rifletterci su: l'idea non lo stuzzicava particolarmente, anche perché la colazione avrebbe tolto considerevole tempo a qualche altro tipo di attività più interessante.

«Mmh...» borbottò, poco convinto. «Non sono neanche sicuro di avere cose commestibili in frigo.»

La ragazza arricciò il naso. «Scusa ma che volevi mangiare, ieri sera?»

«Il mio sesto senso sapeva che saresti venuta a salvarmi dalla mia miseria.» scherzò, in risposta, dandole un pizzicotto sul fianco.

Lei strillò, esattamente nel modo che lui avrebbe definito "da ragazzina", come lo furono le sue risatine successive, eppure già sapeva che non c'era niente che avrebbe amato di più sentire di prima mattina.

La sua routine era sempre stata quella di svegliarsi da solo: era sempre andato via tutte le volte che si era trovato a intrattenere una ragazza, solo per evitare il risveglio di fianco a qualcuno che non sapeva chi fosse. Non poteva dire di conoscere benissimo Elena, sebbene a volte gli fosse così facile starle accanto da sembrare che si conoscessero da sempre, ma svegliarsi con lei aveva qualcosa di... strano, perfino quando non si erano svegliati per niente perché avevano passato la notte a fare altro che dormire.

Se l'avesse detto a lei, di sicuro avrebbe sperato fosse strano "nel senso buono", e naturalmente lo era.

Avrebbe solo voluto non doversi alzare da quel letto e affrontare quei problemi che, di sicuro, avrebbero trovato fuori da quella porta. Solo dopo si sarebbe permesso di trovare dell'ironia in quel pensiero, ma per il momento, era troppo occupato a godersi la ragazzina tra le sue braccia.

Era quasi spaventoso il pensiero di non poter più essere in grado di fare a meno di lei, per quanto ci avesse provato durante quei sette giorni, o anche solo pensato di poterlo fare. Alla fine, aveva pensato così tanto che si era solamente confuso di più nei suoi riguardi.

Tutto quello che sapeva per certo era che, se anche non ne aveva davvero un motivo, ma anzi aveva tutti i motivi per non esserlo, era felice per il semplice fatto di essere con lei.

«Sei silenzioso.» notò Elena, che lo stava già guardando da un po'. Il solletico era finito fin troppo presto ed era sfociato in un silenzio che lei non era riuscita a spiegarsi, anche se non era necessariamente teso.

«Stavo pensando.» fu la risposta criptica di lui, che sapeva bene di stare stimolando soltanto la sua curiosità al riguardo.

Quella tragica, naturalmente, infatti i suoi occhi si erano già accesi di preoccupazione, perché lei non ne poteva fare a meno, e di questo Damon avrebbe dovuto rendersi conto prima, molto prima di darle, anche se non se ne era accorto, un peso troppo grande da sopportare e un segreto che non sarebbe stata mai capace di mantenere.

«A quanto sei carina.» aggiunse, con un leggero sorriso, prima che lei potesse affliggersi inutilmente.

Le accarezzò i capelli, senza poter fare a meno di ritornare a ragionare sulla sera prima, a quanto fosse stato ingenuo a pensare che il problema di sua madre non sarebbe mai venuto fuori, finché avesse deciso di nasconderlo, a quanto avesse mal giudicato il rapporto che c'era tra Stefan ed Elena, e a quanto avesse potuto, quella lontananza che lui le aveva chiesto, farla soffrire, farli soffrire entrambi.

L'aveva raggiunta solo dopo aver parlato con lui, non era stato più arrabbiato con lei di quanto fosse stato con se stesso. Sapeva anche da solo che era giusto suo fratello sapesse, eppure aveva lo stesso voluto tentare di risparmiargli quella sofferenza dentro cui lui stesso stava cercando di raccapezzarsi, senza successo, e quindi aveva riversato gran parte della sua frustrazione su Elena, e un po' si era anche sentito tradito, in effetti.

Perché era dannatamente geloso.

Lo era stato anche quando non aveva capito fino a che punto quei due fossero legati, adesso era anche peggio, e non poteva che sentirsi stupido, perché era conscio che nessuno dei due avrebbe potuto fargli una cosa tanto terribile. Se fosse dovuto succedere, sarebbe successo prima che lui tornasse in città, razionalmente lo sapeva, ma nell'amore non c'era assolutamente niente di razionale.

E poi lei aveva scelto Stefan, oppure aveva scelto se stessa, sul momento non era stato davvero in grado di capirlo, per questo l'aveva fermata: aveva avuto paura che sarebbe andata via davvero e stavolta dubitava che sarebbe tornata, o che lui avesse potuto trovare un modo per permetterglielo.

«Ti amo.» lo distrasse lei, con una semplicità che aveva dell'incredibile. Stava sorridendo felice, e già solo questo aveva il potere di far sbiadire tutte le sue sciocche preoccupazioni.

Non ci mise che un istante a rispondere: «Anch'io ti amo.» con tutta la sincerità che possedeva.

Eppure lei non reagì come sempre, con la sua risatina imbarazzata e felice, prima di nascondere la testa contro di lui per cercare di contenere la contentezza in qualche modo: si fece più seria, quasi triste.

Restò zitto.

«No.» fu Elena a parlare. «Intendevo proprio ti amo, ti amo.»

Damon alzò le sopracciglia in una muta ricerca di spiegazioni. Non aveva proprio idea di cosa volesse dire, solo che lei non sapeva come dirglielo, come fare ad eguagliare quella confessione che le aveva fatto solo poche ore prima, un modo bello, davvero bello, di dire "ti amo così come sei", un ti amo vero.

«Voglio dire...» tentò, in difficoltà e con le guance che ora bruciavano come fuoco. «...non nonostante quello che sei, ma perché sei quello che sei.»

L'avrebbe amato sempre. E forse lo pensavano tutte le ragazze alla sua età, col primo, vero amore, ma Elena era davvero sicura che sarebbe stato così. Qualunque versione di Damon, qualunque lato di lui, non avrebbe mai smesso.

Era un: "Tra un milione di altri, sceglierei sempre te." con la certezza che sarebbe successo lo stesso per Damon.

Era così sincera che, per un folle attimo, il ragazzo ne fu turbato, ma la verità era che nessun altro nella sua vita si era mai concesso di dirgli nulla del genere, anche se era stato lui a tenersi lontano, lei era stata l'unica che aveva provato ad andare oltre, era stata l'unica a pensare che ci fosse qualcosa da guardare, e la cosa non smetteva di stupirlo ogni volta.

Lo fissava come se non ci fosse nemmeno l'ombra del rimorso per quella scelta, e lui non avrebbe davvero potuto amare di più un'altra persona di quanto non facesse con Elena.

«Era un ti amo, ti amo anche il mio.» fu tutto ciò che poté dirle, anche se uscì più come una frase scherzosa che dolce, ma andava bene così.

Lei avrebbe capito.

Elena, infatti, si sporse per dargli un bacio, senza dargli l'opportunità di renderlo qualcosa più di quello perché erano quasi le sei e mezzo, e avrebbe avuto due cosette da spiegare, quando "Elena" sarebbe andata a scuola e fosse sparita per fare spazio a Caroline, se non fossero state precisamente sincronizzate.

E non voleva rischiare di rovinare una giornata che era iniziata così bene.

Quindi si tirò su e fu abbastanza accorta dall'all0ntanarsi più di quanto non avesse fatto, prima di lanciargli uno sguardo, o lo sapeva che, con le sue capacità di persuasione, l'avrebbe convinta a restare tutta la mattina a letto, se era quello che voleva.

L'avrebbe voluto anche lei, e se le cose fossero state un po' diverse, forse, l'avrebbe fatto davvero.

«Coraggio, dobbiamo farci la doccia.» lo spronò, prima di invogliarlo a seguirla scappando fuori dalla stanza.

Lo sentì sospirare sconsolato e scosse la testa.

«Hai ragione.» le disse, punzecchiandola, quando ormai lei già aveva aperto l'acqua calda. «Qui non c'è il rischio che mi inondi le lenzuola.»

L'avvolse con le braccia perché non avesse nessun posto dove scappare: amava vedere quelle guance accendersi di imbarazzo, anche se erano solo loro due.

«Piantala.» gli intimò lei, infatti, ritraendosi, cercando un posto in cui potesse sottrarsi a quello sguardo malizioso. «Non sono stata io. Non è mai successo!»

«Te l'ho detto.» fece lui, in risposta, nemmeno stesse enunciando una verità assoluta. «Sono un amante fenomenale.»

E, giusto per dimostrarlo per l'ennesima volta, si chinò a baciarla, mentre nel frattempo la spingeva nel box, dove ormai l'acqua era della giusta temperatura. Fu contento di perdere quel tempo, anche se alla fine a lavarsi ci riuscirono davvero, più per insistenza di Elena, che aveva approfittato solo di un attimo di distrazione, una volta che si era asciugata i capelli, per lasciargli un fin troppo visibile segno violaceo sul collo, mentre lui era impegnato a mettere insieme qualcosa da mangiare al volo.

Erano quasi le sette e dieci, e se anche ci volevano cinque minuti da lì al liceo, Elena sembrava avere fretta, anche se non gli aveva esattamente spiegato, sapeva solo che c'entrava la Barbie e tanto bastava a giustificare l'impazienza della ragazzina che però canticchiava raccattando le sue cose in giro per casa sua.

Le aveva anche nascosto la biancheria per fare un po' lo spiritoso, ma lei nemmeno se n'era accorta: aveva portato da casa una borsa piena di tutti quei generi di prima necessità, forse ricordando quanto era bravo a farli sparire.

L'aveva sconvolto quando gli aveva chiesto se poteva lasciarla lì.

«Può essere utile le volte che torno.» si era giustificata così, quando non lo aveva visto reagire in nessun modo, pensava di avergli fatto venire davvero voglia di comprare quel biglietto per sola andata per Timbuktu di cui aveva avuto paura il giorno di Miss Mystic Falls. «Oppure no...»

Aveva fatto per mettersela in spalla, quando lui si era improvvisamente riappropriato delle funzionalità cerebrali.

«Okay.» aveva semplicemente detto, annuendo quasi meccanicamente.

«Posso portarla via.» non voleva mica creargli scompensi, anche se non ci vedeva niente di male, dato che sperava di poter passare qualche notte a casa sua, benché non completamente autorizzata dai suoi genitori. «Pensavo solo che potesse essere comodo. Specie se il giorno dopo c'è scuola, tutto qui... non voglio popolarti i cassetti di roba mia, solo avere il necessario per non tornare a casa.»

La risata di Damon l'aveva definitivamente confusa. «Scherzi? Ho due cassetti e un intero armadio vuoto. Mettici quello che vuoi, puoi anche rifarti il guardaroba per quel che mi riguarda.»

Non era rimasto come uno stoccafisso perché terrorizzato, ma perché ci aveva messo un po' a realizzare quanto gli fosse piaciuto vederla aggirarsi per casa sua con tutta la naturalezza del mondo. Gli avrebbe fatto più che piacere se fosse rimasta per altre notti come quella, anche se adesso stava morendo di sonno ed era a un passo dall'essere certo che sarebbe crollato sulla scrivania, una volta arrivato in ufficio.

Lei era rimasta sorpresa. «Sul serio?» era una domanda incerta, quasi incredula che potesse davvero aver dato il permesso, ma poi lo vide annuire con nonchalance e decise di lasciare la borsa nell'ingresso perché non c'era tempo per sistemarla meglio.

E poi era sempre un'ottima scusa per tornare da lui, anche se sapeva, ormai, di non averne alcun bisogno.

Lo fermò proprio sulla soglia, che aveva già aperto la porta, tirandolo per il maglione, non aveva fatto nemmeno in tempo a mettersi la giacca, ma Elena sospettava che non si sarebbero rivisti più per quel giorno, dato che era opportuno che tornasse a casa, almeno quella sera, sempre ammesso che Caroline non avesse avuto di nuovo bisogno di sfogarsi – anche se lei era una di quelle che certe cose le fa una volta sola, e solo se se le concede.

In ogni caso, non si sarebbe certo lasciata sfuggire un'occasione per poter avere qualche coccola extra: lo tirò verso di sé per baciarlo, e nessuno dei due si curò più di nient'altro, né nella porta semiaperta, né del fatto che nel giro di venti minuti al massimo sarebbe suonata la prima campanella.

Fu il resto a prendersi gioco di lei, esattamente come sempre. Perché quando pensi di poter abbassare la guardia, che finalmente qualcosa può andare dritto, se è un periodo no, tornerà a fartelo sapere. Quello era in modo abbastanza evidente un periodo "no", di quello con la "n" maiuscola e le luci di emergenza.

«Damon?» la voce di Alaric li sorprese proprio dopo che l'interpellato aveva spalmato Elena contro la parete di fianco alla porta.

Allarmati, i due ragazzi si scambiarono uno sguardo: lo spiraglio di porta era aperto, ma il professore di storia non era ancora abbastanza vicino per vedere chi fosse dentro insieme al padrone di casa, ed era meglio che non lo facesse mai. Aveva reso fin troppo chiaro da che parte stava, e di sicuro nessuno dei due aveva bisogno di un'altra lezione di vita o di un prolungamento a oltranza della già assurda punizione di cui erano vittima.

Poi Damon non avrebbe mai potuto prenderlo sul serio, lo conosceva da troppo tempo.

Elena era solo preoccupata, non per sé, quanto per Damon stesso, e maledì il suo triste destino di essere sempre sull'orlo di essere scoperta da qualcuno dietro una porta. Era troppo chiedere un attimo di pace?

«Damon ci sei?» ripeté l'uomo, e stavolta i passi si stavano avvicinando per davvero.

Con una velocità che aveva del disumano, Damon sparì oltre la soglia: aveva aperto e richiuso la porta così in fretta che nemmeno Elena stessa aveva avuto il tempo di sbattere le palpebre. «Ah, eccoti. Pensavo avessi lasciato casa aperta.»

La risata nervosa di Damon non aveva niente di naturale. «Che dici? Mica sono scemo.»

La ragazza sospirò contro la porta, appoggiandocisi con la fronte. Rischiava di fare tardi a scuola e, con ogni probabilità, Alaric avrebbe fiutato qualcosa, dato che era così amico del suo ragazzo, non c'erano molte chance, stava quasi pensando di uscire fuori e di farla finita con tutti quei sotterfugi, ma qualcosa la fermò.
Forse il tono del suo professore o la paura che avrebbe davvero finito per non vedere Damon da lì all'eternità se suo padre fosse venuto a sapere che aveva passato la notte fuori – con lui.

«Tutto bene?» suonava piuttosto guardingo, e lei già si immaginava Damon e la sua faccia da poker.

Non era proprio bravissimo a fingere, a meno che la persona che aveva davanti non significasse nulla per lui e, per quanto potesse dire che in quel periodo Alaric non fosse la sua persona preferita, Elena sapeva perfettamente quanto ci tenesse in realtà alla sua amicizia.

«Perché me lo chiedi?» chiese Damon, di rimando.

Avrebbe potuto anche sembrare una domanda lecita, ma forse perché lei si trovava in quella situazione, la trovò incredibilmente sulla difensiva.

Se avesse potuto vederlo, avrebbe notato che si stava toccando il collo, gesto tipico se era particolarmente nervoso, e non tanto per sé quanto per la ragazzina dietro la porta. Era sicuro che Grayson sarebbe stato in grado di rinchiuderla stile Raperonzolo, se avesse saputo che aveva passato la notte da lui.

Quel dettaglio ad Alaric non sfuggì, soprattutto perché aveva evidenziato un particolare inconfondibile.

«C'è una ragazza lì dentro, non è vero?» parlò in modo glaciale, molto diverso dal tono che aveva usato prima.

Elena sentì un tuffo al cuore, sembrava che fosse precipitato nel suo stomaco come una pietra in uno stagno, ritirò le mani dalla maniglia.

Che cosa potevano fare, ora?

Perfino Damon non sembrava sapere come riuscire a tirarsene fuori. «Quale ragazza, sei pazzo?» ma perfino quello sembrò smentirlo.

E lei voleva solo aiutarlo, ma lui teneva la porta in modo che lei non potesse uscire, farsi vedere.

«Non posso crederci.» fu il commento deluso di Alaric «E io che ero anche venuto a darti notizie di Elena!»

Entrambi i ragazzi si pietrificarono sul posto, ma l'uomo poteva vederne uno soltanto e la prese come una sorta di ammissione di quella colpa che, però, Damon non aveva mai commesso.

«Elena?» cerco di prendere tempo così, ma lo sguardo del suo migliore amico, se possibile, si indurì.

«Elena sì, quella che andavi in giro a dire essere la tua ragazza.» replicò, gelido. «Mia nipote. Te la ricordi?»

L'altro sospirò, sconfitto: è quel genere di situazione in cui hai perso comunque. Facendo scoprire Elena avrebbe perso lei, non facendolo, Alaric.

La terza via non c'era, ma ci provò lo stesso: «Ric...» usò quel tono, come per dire "Capiscimi" con cui l'aveva comprato altre volte.

Stavolta, com'era facile immaginare, non funzionò affatto, si trattava di Elena non di una qualunque altra ragazza rimorchiata in un bar, e non era nemmeno possibile ignorarla, adesso che si era messa a cercare di aprire la porta.

Per fortuna, Damon fu abbastanza pronto da fare più forza sulla maniglia in tempo prima che si aprisse per mostrare qualcosa di troppo.

«Non posso crederci!» ripeté, quindi, Alaric, tanta era l'incredulità di aver avuto una conferma così netta dei suoi sospetti più terribili. «Sai una cosa? Lascia perdere, non ne vale nemmeno la pena.»

Fece per girarsi, ma Damon tentò lo stesso di bloccarlo. «Senti non è...»

Non è come sembra.

La scusa più usata e la più falsa che, però, in quel caso era vera. Ma dire una cosa del genere a una persona arrabbiata e soprattutto già sicura di sapere cosa stia succedendo, non è la scelta migliore.

Optò per il silenzio, mentre Alaric, che si era fermato per ascoltare, riprese a camminare col passo impettito di chi della rabbia non sa cosa farsene, come liberarla.

«Ti credevo migliore di così.» fu l'unica cosa che gli disse, prima di sparire giù per le scale.

Il ragazzo, invece, continuò a fare forza sulla porta perché Elena non l'aprisse. Aveva deciso: meglio tenersi la sua fama da sciupafemmine e avere la possibilità di stare insieme a lei piuttosto che rovinare tutto. La sua ragazzina non avrebbe capito, e lui già lo sapeva, se aveva imparato qualcosa dalla storia di Stefan, per questo era meglio che stesse chiusa dentro e non rischiasse di corrergli dietro.

«Non poi così tanto.» fu l'amara, e ormai tardiva, replica di Damon che si ritrovò a pensare che, se davvero l'avesse fatto, non sarebbe subito saltato alle conclusioni, anche se la situazione era abbastanza fuorviante.

Alaric però aveva solo girato i tacchi e sceso le scale, mentre quello che era stato per anni il suo migliore amico si sforzava di non darci peso.

Dopo un tempo che ritenne sufficiente per non incontrare altri guai, Damon lasciò andare la maniglia e la porta si aprì sotto l'insistenza di Elena che si trovò sbilanciata ora che dall'altra parte non c'era nessuna resistenza.

«Perché l'hai fatto?» gli chiese, soffiando come un toro pronto a caricare. Lo stupì sinceramente che fosse arrabbiata. «Avresti dovuto dirglielo! Adesso chissà cosa pensa!»

Lui sbuffò. «E poi, cosa?» le chiese. «Farci dire quanto siamo irresponsabili bla bla e farci rovinare un altro po' la vita da tuo padre? No, grazie. Se pensa che ti tradirei, allora che se ne vada pure a quel paese: ha smesso di essere un mio problema quando ha preso le parti di Grayson.»

Faceva finta di niente davvero benissimo, e lo sapeva che si sentiva almeno un po' ferito da quella cosa, così gli fece una carezza, anche se le sue mani erano gelide e probabilmente lo stava solo facendo morire di freddo. Le dispiaceva di essere stata la causa di una discussione che avrebbe potuto essere evitabile.

Le sembrava che quasi tutte le discussioni avute in quel periodo rientrassero in quella categoria, ed era stanca, fin troppo di dover sempre stare a guardare le altre persone decidere per lei, che fossero Alaric, suo padre e addirittura Damon stesso.

Non avrebbe più lasciato carta bianca a tutti: i problemi che stavano attraversando di continuo le avevano insegnato anche troppo, e adesso era ora di mettere in pratica quanto già le passava per la testa da settimane: promise a se stessa che ce l'avrebbe fatta a qualunque costo, mentre si allungava per dare a Damon un bacio che avrebbe dovuto servire a consolarlo, ma lui la trattenne per le spalle e le stampò le labbra sulla fronte, facendola sentire un vero schifo, perché anche se lui non l'aveva detto, la verità restava sempre quella: per causa sua aveva perso il suo unico amico.

E, sempre per colpa sua, aveva litigato col fratello, anche se sul quel punto ormai si erano chiariti, però... per quanto lui fosse stato una presenza positiva nella sua vita, lei aveva il dubbio di non essere in grado ricambiare il favore. Avrebbe voluto farlo stare meglio, dirgli qualche parola di consolazione, ma non le uscì nulla: non sapeva più cosa dire.

«Andiamo.» Damon le prese la mano e la condusse fuori, fino alla Camaro.

Il viaggio durò due minuti di orologio, le era cascato l'occhio su quello della radio, che quando era salita segnava le sette e venti ora le sette e ventidue, ma era stato così silenzioso che le era parso di non arrivare mai a una scuola che stava, praticamente, dietro casa sua.

Forse perché l'unica conversazione che aveva avuto era stata quella col suo senso di colpa.

«Mi dispiace.» era la sua inflazionata battuta, ma l'unica che potesse davvero rendere come si sentiva, anche se non risolveva niente, anche se non serviva a niente, ma nemmeno tenere il muso avrebbe migliorato la situazione. «Ma vedrai: risolveremo tutto.»

Non poteva sempre essere triste: voleva essere felice, e si disse che essere felici era una scelta, più che uno stato d'animo.

«Elena...» fece Damon, e non l'aveva mai sentito tanto sfiduciato.

«No!» lo interruppe, energica, prima che dicesse qualcosa che le facesse perdere tutto l'entusiasmo. «Dico sul serio! Sono stanca, Dam. La nostra storia è solo nostra. Non riguarda i miei genitori, Alaric, Jenna, o chiunque altro. Non mi va giù che continuino tutti a tentare di prendere decisioni che sono solo nostre, che è un nostro diritto prendere in completa autonomia. La storia non è la loro.»

Lui la occhieggiò, un po' sorpreso: «Quindi che intendi fare?» adesso suonava curioso.

«Vedrai.» promise la ragazza, sorridendo. «Andrà tutto bene, ne sono più che sicura.»

Si sporse per schioccargli un bacio sulla guancia, entusiasta, anche se era stanca morta, anche se tutto intorno a loro minacciava di soffocarli.

Essere insieme era il pensiero più confortante.

«Sei fortunata ad essere così adorabile.» commentò Damon, e portò una mano ad accarezzarle la guancia. «Perché il tuo ottimismo, in questo momento, è super irritante.»

Poi si chinò a baciarle il sorriso.

«Ti amo.» mormorò lei, contro le sue labbra.

Poi, con un risolino, si affrettò a scendere dalla macchina, o aveva il dubbio che non sarebbe affatto andata a scuola, quella mattina, e non se lo poteva permettere: doveva parlare con Caroline e Stefan.

«Anch'io ti amo, principessa.» le gridò dietro, fermandola.

Elena si voltò, regalandogli un sorriso pieno, che si trascinò dietro anche quello di lui, senza capire di cosa mai fosse tanto felice.

«Buona giornata.» gli disse, e poi fece di nuovo per andare.

Ma Damon non sembrava avere intenzione di lasciarla andare via: «Ti vengo a prendere, oggi pomeriggio.»

«Sei serio?» gli domandò, sorpresa, girandosi di nuovo verso il ragazzo.

Lui annuì. «Sono sempre serio.» o quasi, ma in quel caso lo era. «Ti vengo a prendere.»

Casomai se lo dovesse scordare, si disse lei, sarcastica. Era, forse, la più bella notizia degli ultimi dieci minuti, anche perché si stava dicendo di abituarsi all'idea di poterlo rivedere soltanto dopo aver lasciato passare chissà quanto.

«Mmh.» mormorò, deliziata. «Okay. Allora, a dopo.»

Si sporse dal finestrino aperto, portò una mano dietro al suo collo e gli schioccò un bacio sulla bocca. Dopodiché si decise ad andarsene senza aggiungere altro, per non fare tardi.

Mancavano cinque minuti all'inizio delle lezioni, e lei doveva ancora recuperare tutti i suoi libri, sperando che alla sua migliore amica fosse venuto in mente di portarglieli, dato che la sera prima non erano stati il suo primo pensiero.

E Caroline era lì, che si sistemava i capelli di fronte allo specchietto che aveva attaccato all'interno dello sportello del suo armadietto, per le emergenze.

Le andò alle spalle e la salutò: «Care!»

La ragazza non si fece né in qua né in là, cosa che lasciò un po' delusa la sua amica, per una volta che voleva farle quello scherzetto che troppo spesso riceveva da parte sua.

«Ehi, allora?» domandò, invece, interessata.

Elena aprì il suo armadietto solo per trovarci dentro la borsa con cui andava a scuola abitualmente, e i vestiti con cui la sua amica doveva essersi presentata, appallottolati in un angolo. «Allora... cosa?»

Caroline emise un grugnito e alzò gli occhi al cielo, nemmeno si stesse appellando alla bestia dentro di lei, pregandola di non strozzare la sua migliore amica.

«Com'è andata con lo Stronzo, mi pare ovvio

«Oh!» fece Elena, sorridendo istintivamente. «Benissimo. Abbiamo chiarito e... non dormito.»

Ridacchiò da sola, portandosi una ciocca dietro i capelli, cosa che fece alzare gli occhi all'altra, di sopportazione: le ragazze innamorate come Elena avevano qualcosa di fin troppo melenso.

«Dev'essere proprio innamorato perso se ti ha trovata attraente con la roba che avevi addosso ieri sera.» commentò lei, giusto per farla tornare un po' coi piedi per terra e meno sulla sua nuvola rosa personale, dov'erano solo lei e Damon Salvatore.

Infatti, Elena fu come riportata bruscamente alla realtà. «Ma...!» obiettò, offesa.

«Non ti preoccupare di ringraziarmi.» la interruppe la bionda, con fare del tutto disinvolto, come se non le avesse appena rivolto un insulto.

Ma, dopotutto, dopo quello che aveva fatto per lei, era il minimo.

Solo che Elena non sapeva nulla, e nemmeno immaginava: «Mi hai cacciata di casa!» le ricordò.

Caroline scosse le spalle: «Sì e ti ho reso ben più di un solo servizio, visto che con Damon è andata.» il suo tono vittorioso confuse la sua amica.

«Di che parli?» le chiese, infatti.

«Vedrai.» la bionda le diede una gomitata carica di sottintesi che lei, sul momento, non poteva interpretare. «Ma mi sono lo stesso guadagnata un abbraccio!»

Nel dubbio, Elena glielo concesse tanto lo sapeva che se lo sarebbe meritato in ogni caso: e poi aveva anche il dovere di consolarla per qualunque motivo si sentisse giù la sera prima, che fosse Stefan o qualsiasi altra cosa.

Appoggiò il mento sulla sua spalla, soffiando via qualche ricciolo chiaro, solo per incrociare lo sguardo del suo migliore amico che svoltava dal corridoio di ingresso.

«Senti... per caso hai ancora qualche problema a parlare con Stefan?» domandò, in tono casuale.

La ragazza sbuffò. «Be', è chiaro! Perché me lo chiedi?»

Insomma, aveva passato la notte a piangere per causa sua, in effetti era una domanda sciocca, ma Elena proprio non sapeva che fare.

«Perché è a dieci passi di distanza e non voglio far sembrare tutto troppo imbarazzante.» tipo lasciarla andare in modo frettoloso per farla scappare, sarebbe stato fin troppo evidente, ormai. «Viene verso di noi.»

«Certo! Da questa parte c'è il suo armad...» non ebbe mai occasione di concludere.

Stefan, infatti, passò loro di fianco, con un certo imbarazzo a irrigidirgli i movimenti: «Ragazze.» salutò.

«Ciao.» fu la lapidaria risposta di Caroline.

Elena, invece, gli indirizzò un sorriso tiepido, anche se intimidito all'idea che potesse avercela ancora con lei. «Ehi, Stef.»

Dopo un attimo di assoluto silenzio imbarazzato, rotto soltanto dalla serratura dell'armadietto del ragazzo che scattava, le due amiche si lanciarono un'occhiata incerta.

Finché Stefan non sospirò. «Sentite... io... ho bisogno di parlare con tutte e due.»

«Parla.» lo incitò la capo cheerleader, incrociando le braccia al petto e volutamente ignorando il senso di inadeguatezza che trasudava da ogni poro del poveretto che aveva di fronte.

Se ne rese conto Elena, non appena le lanciò uno sguardo da salvagente.

«Sì, ecco... per due cose diverse, quindi...» tentò lui, e abbassò gli occhi a terra, nemmeno avesse dovuto iniziare a scavare con quelli.

«Separatamente.» gli andò in aiuto la sua amica, dando una leggera gomitata alla bionda, perché la smettesse di metterlo più in difficoltà di quanto già non fosse.

Caroline scosse la testa e le spalle.

«Già.» ammise Stefan.

Solo che lei non aveva intenzione di stare a sentire quelle che riteneva patetiche scuse: «Be', io adesso devo andare in classe.»

Non era del tutto falso, dopotutto.

Peccato che Elena sapesse che, come al solito, stava di nuovo scappando. Non la fermò, non voleva forzare la mano di nessuno, e aveva imparato i benefici di farsi gli affari propri, ad un certo punto: quella loro storia strana andava avanti quasi quanto la sua e quella di Damon, se non si era sbloccata, non c'era niente che potesse fare di più.

«Care... ti prego.» fu Stefan stesso a fermarla, coi suoi occhi da cucciolo ferito, che nemmeno sapeva di avere, dovevano essere un tratto caratteristico della sua famiglia, quel tipo di occhi a cui non puoi dire no.

Anche Damon li aveva, solo che lui li usava consapevolmente.

«E va bene... pausa pranzo.» a Caroline non restò, quindi, altro che capitolare. «Avrai cinque minuti!»

Comunque, avrebbe fatto tutto alle sue regole, come sempre.

Il ragazzo sorrise, confortato. «Mi bastano.»

Nel corridoio, adesso, c'erano solo loro due, per un minuto persi in un silenzio assolutamente pesante che nessuno sapeva come spezzare.

Elena pensò che fosse meglio chiudere l'anta del suo armadietto e andare in classe: evidentemente, il suo migliore amico ancora non l'aveva perdonata.

«Ehi...» fu lui che parlò per primo, grattandosi la nuca.

Lei abbozzò un sorriso. «Ciao.» era la prima cosa che le era venuta sulla lingua e forse anche la più sciocca, ma quello era Stefan, in fondo.

Quando fece per parlare, incoraggiata, lui fece lo stesso: «Senti, mi dis...»

Si bloccò, nascondendo un sorriso, mentre gli faceva cenno di parlare. «Okay, prima tu.»

Stefan non si lasciò pregare a lungo: «Volevo dirti che mi dispiace per come ti ho trattata l'altro giorno.» disse. «Avrei voluto parlartene prima, ma... non mi rivolgevi nemmeno uno sguardo. Non mi piace che le cose tra noi siano così.»

Fu una sorpresa sentire quelle cose.

Per tutta la settimana si era crucciata sul perché del comportamento del suo migliore amico, e finiva che era per quello. Oh, se l'avesse detto a Damon si sarebbe fatto due grasse risate.

Adesso veniva da ridere anche a lei.

«Io credevo che tu fossi arrabbiato con me.» confessò, ancora incredula. «Nemmeno a me piace, Stef.»

Era stato terribile non avere al proprio fianco sia lui che Caroline, le uniche due persone che non l'avevano mai abbandonata in tutta la sua vita, non c'era abituata, si era sentita terribilmente sola e... a metà, quasi. I suoi amici erano una parte di lei, come se fosse stata senza mani.

«Oh, ti ringrazio.» sospirò Stefan, Elena nemmeno sapeva se stava parlando con lei oppure con se stesso.

Si scambiarono un abbraccio come segno di pace, entrambi contenti che non fosse niente di grave e che fosse finita lì, anche se erano preoccupati che non sarebbe stato altrettanto facile sul fronte Caroline.

Soprattutto perché lei pensava che Stefan stesse ancora con Valerie, ma Elena non la riteneva una possibilità realistica: insomma, chi resterebbe quando viene tradito proprio mentre è oltreoceano? Pensare di potersi trovare nella stessa situazione la faceva stare male.

Le era stato insegnato che non si tradisce se si ama davvero.

«Dai, adesso andiamo in classe!» lo incoraggiò, dandogli una leggera spinta.

Erano anche abbastanza in ritardo.

Stefan ridacchiò. «Wow, sei piena di energie...»

Non era difficile notarlo, dopotutto: in quella settimana non era stata granché allegra, ma adesso che aveva risolto tutti i suoi problemi non aveva alcun motivo per tenere il muso.

«E non so nemmeno com'è possibile. Non ho dormito nemmeno un minuto, stanotte.» ma il sorriso si allargò, al pensiero di Damon.

Si sentiva così leggera da poter anche iniziare a volare.

«Studio? Pensieri per la testa?» le chiese, invece, il suo amico, curioso.

Lei tirò fuori un sorriso malizioso. «Pigiama party a casa di Damon.»

Ovviamente, non ci pensò nemmeno a spiegargli che era andata lì per far pace per una discussione che aveva avuto lui come argomento, se ne guardò bene, soprattutto perché sapeva che non avevano ancora fatto pace.

Intendeva aiutarli, ovviamente, anche se ancora non sapeva bene come, ma aveva promesso a Damon: sarebbe andato tutto bene.

Doveva cominciare da qualche parte.

Al ragazzo non ci volle molto a capire: «Oh... quindi, molto poco pigiama, e molto altro, immagino.» dalla sua faccia si capiva che non voleva immaginare proprio niente.

Specie se riguardava suo fratello.

«Ho sentito che non siamo stati gli unici.» Elena lo punzecchiò con un gomito, allusiva. «Tu e Caroline.»

Vederlo arrossire fu esilarante: «Ti prego!» nascose la faccia tra le mani. «Non prendermi in giro, mi sento già abbastanza uno stronzo che non lo sa tenere nei pantaloni.»

Non riusciva a guardarla, mentre parlava, ma quella fu solo una scusa per lasciar andare la frustrazione, mentre camminavano verso la classe.

I corridoi erano deserti, e loro in estremo ritardo, ma a nessuno dei due sembrava importare, nonostante la prima ora di Storia.

«Insomma, Care mi piace da anni, lo sai...» continuò. «Pensi davvero che avrei voluto che succedesse così?»

Elena cercò il suo sguardo. «Così come?»

Non aveva saputo nulla – più perché aveva capito che non era il momento di fare domande che per mancanza di curiosità –, per quanto Caroline fosse avida di particolari per quanto riguardava gli affari altrui, era molto avara dei propri.

«Mentre sono impegnato con un'altra, in un vecchio laboratorio adibito a sgabuzzino su un vecchio materasso da palestra?» fu la domanda retorica del suo migliore amico.

Ci fu un attimo di silenzio.

«Okay.» replicò lei, sorpresa: non la considerava una cosa da Stefan, troppo istintiva, per uno che pensa e ripensa a ogni cosa.

Lui osservò semplicemente la sua reazione: «Care non te l'aveva detto.» notò.

Elena annuì soltanto, e lui non capì se considerava la cosa strana quanto lui, oppure semplicemente sapeva dei retroscena di cui lui era all'oscuro, tipo cosa frullava nella testa di Caroline.

«Mi odia, non è vero?» le chiese, e suonò disperato in modo imbarazzante.

«Penso che di questo dovresti parlare con lei.» fu la risposta più diplomatica che poté dargli. «Con Valerie com'è andata?»

Lei le schifezze cuoriciose non se le spiegava, ma nemmeno era disposta a credere che Stefan le avrebbe taciuto una cosa simile.

Lo conosceva da troppo e troppo bene: c'era qualcos'altro sotto che però ancora non tornava, perciò, come aveva promesso di fare, rimase in silenzio e attese che il suo amico parlasse.

«L'ho chiamata il giorno stesso.» raccontò, infatti, il ragazzo. «Non riuscivo nemmeno a pensare di non farlo, ho già fatto troppo per essere la persona che non voglio diventare.»

Lei annuì, semplicemente. Lo capiva, ma sapeva anche che non sempre era possibile diventare chi si vuole essere a un certo punto, forse non si conosce se stessi abbastanza per poterlo dire.

«Farla piangere è stata la cosa più orribile che ho commesso in vita mia.» proseguì, e per un momento un'ombra triste gli attraversò lo sguardo.

«Mi spiace.» disse Elena, solo. «Insomma, so che ci tenevi a lei. Lasciarsi per telefono, poi...»

Immaginava che non fosse questo gran piacere, soprattutto dalla faccia di Stefan. Non riusciva nemmeno a immaginarselo, soprattutto quando si è così lontani che la possibilità di chiarire faccia a faccia è più remota del tuo prossimo viaggio sulla Luna.

«Non ci siamo lasciati.» la sorprese così, e lei si bloccò nel corridoio.

Questo non l'aveva previsto: sarebbe stato uno shock per Caroline e avrebbe avuto bisogno di ben altro che una stanza vuota in cui sfogarsi.

«Ah no?» chiese, e non aveva mai pronunciato una domanda con tanta sorpresa. «Ma... pensavo... se ti piace Care perché stai con un'altra?»

Non aveva senso, per conto suo: non sarebbe mai riuscita a stare con un altro se non Damon, anche se lui non avesse dovuto ricambiare il suo amore, fintanto che avesse potuto solo pensare a lui. E Stefan era sempre stato straordinariamente simile a lei, in tutto, non riusciva a capire come le loro opinioni su quella stessa cosa potessero essere tanto differenti.

Era contro l'ordine dell'Universo.

Lui si strinse nelle spalle. «Anche lei mi piace.»

Come se fosse stato così semplice.

«Stefan, le persone non sono dei tappabuchi, i sentimenti di Valerie non devono essere calpestati perché forse Caroline potrebbe rifiutarti.» osservò lei, scioccata. «Questo non è giusto nei suoi confronti. Non è bello essere la ruota di scorta, specialmente di qualcuno a cui tieni davvero.»

Dal punto di vista di lei, sarebbe stato sicuramente orribile, soprattutto scoprirlo.

«Non è questo.» replicò Stefan. «Sto benissimo con Val. Voglio dire... quando sono con lei... mi dimentico di tutto, sai? Anche di Care. Sto bene, bene davvero. Non voglio perderla.»

Lo occhieggiò piena di rimprovero: «E Care?»

In fondo era questo che le interessava: per Caroline andare a letto con qualcuno non aveva davvero lo stesso significato che aveva per lei, era vero, ma con qualcuno che non era Stefan. E lei aveva sempre pensato che nemmeno il suo migliore amico facesse sesso tanto per farlo, ma tutto questo non aveva senso.

Non poteva amare due persone nello stesso momento. Si ama sempre qualcuno più di un altro, anche se ci sono cose di uno dei due che l'altro non ha e che ci mancano.

«Penso che ci sarà sempre una parte di me che amerà Caroline.» fece Stefan, con un sorriso quasi amaro. «Sai credo che, per me, sia quella persona che ho sempre voluto ma non sono destinato ad avere.»

Sembrava rassegnato.

Rassegnato.

Elena non ci poteva credere: stava scendendo a compromessi per qualcosa per cui i compromessi non esistevano. Suonava assurdo e molto triste.

Non sarebbe mai stato felice davvero, su quella strada.

«Non si tratta di accontentarsi, Elena.» sembrava quasi che le avesse letto in faccia quello che stava pensando. «Si tratta di dare una possibilità a me stesso.»

«Basta non avere rimpianti, quando si arriva in fondo.» era l'unica cosa da cui poteva metterlo in guardia, se era così deciso, se ancora non riusciva a vedere che niente sarebbe stato abbastanza quanto ciò che voleva davvero.

Lui le sorrise e annuì. «Non li avrò.» promise, proprio mentre apriva la porta dell'aula di Saltzman.

Dalle facce dei compagni e la lavagna già piena di date, era chiaro che la lezione era iniziata e già da un pezzo, alla faccia dell'essere responsabile, si disse Elena, riguardo alla solita ramanzina che riceveva da parte del suo professore più spesso di quanto le sarebbe piaciuto.

Si sforzò di non fare la faccia di quella che si sente in colpa, ma lei non era brava a fingere.

«Alla buon'ora!» li accolse così, pieno di disapprovazione. «Elena, Stefan.»

«Scusi, professore.» fu il ragazzo a rispondere, così convincente che Elena non avrebbe dubitato per un secondo che stesse dicendo la verità. «Siamo stati trattenuti per delle cose sulla partita di domani.»

Ma Alaric doveva essere più sveglio di lei che per il corridoio c'era pure stata: «Andate a sedervi.» lo disse con un tono acre tale da far intendere di inventarne una migliore la prossima volta, o forse lo sarebbe stato in condizioni normali, quando non aveva affrontato una discussione con Damon riguardo a come sarebbe stato opportuno si comportasse nei confronti di Elena.

Stefan si limitò a stringersi nelle spalle quando la sua migliore amica gli allungò un'occhiata. Non si era resa conto di quanto il suo migliore amico fosse davvero cambiato durante quei mesi, era cresciuto molto più di quanto avrebbe mai potuto pensare.

Non era del tutto certa di come prendere questa novità, era strana come tutte le cose nuove, e forse anche lei era cambiata tanto da non assomigliare più alla ragazza che era stata solo quell'estate.

Chissà se significava davvero quello, crescere.

Si sedette con un sospiro, tirando fuori il suo quaderno degli appunti, tentando di riprendere il filo del discorso di Alaric, che non sembrava affatto di buonumore, quella mattina, ma come biasimarlo? La prima cosa che gli era successa era stata litigare col suo amico di una vita.

Le sarebbe tanto piaciuto che non dovesse essere per forza tutto complicato, ed era folle che fosse lei, in fondo, a tenere i fili di quella matassa: non ci aveva mai pensato seriamente, ma era lei che aveva il potere di far finire tutto.

Così, mentre la lezione scorreva e lei si perdeva ogni parola che gli altri stavano accuratamente annotando in vista della verifica della settimana successiva, Elena sorrise.

Ad un tratto, sapeva cosa fare, forse per la prima volta.

Stefan le punzecchiò un braccio, poco prima del suono della campanella. «Tutto a posto?» le domandò, preoccupato. «Stai bene?»

«Sì.» gli rispose soltanto, più sincera di quanto fosse stata mai.

Lo incoraggiò ad alzarsi, voleva solo che quelle ore passassero in fretta: c'erano delle cose che doveva fare e per prima cosa doveva vedere Damon e portarlo a casa sua.

Alaric però frenò il suo entusiasmo, prima che potesse attraversare l'ultima fila di banchi per uscire: «Elena, ho bisogno di parlare con te.» indirizzò uno sguardo a Stefan, abbastanza eloquente. «Da solo.»

Stefan sospirò. «Ci vediamo dopo, Ele.»

Lei fece solo cenno di sì con la testa, prima di rivolgere completamente la sua attenzione al suo futuro zio. Faceva ancora strano pensarlo in quei termini, ma non mancava che una manciata di mesi perché lo fosse a tutti gli effetti.

«Ho saputo quello che è successo stanotte.» cominciò così, facendole saltare il cuore in gola, anche se il suo sguardo preoccupato e la sua aria comprensiva e un po' partecipe la stavano confondendo.

Si aspettava che sarebbe stato diverso, se si fosse reso conto che la ragazza in casa di Damon era lei.

«Mmh.» si limitò a mormorare, insicura.

«Me l'ha detto Jenna... era molto in pensiero, e non nascondo di esserlo anche io.» Elena si limitò a sbattere le palpebre, chiedendosi tacitamente di cosa mai sua zia che nemmeno sapeva niente di niente dovesse essere in pensiero.

Per cosa?

«Mmh.» ripeté.

«Vuoi parlarne?» la spronò, incoraggiante. «Cioè, mi rendo conto che alla tua età ci sono determinate cose che sembrano le migliori della vita, ma addirittura minacciare di suicidarti per uno che nemmeno ti merita mi sembra eccessivo! Lo sai che, mentre tu ti disperavi per lui, se la faceva con un'altra?»

Completamente spiazzata, Elena balbettò un: «Che cosa hai detto?»

Non riusciva nemmeno a pensare. Che diavolo era successo durante la notte a casa sua?

Alaric si passò una mano sul viso, frustrato. «Lo so che è difficile da accettare, credimi, lo è stato anche per me.» confessò. «Ma ho visto Damon con... be', c'era chiaramente una ragazza in casa sua, stamattina e...»

«Lo so!» lo interruppe, quasi scocciata. Non era quello che le interessava sapere, ma adesso era Alaric quello con tanto d'occhi. «La ragazza ero io. Sono stata tutta la notte nell'appartamento di Damon. Mi dici cosa diamine è questa storia del suicidio? Quando mai ho detto una cosa simile?»

L'uomo rimase interdetto per un lungo momento, sembrava quasi un disco incantato sempre nel solito punto: dalla sua bocca uscivano sillabe senza senso, suoni.

«Ric?» lo chiamò Elena, al limite della pazienza.

Lui portò le mani avanti, come a chiedere una pausa. «Fammi capire, mi stai dicendo che stanotte non hai minacciato il suicidio se tuo padre non ti avesse lasciato vedere Damon?»

La domanda, letteralmente, la spiazzò.

«Ma quando mai?!» chiese, scioccata. «Stanotte ero da Damon. E ti proibisco di farne parola coi miei!»

Si affrettò ad aggiungerlo, casomai avesse dovuto venirgli in mente qualche malsana idea a riguardo. Se suo padre l'avesse saputo, il tormento che le avrebbe dato sarebbe stato veramente l'ultimo dei suoi problemi.

«Ma allora chi c'era a casa tua?» le chiese Alaric, stordito.

Elena non ci mise molto a fare due più due: «Oh, Cielo!» si portò una mano alla fronte, ricordando improvvisamente le parole di Caroline.

"Non ti preoccupare di ringraziarmi."

Lei si chiedeva solo che cavolo avesse combinato. Avrebbe dovuto farci due parole, appena ne avesse avuto l'occasione.

«Senti, io non lo so se lo stai coprendo oppure...» cominciò il professore, col suo classico tono condiscendente di quando voleva spingerla a dire la verità su qualcosa che lui già riteneva di sapere.

Ma Elena ne aveva abbastanza di quell'atteggiamento: «Ma secondo te?» sbottò, ora irritata. «Ti sembra che io sia il tipo che potrebbe accettare una cosa del genere e addirittura coprire il fidanzato fedifrago? Ma si può sapere per chi mi hai presa? Ti sei bevuto il cervello?»

Avrebbe potuto fumare dal naso come un toro pronto a caricare, nei cartoni animati. Ma da lì a vedere rosso non aveva molto.

«Elena...» tentò di calmarla Alaric, senza sapere che ormai era troppo tardi.

La cosa era andata troppo in là perché potesse tenersela per sé: aveva deciso che in silenzio a subire non ci sarebbe stata più e adesso quella convinzione premeva dal basso per far uscire le parole, come se avesse aperto un lucchetto e adesso il metaforico contenuto della scatola non potesse più essere bloccato.

«Come se fossero affari tuoi, poi!» proruppe, senza aver dato segno di averlo sentito. «Non mi fraintendere, Ric, lo so che vuoi proteggermi, ma non è compito tuo.»

Non le importava di averlo ferito, voleva che capisse.

«Né di mio padre, né di nessun altro che non sia io.» aggiunse. «È vero, ho diciott'anni, sono troppo giovane per prendere decisioni importanti per la vita, e bla bla bla. Ma questa è la mia vita. Mia

Non ce la faceva più a sottolinearlo. Gli adulti pretendevano di usare quella scusa un po' troppo spesso per giustificare azioni assurde tipo la punizione che le era stata inflitta, ma la verità era quella. E il compito dei genitori sì, era quello di guidarla, di aiutarla, di indirizzarla sulla strada giusta per crescere, ma questo non aveva nulla a che fare con tutto ciò.

Damon non era un poco di buono, aveva forse la fedina penale giusto un po' sporca per le sue bravate quando era stato più giovane, ma non era un criminale. Era un bravo ragazzo, punto, e quella storia di Katherine era stata tutta uno stupido incidente.

«Non sarò in grado di gestirla al meglio dei modi, va bene.» non aveva questa pretesa, aveva tanto da imparare, ancora, ma non avrebbe avuto diciott'anni per sempre. «Mi pentirò delle mie scelte? Sicuramente. Però non intendo rimpiangere di non averle fatte solo perché qualcun altro aveva paura che le prendessi.»

Non avrebbe voluto rimpiangere di non averlo fatto anche se le paure fossero state le sue, figurarsi quelle di suo padre.

«In altre parole, sei il primo a cui lo dico: basta intromissioni nella mia storia con Damon.» fu categorica, non avrebbe ammesso repliche. «Chiaro? Oppure lo costringerò a dirmi quelle cose che non vuoi Jenna sappia, e me le dirà, anche perché non sei la sua persona preferita, ultimamente. E, ti giuro, Ric, niente potrà fermarmi dal vuotare il sacco con mia zia.»

Alaric sbiancò. «Ti prego Elena, mancano pochi mesi al matrimonio.» adesso il suo tono era completamente cambiato.

E lei lo sapeva di essere stata scorretta, che era dovuta giungere a un ricatto così pesante per spingerlo a farsi gli affari suoi, nonostante non avesse idea di cosa ci fosse nel passato di Alaric, che però non doveva essere così lustro come si pensava, almeno a giudicare dai sudori freddi.

«Io terrò la bocca chiusa, se tu terrai le tue opinioni per te.» trattò. «Non ho nessun interesse a far naufragare la tua storia, perché tu vuoi bene a lei e lei ne vuole a te, mi piacerebbe solo avere lo stesso favore in cambio.»

Perché non sembrava essere mai abbastanza per nessuno la motivazione che lei e Damon tenevano semplicemente l'uno all'altra per stare insieme? Perché andava bene per tutti, ma non per loro?

Il suo insegnante sospirò, sconfitto: «Come intendi minacciare i tuoi genitori?» forse lo chiese per farla sentire in colpa.

Solo che Elena era stanca di essere quella che si sentiva sempre in colpa per reclamare quelli che erano i suoi diritti, o di fare le cose di nascosto perché non le sarebbero stati concessi comunque.

«In nessun modo.» replicò, tranquilla, prima di sorridere. «L'ha già fatto Caroline per me.»

Perciò sì, avrebbe dovuto ringraziarla, in fondo, anche se lo scherzetto che aveva fatto ai suoi era forse un po' troppo pesante, specie visti i loro trascorsi familiari.

Non aveva idea di come avesse potuto venirle in mente una cosa del genere.

«A quanto pare hai tutto sotto controllo.» osservò Alaric.

Elena annuì, convinta. «Sì.»

Avrebbe fatto in modo che non succedesse più nulla di diverso.

«Non c'è niente che io possa dire per convincerti, giusto?» continuò l'uomo, un po' scoraggiato.

Che poi... convincerla a fare cosa? Non aveva mai capito perché, a spada tratta, Alaric aveva sempre deciso di difendere le ragioni di suo padre. Sapeva che non aveva idea di come fossero andate le cose con Katherine perché la prima persona a cui Damon aveva confessato tutto era lei.

Non l'aveva detto a sua madre, a suo padre, a Stefan o chissà chi: l'aveva detto solo a lei.

«Perché pensi che Damon non sia quello giusto per me?» domandò, quindi. «Pensavo fosse il tuo migliore amico.»

Lei non avrebbe sconsigliato Stefan ad anima viva, o Caroline, o Bonnie.

«Non è questo.» rettificò lui, scuotendo la testa. «Voglio bene a Damon, ma lo conosco. Prima o poi il suo interesse scemerà, è sempre successo. E tu hai i tuoi studi, la tua vita a cui dare la priorità. Non ti sto dicendo di smettere di frequentarlo, se non è quello che vuoi, solo dare il giusto peso alle cose: hai bisogno di voti alti per un'ammissione al College e lui è molto probabile che non resterà tanto a lungo per vedertici entrare. Si tratta del tuo futuro. Damon è solo un ragazzo, ce ne saranno centinaia di altri, ma il tuo tempo non torna indietro.»

"Ce ne saranno centinaia di altri."

Damon non era solo uno dei tanti, ma era comprensibile che Alaric non capisse. Lui credeva che l'amore fosse da conoscere solo a una certa età, che prima non puoi sapere cos'è perché sei troppo giovane, o troppo ingenuo, o troppo chissà cosa.

La sua esperienza era diversa.

«Tu non lo conosci.» gli disse.

«No, Elena.» la contraddisse lui, amareggiato, ma calmo. «Tu non lo conosci. Può averti raccontato del suo passato, dei suoi problemi, ma che cosa sai di lui, davvero? Cosa puoi aspettarti di sapere di una persona, quando la conosci da tre mesi? Sono stato il suo migliore amico per quasi un decennio, credi che le cose le dica solo per cercare di ferirti o metterlo in cattiva luce? Se solo sapessi quanto bene voglio a entrambi... voglio solo ciò che è meglio per te. Lui ha già la sua vita, ma tu?»

Elena fece un passo indietro, non capiva dove volesse andare a parare, anche se una parte di lei, abbastanza sopita, seppellita lì dove ancora non voleva ascoltarla, aveva capito.

«Tu non sai com'è lui con me.» tagliò corto, allora, prima di poter ascoltare. «Non sai niente di noi due, le persone possono cambiare!»

Non era un film d'amore, non era niente, ma era sicura che Damon non avesse mai amato nessuna come amava lei, nessuna, nemmeno Katherine. Non l'aveva detto a nessuna se non a lei, era speciale.

«Va bene.» si arrese Alaric, alla fine, che tanto sapeva di non poter discutere con un muro. «Non ti dirò più nulla, ma sappi che la mia porta resta aperta.»

Lei avrebbe volentieri sbattuto quella porta, quella mattina, l'avrebbe fatto poco dopo con quella della classe senza rendersene conto, intanto rispose con un «Grazie.» per niente sentito, prima di aggiungere: «Sarà meglio che vada, sono già abbastanza in ritardo.» giusto per dileguarsi.

Fuori, trovò Stefan ad aspettarla.

«Problemi?» le chiese, preoccupato.

Elena scosse la testa. «No.» ma non sapeva se stava mentendo. «Solo non posso credere a certe cose che sento!»


Più tardi, riuscì ad afferrare Caroline, mancava poco alla pausa pranzo, e sapeva di doverla lasciare a Stefan, ma intanto poteva acciuffarla per farsi spiegare per bene cosa diamine fosse successo a casa sua, la notte precedente.

«Ehi!» la fermò, proprio mentre stavano entrambe uscendo dalla classe per andare a mensa. «Vorresti spiegarmi che è successo?»

Caroline non fece nemmeno finta di non capire: sorrise vittoriosa. «Oh, non preoccuparti.» le disse, leggera. «Non è niente. Ho solo risolto un problema nell'unico modo che mi è venuto in mente, ma comunque ha funzionato, avresti dovuto vedere tuo padre sotto la tua finestra.»

Elena spalancò gli occhi: «Che significa sotto la finestra?» adesso sì che era allarmata. «Raccontami tutto! Nei minimi dettagli.»

Non si era certo aspettata che sarebbe finita così quando aveva lasciato una tutt'altro che innocua Caroline a piangere in camera sua.

Non sapeva nemmeno come prendere quella notizia. Aveva avuto la libertà – forse – in cambio di un metaforico infarto per entrambi i suoi genitori.

La bionda sbuffò. «E va bene!» acconsentì, seccata. «Praticamente, ieri sera ho sentito i tuoi che litigavano dal bagno, ero a fare pipì e...»

Gesticolava, tutta eccitata, ma Elena grugnì di frustrazione e la interruppe: «Sì, non così tanti dettagli!» non quelli che non erano inerenti alla domanda, perlomeno.

La sua amica la guardò, come a volerle dire di fare pace col cervello.

«Sì, ma deciditi!» obiettò, infatti. «Insomma... dal bagno si sentono le conversazioni che è una meraviglia, allora mi sono messa a origliare, per curiosità, e ho scoperto che stavano litigando per questo fatto di Damon e te. Così ho pensato di prendere la palla al balzo, e ho finto una crisi isterica di pianto, dato che la mia era già finita da un pezzo.»

Sorrise, con quell'aria da attrice consumata che sa perfettamente di esserlo, nemmeno fosse stata sul punto di ricevere un Oscar, anche se lei era più che convinta di meritarsene uno, dopo quella performance.

Probabilmente, Elena sarebbe stata d'accordo, se solo l'avesse vista come la sua amica gliela fece immaginare un attimo dopo.

«Così, dopo un attimo è arrivato tuo padre tutto preoccupato, fuori dalla porta che per fortuna avevo chiuso a chiave o mi avrebbe beccata senza parrucca.» continuò la bionda. «Ha chiesto che avevo e io l'ho coperto degli insulti che mi sono tenuta per me, con te.»

A questo punto, Elena deglutì rumorosamente: «Quanto pesanti?»

Non ricordava di aver mai insultato suo padre in vita sua, ma sapeva che quando Jeremy ci provava non era un gran piacere per nessuno.

Stava quasi per prenotare quel volo in sospeso per Timbuktu.

L'altra scosse le spalle e non rispose. «Insomma, lui è andato in escandescenze, così io ho deciso di rilanciare.» questo suonava anche peggio. «E l'ho fatto sull'unica cosa che poteva mettere fine alla diatriba e ho pronunciato proprio queste parole: "Se non mi prometti che posso rivedere Damon normalmente da oggi in poi, giuro che mi butto giù dalla finestra."»

Rimasta interdetta per un momento, l'unico commento che Elena poté fare, fu: «Oh.»

Non riusciva nemmeno a immaginarsela la reazione di suo padre a una frase del genere, dal momento che lei non l'avrebbe mai pronunciata. Insomma... avrebbero dovuto conoscerla abbastanza da saperlo, specie dato quel che era successo loro un paio d'anni prima.

«Be', lui non ha perso tempo: mi ha creduta subito, così io sono corsa in camera a mettere la parrucca e mi sono arrampicata sul davanzale.» come non detto. «Lui era là sotto nemmeno avesse dovuto prendermi a braccia aperte. Così ho continuato a gridare che non ne potevo più, che mi sentivo una reclusa nella mia stessa casa, nella mia stessa vita e cose del genere... e che se non avesse acconsentito, non avrebbe potuto essere sempre lì per fermarmi, che la mia vita non ha senso senza di lui. Queste scemenze da harmony, ma la mia interpretazione è stata magistrale.»

Lo sottolineò quasi che non l'avesse fatto abbastanza con la sua soddisfazione mentre andava avanti col riepilogo.

Elena aveva solo tanto d'occhi: «Ti ha creduta?»

Avrebbe dovuto già capirlo dalla discussione che ne era seguita con Alaric, ma davvero non riusciva a credere che i suoi genitori se la fossero bevuta.

Caroline le indirizzò un'occhiata interrogativa: perché mai avrebbero dovuto dubitarne?

«Sì, ha acconsentito a tutte le condizioni, purché la smettessi di minacciare di togliermi la vita.» replicò. «Piangeva, sai? Credo che tu possa chiedere anche una villa con piscina, e te la comprerebbe subito.»

Le diede anche una gomitata eloquente, forse speranzosa di convincerla a fare una cosa del genere, invece Elena ne fu incredibilmente dispiaciuta.

Le volte che suo padre aveva pianto potevano contarsi sulle dita di una mano, da che lo conosceva: la prima volta se lo ricordava quando era tornato a casa con Jeremy tra le braccia, dopo al funerale di Katherine e dopo ancora quando l'aveva rivista viva, lui ancora steso in un letto d'ospedale, dopo l'incidente.

«Oh...» mormorò, atterrita.

La sua migliore amica, il cui forte, a volte, non era proprio la sensibilità, le diede una spintarella sulla spalla: «Non dovresti dispiacerti.»

Ma come poteva chiederle una cosa simile?

«Care! È mio padre!» e l'avevano anche preso in giro.

Non poteva nemmeno immaginare come avesse potuto sentirsi, nel pensare di sentirle pronunciare delle simili parole.

Forse avrebbe dovuto spiegargli, confessare... ma quanto si sarebbe arrabbiato?

«Sì, ma lui ha lasciato che piangessi per settimane. Adesso è il suo turno.» fu l'osservazione neutrale di Caroline. «Non potevo permettere che tu perdessi tutte le cose che rendono speciale l'ultimo anno di liceo solo perché lui è uscito di testa. Specie quelle che dobbiamo fare insieme, ho sfruttato Damon perché, data la tua ossessione per lui, sarei stata più credibile.»

Lei si trattenne a stento dallo sbottare e alzare gli occhi al cielo: sembrava che tutti avessero qualcosa da dirle a proposito del suo ragazzo quel giorno, e lei avrebbe anche sopportato senza dire nulla, ma la conversazione con Alaric l'aveva davvero turbata.

«Lo so che può sembrare uno scorbutico.» commentò lei, imbronciata. «Ma lui a me ci tiene.»

Non avrebbe nemmeno saputo dire se lo stava dicendo più per rassicurare se stessa. Perché lui ci teneva davvero, non sarebbe andato proprio da nessuna parte.

Il solo pensiero era sufficiente per strapparle il cuore dal petto.

«Sarà meglio che continui a farlo.» la avvisò Caroline, piuttosto bonariamente, nonostante le minacce che ne seguirono: «Sono sempre pronta a infilargli un tacco lì dove non batte il sole.»

Elena, invece, scelse di non pensarci, perché più l'avesse fatto più si sarebbe inutilmente preoccupata: nessuno avrebbe potuto dirle come si sarebbe comportato Damon in futuro, se non Damon stesso.

«Care... quello che hai fatto per me è stato strabiliate.» disse, allora, perché era vero. «Mi hai scagionata. Devi dirmi come posso sdebitarmi.»

Lei lanciò distrattamente uno sguardo all'orologio: «Puoi magicamente fare in modo che il tempo salti qualche ora e non costringermi ad affrontare una conversazione davvero imbarazzante con Stefan?»

Aveva acconsentito a chiarire con lui, ma non sapeva nemmeno se era davvero pronta per farlo. Affrontare quella conversazione avrebbe portato a due scenari che non era davvero sicura di voler affrontare: fare finta di non conoscersi o essere qualcosa di più che semplici amici.

La verità era che, in qualunque caso, non lo sarebbero stati più, ed era difficile immaginarlo, visto che per diciott'anni era stato così.

Elena si fece pensierosa: «Mmh... qualcosa di umanamente possibile?» offrì.

Erano sulla strada per la mensa, anche se nessuna delle due, per motivi diversi, aveva fame.

«Resta nei paraggi. Avrò bisogno di un supporto psicologico, anche se fisicamente distante.» si sarebbe trattenuta dal fare stupidaggini, perlomeno. «Mi sentirò più sicura.»

Lei la prese a braccetto e insieme entrarono nella mensa già gremita di studenti affamati. Nessuna delle due però andò verso la pila di vassoi.

«Eccolo là.» osservò Elena, accennando con la testa al tavolo dei giocatori di football.

Erano tutti vestiti da palestra, Stefan sembrava particolarmente a suo agio. Caroline era certa di non averlo mai trovato tanto... carino.

«Oh, Santo Dio.» proruppe, voltandosi verso l'amica. «Voglio sotterrarmi.»

«Care?» fu la domanda stupida, e stupita, di Elena, che però mai l'aveva vista comportarsi in quel modo.

Sembrava... be', normale, e la fece sorridere dolcemente: c'erano davvero dei buoni presupposti, per quei due, peccato che Stefan stesse gettando al vento la sua occasione per essere felice.

Il ragazzo alzò lo sguardo e sorrise alle due, alzando un braccio per farsi notare. Elena capì che era il momento di svignarsela, anche se non sapeva come, dato che Bonnie e Jeremy erano vaporizzati – probabilmente insieme –, e a parte Matt, che era in compagnia del resto della squadra di football, non aveva una via di fuga.

Stefan venne verso di loro, rigido nonostante tentasse di non apparire tale.

Le abitudini dovevano essere dure a morire, nonostante lui si stesse impegnando molto per cambiarle.

«Ehi...» le salutò, timido.

Elena si trattenne dal sorridere addolcita. «Io vado a prendere qualcosa da mangiare.» usò quella come scusa per dileguarsi, anche se sapeva che non l'avrebbe fatto: sarebbe stata a una distanza sufficiente per dare supporto morale come le era stato chiesto.

E perché no, anche per origliare un po'. Era troppo curiosa di sapere come sarebbe andata a finire, lei non aveva ancora abbandonato la sua missione di vederli insieme.

Perciò li seguì nel cortile, sgattaiolando come una ladra, ascoltando quello che per ora era solo un pesante silenzio.

Caroline le gettò un'occhiata e si morse il sorriso nervoso, mimando un "grazie" a cui lei rispose con un pollice ben in alto, e tutto questo all'oscuro del ragazzo che si stava arrovellando il cervello per capire con cosa partire.

«Ehm...» balbettò tutta la sua incertezza. «Non so bene da dove cominciare.»

Preferì confessare, piuttosto che farle credere di stare perdendo tempo, ma lei lo conosceva abbastanza da poterlo dire da sé.

«Spero non dal dire che è stato un errore.» lo disse in modo scherzoso, ma non avrebbe potuto essere più seria. «Sai, questo... sarebbe imbarazzante.»

Per non dire di peggio, ma lui spalancò subito gli occhi come se quel pensiero non gli avesse attraversato il cervello nemmeno per un attimo.

«No. Certo non intendevo dirti una cosa del genere!» si difese subito.

La bionda si rilassò, mentre la loro silenziosa spettatrice alternava lo sguardo tra i due, da dietro un albero, poco distante.

«Oh, fantastico!» ammise. «Quindi...?»

Attese, per un momento, mentre la tensione dentro al suo stomaco già annodato minacciava di rendere quell'intreccio indissolubile.

«Mi dispiace.» fece poi, lui. «Mi dispiace per le cose che ti ho detto... be', prima che noi... be', mi dispiace anche per com'è successo. Tu mi piaci da... sempre, credo. Avrei voluto che fosse accaduto in un momento migliore, in un posto migliore.»

Soprattutto, in un momento migliore, in uno in cui non avrebbe dovuto chiedere scusa né a lei né a un'altra di averlo fatto, o a se stesso, di sentirsi tanto in colpa solo per aver ceduto a un desiderio di entrambi, questo ormai era evidente.

Caroline, però, si corrucciò. «Oh... ma, insomma... io penso che le cose succedano semplicemente quando devono!» disse, decisa. «Era il momento.»

Tutte quelle scuse lei non le voleva sentire, le davano sui nervi.

«Può darsi, ma io non la vedo così.» fu la replica di Stefan, sapeva che se continuava su quella strada avrebbero finito per discutere ancora, ma se le aveva chiesto di parlare, l'aveva fatto per essere sincero completamente. «Te l'ho detto, Care: tu mi piaci, davvero, ma siamo anche migliori amici, so che non sei abituata all'idea che io diventi qualcosa di più.»

Nemmeno lui lo era completamente, l'idea che potessero stare insieme come, da una parte, aveva sempre voluto, un po' lo spaventava, perché non sapeva dove li avrebbe portati. Perdere Caroline avrebbe significato troppo.

Lei ne fu stupita. «Ma che...?» come faceva a leggerle così bene nel pensiero?

Stefan però proseguì: «Io sto cercando di andare avanti, ho trovato un'altra ragazza che mi interessa, con cui mi trovo bene, e se anche l'ho ferita nel peggiore dei modi... non vuole che io mi allontani.» Elena stessa, a quella battuta, avrebbe voluto uscire dal suo nascondiglio e strozzarlo con la prima arma disponibile. «È stata la prima volta che qualcuno mi ha fatto sentire importante, insostituibile.»

Ma erano cose da dire durante una discussione del genere? Si portò una mano alla testa, sperando che qualche intervento divino potesse tappargli la bocca, mentre Caroline spalancava la sua, incredula.

«Quindi non hai mollato la francesina.» notò, con una certa dose di veleno, e le era costato molto non usare un appellativo più colorito, uno dei soliti che usava per riferirsi a Valerie.

Cosa assolutamente comprensibile da parte di chiunque, tranne che, evidentemente, da Stefan.

«No.» ammise, con un sorriso piatto. «Care, so che ho sbagliato tutto con te, lo so, ho continuato a sbagliare e forse anche adesso lo sto facendo. Ma so anche che se Klaus passasse adesso da quella porta e ti giurasse eterno amore, non avresti più un solo sguardo per me.»

Caroline era ammutolita, la sua migliore amica solo piena di qualcosa simile alla compassione, perché non c'era nessuno che potesse negare una simile affermazione se davvero Klaus era il Damon di Caroline.

«Io voglio di più.» concluse lui, con un'alzata di spalle, come se stesse dichiarando la resa.

Ci aveva messo degli anni per farlo, aveva continuato a guardare prima Tyler e poi Klaus avere ciò che lui aveva sempre desiderato e non apprezzarlo. Non voleva essere messo nella stessa posizione da lei.

Caroline però non credeva di aver capito. «Di... più?» aveva smesso di capire quando si era resa conto di essere stata messa da parte per l'ennesima volta, perfino da chi pensava non l'avrebbe fatto mai.

Era una cosa che dava per scontata, e per la prima volta nella sua vita si rese conto che non c'era nulla di scontato, specie nei sentimenti delle persone.

«Non voglio essere il ragazzo che prendi in considerazione solo perché la tua prima scelta se l'è svignata.» spiegò, allora, lui. «Voglio essere io la prima scelta di qualcuno, per una volta, senza che senta il bisogno di dover cambiare o di assomigliare di più a ciò che un'altra persona vorrebbe.»

«Stefan...» mormorò la ragazza, quasi scioccata che potessero sentirsi così tanto allo stesso modo, eppure avere, nel contempo, visioni così distanti.

Si domandava se avrebbero mai potuto incontrarsi, in qualche punto.

«Io ti voglio bene, Care.» confessò, accorato. «Molto di più di quanto dovrei volerne a una semplice amica. E sì, mi dispiace che le cose tra noi siano successe al momento sbagliato, di averti mostrato un lato di me che non voglio esista. Mi dispiace se ti ho fatta sentire usata o tradita, e mi spiace anche di non essere mai stato abbastanza da essere considerato.»

L'ultima osservazione, che non si capiva bene se le stesse dando la colpa o semplicemente chiedendo scusa, fece saltare i nervi alla ragazza, che prima di parlare compresse le labbra in una linea talmente sottile da diventare bianca.

Gli avrebbe dato del coglione, se solo fosse riuscita ad articolare un suono, ma era troppo arrabbiata. Mandò giù il rospo, e semplicemente chiese: «Perché pensi sempre di sapere tutto senza aver chiesto prima il mio parere?»

Era quasi sempre così: c'era sempre qualcuno con la pretesa di sapere cosa le passava per la testa, tanto da pretendere di decidere cos'era meglio per lei, come se si potesse stabilire dall'esterno. Nemmeno lei stessa sapeva cos'era meglio per sé, figurarsi se avesse potuto qualcun altro.

Stefan sospirò: «Vuoi dirmi che se Klaus tornasse col suo cavallo bianco tu lo prenderesti a pesci in faccia?»

Caroline sapeva perfettamente che il problema non era Klaus.

Klaus se n'era andato da settimane e lei gli aveva fatto il favore di non farsi più sentire, dato che nemmeno lui si era preso il disturbo di scriverle due parole per messaggio.

«Non lo so, Stefan!» ed era la verità, ma sapeva anche che non le importava così tanto di scoprirlo. «Perché sei tu quello che mi sta prendendo "a pesci in faccia", adesso, e non sei proprio nella posizione di dire una cosa simile quando sei corso dietro alla scelta più facile perché ti faceva più comodo così! Quindi sì, hai ragione, in fondo: non sei abbastanza!»

Non avrebbe saputo dirlo meglio.

Fece per andarsene, seccata dalla piega che aveva preso quella conversazione quando era certa sarebbe finita in altro modo, ma lui la trattenne per un polso.

«Ehi!» fece, offeso. «Sono anni che spero che tu ti accorga che esisto! Scusa tanto se per una volta voglio essere quello che agisce e non quello che aspetta!»

L'unica volta che aveva provato ad agire con lei aveva finito per addormentarsi mentre beveva bourbon con suo fratello, subito dopo una delle sbornie più devastanti della sua vita.

Si era sempre lamentata che era uno che stava nelle retrovie, e adesso aveva preso in mano la situazione. Non era sicuro che avesse il diritto di essere arrabbiata per questo, eppure lei lo faceva sembrare maledettamente naturale.

«Mi fa piacere che tu abbia deciso di agire.» non si capiva se era sincera o solo sarcastica. «Solo che è con qualcuno che non sono io!»

Ritirò il braccio e stavolta, sconvolto, Stefan la lasciò andare. La fermò solo con un: «Care...» detto piano, come se avesse avuto paura di rompere quel vetro sottile che era diventata la loro amicizia.

Un passo falso e sarebbe crollato tutto sotto ai loro piedi.

«Senti, non posso.» confessò la ragazza, scuotendo la testa. «Tu vorresti che rimanessimo amici, ma non posso. Dovrei fare cosa? Sopportare la vista di te e quella gallina che fate i piccioncini mentre l'unica cosa che è rimasta a me sono dei momenti rubati in una camera di sgombero?»

Questa, forse, non era nemmeno la prospettiva peggiore.

E stavolta era Stefan quello ridotto al mutismo: «Io...» non sapeva come ribattere.

Per la prima volta, se anche con Elena era riuscito a difendere le sue argomentazioni, stava cominciando a vacillare: non poteva avere tutto.

«E tu? Non ti sentiresti a disagio sapendo che la tua ragazza potrebbe avere dei problemi col fatto che sono seduta al suo stesso tavolo?» continuò lei, imperterrita. «O del fatto che sei rimasto amico con quella con cui sei andato a letto mentre stavate insieme? Tu dici che vuoi essere la prima scelta di qualcuno, ma Valerie è la tua prima scelta? Ti importa davvero come si sente, o è solo un modo per far stare bene te

Attese, si aspettava una risposta che non arrivò mai, perché Stefan non ne aveva una da darle: continuava a guardarla smarrito, come se gli avesse tolto tutte le certezze.

Ed era così: da quella prospettiva non era mai riuscito a guardarla.

«Non è questo lo Stefan che conosco e che credevo mi piacesse.» concluse lei, e seppe di avere da dire solo un'ultima cosa: «È meglio se mi stai lontano, da oggi in poi.»

Perché Valerie sarebbe arrivata a Mystic Falls che lei lo volesse o meno, che Stefan lo volesse o meno, e nessuno dei due avrebbe potuto farci niente. Sarebbe successo, ed era una cosa che Caroline, a quelle condizioni, non avrebbe potuto sopportare.

«Care, ti prego...» la implorò Stefan, suonando disperato. «Non voglio che le cose finiscano così. Se anche non possiamo essere più amici, lo capisco, ma non posso accettare che chiudiamo così.»

In realtà non avrebbe potuto accettarlo e basta, ma aveva il dubbio che avrebbe addirittura peggiorato la sua posizione se l'avesse detto.

Caroline aveva ragione: o lei o Valerie, non c'era una via di mezzo. Il fatto che non volesse ferire nessuna delle due non gli garantiva che potesse continuare a frequentare entrambe, anche se non nello stesso modo.

Solo che il pensiero di perderla era come pensare di perdere lo stomaco.

«E in che altro modo dovremmo?» fu la domanda retorica con cui replicò. «Non riesco nemmeno a guardarti, Stefan. Non so più nemmeno chi sei.»

Lo sguardo che gli rivolse lo fece sentire un estraneo ai suoi occhi, forse fu quello a far crollare l'ultimo muro di giustificazioni che si era dato pur di non ammettere la pura e semplice verità.

«Io non so cosa fare.» fu costretto a lasciar andare le parole. «So che Valerie non mi spezzerebbe mai il cuore, e hai ragione: sono un codardo, non ho abbastanza coraggio per scoprire che potrei soffrire come un cane. Non sono pronto... non voglio farle del male, ma non per questo voglio farne a te.»

Quindi non c'era niente di più vero che potesse dire: non sapeva cosa fare. Caroline si ammorbidì, ma solo un po', mentre alla sua amica dietro l'albero piangeva il cuore: riusciva a vedere quanto fossero perfetti l'uno per l'altra eppure nessuno dei due era disposto a fare quell'atto di fede che serve, buttarsi nell'ignoto solo per provare a essere felici.

Forse Caroline ci avrebbe provato, forse, ma Stefan tremava di paura, lo vedeva anche da lì.

«Non starò ad aspettarti, Stefan.» chiarì la bionda, incrociando le braccia al petto. «Non me ne starò qui buona a decidere chi delle due tu pensi sia meglio per te, non è giusto né per me né per lei.»

Per quanto poco le importasse della rivale, entrambe meritavano del rispetto da parte sua come persone, e lui non ne aveva abbastanza.

Stefan annuì, piano. «Lo so.»

Caroline avrebbe voluto dirgli che non lo sapeva, che in realtà non aveva capito nulla, ma mando giù qualunque insulto e proseguì: «Mi fa rabbia che potremmo star perdendo una grande occasione solo perché tu hai paura.» lo guardò dritto negli occhi. «E se potessimo essere quell'amore che nessuno dei due capisce? Quello che hanno Damon ed Elena?»

La chiamata in causa si sporse un po' di più da dietro l'albero per guardare i suoi amici: era davvero così che vedevano lei e Damon? Come l'amore a cui si aspira?

Ne fu rincuorata, da un lato, dall'altro turbata: era possibile che nessuno avrebbe potuto avere lo stesso per il semplice fatto che non c'è nessuno uguale a un altro. Avrebbero tranquillamente potuto avere di più, ma non l'avrebbero mai saputo se non avessero provato.

Anche lei di paura ne aveva avuta tantissima, ma era stato semplicemente impossibile non fare quel passo.

«Ci ho pensato.» ammise Stefan, mogio. «E... lo vorrei. Però... che succede se va male? Li ho visti soffrire l'uno a causa dell'altra e non credo lo sopporterei.»

Caroline commentò solo con un: «Mmh...» che stava a significare che, dopotutto, nemmeno lei ci aveva tanto riflettuto.

Aveva dato per scontato che le cose sarebbero andate bene e che sarebbe stato epico. Punto. L'eventualità che potesse finire peggio che male non le aveva nemmeno sfiorato il cervello.

«Però hai ragione.» ammise Stefan. «Sarò sincero con Valerie appena arriva, non posso farle questo, se non è la mia prima scelta. Perdonami.»

Sulle prime, lei proprio non capì che cosa avesse da perdonargli, se non l'unica colpa di essere uno sciocco e un ingenuo, quando quella a cui avrebbe davvero dovuto chiedere scusa per non essere abbastanza coraggioso da prendere una decisione era Valerie.

«Per cosa?» gli chiese, dunque.

«Per tutto.» fu l'amara replica del ragazzo. «Ho bisogno di crescere, non solo in questo campo, purtroppo, e... mi dispiace.»

Sapeva di averlo già detto fin troppe volte, ma non sembrava mai abbastanza. Aveva così tanto per cui scusarsi con lei, che quelle parole non erano sufficienti, ma da qualche parte avrebbe anche dovuto cominciare, anche se per lei non avesse dovuto contare molto.

«Quindi... che farai?» gli chiese Caroline, perché alla fine era la cosa che le importava.

Scegliere tra lei e Valerie non le sembrava poi così difficile, anche se chissà che confusione c'era nella testa di quel ragazzo. Forse il suo terrore era dato dall'inesperienza, o da quel lato sempre troppo riflessivo del suo carattere, ma lei non intendeva aspettare che crescesse.

Eppure una soluzione vera non c'era.

«Diamoci del tempo, Care.» poteva essere solo quello: aspettare per capire. «Se non per fare luce su cosa vogliamo dall'altro, per cosa vogliamo da noi stessi. Io, almeno, temo di averne disperatamente bisogno.»

Non sarebbe stato facile perché la sua testa era altrove, negli ultimi giorni, con tutto quello che stava succedendo nella sua vita, ma aveva scelto di parlarle, senza dirglielo, perché aveva bisogno che almeno qualcosa fosse in ordine, in tutto quel caos.

Era finita che non era riuscito a sistemare nemmeno quello, ma almeno ci aveva provato. Così le dedicò un sorriso a metà, un po' triste un po' di scuse, prima di girarsi per andarsene, e forse lasciarla anche un po' andare, anche se non sapeva se ci sarebbe mai riuscito completamente.

Caroline mugolò. «Stefan?»

Lui si voltò, ma non ebbe tempo di dire granché: lei l'aveva afferrato per la maglietta della squadra di football e l'aveva attirato a sé.

Fu un bacio veloce, ma intenso. Fu Caroline a decidere l'inizio e anche la fine: lo allontanò quando ritenne giusto.

«Io... adesso... ehm...» balbettò Stefan, incapace di articolare un suono che avesse un senso.

«Sì, infatti.» lo liquidò lei, addirittura spingendolo via. «Vattene. Su, sciò!»

Stranito, il ragazzo fece proprio come gli era stato detto e si dileguò: si diresse di nuovo verso la mensa, mentre la ragazza borbottava qualcosa che Elena non riuscì a cogliere nemmeno mentre le si avvicinava, anche se con un sorriso di vittoria.

L'amore vince sempre. Chissà se sarebbe stato vero anche per lei.

«O...kay.» commentò, maliziosa. «Questo non è stato per niente imbarazzante.»

La sua migliore amica le indirizzò uno sguardo omicida. «Piantala!» la avvisò, mentre si chiedeva perché diamine avesse fatto quella pazzia.

Non era dell'umore adatto per quelle battutine che Elena sembrava essere in grado di dispensare sempre più spesso, e poi diceva di lei che cominciava a somigliare troppo a Tyler... e a proposito del ragazzo avrebbe dovuto sedersi e pensare cosa fare con lui.

«Come, piantala?!» fece Elena, scornata. «Stavo già immaginando la vostra storia d'amore fino al matrimonio con i vostri bambini! L'hai convinto a mollare Valerie!»

A quell'appunto, Caroline si portò le mani alle guance accaldate. «Diamine!» esclamò, colpita. «Hai ragione!»

Si augurava solo che anche quella volta non fosse una speranza vana, soprattutto perché quel brutto presentimento che Elena evidentemente – almeno a giudicare dalla sua espressione felice, nemmeno avesse vinto alla lotteria – non aveva, non ne voleva sapere di andarsene.

All'uscita di scuola, sia Stefan che Caroline si evitarono accuratamente. Elena proprio non li capiva, quando sembrava che stessero facendo un passo avanti, ne facevano altri venti indietro, ma quando aveva domandato, Caroline aveva semplicemente scosso le spalle.

«Ma non hai sentito che abbiamo deciso?» le chiese, retorica. «A ognuno i suoi spazi per un po'. Per schiarirci le idee.»

E no.

Elena proprio non capiva.

«Ma a che serve?» domandò, confusa. «Sapete già di piacervi, lui deve soltanto lasciare Valerie. Perché siete tanto spaventati di finire come me e Damon?»

E forse era quella la domanda di cui premeva sapere la risposta, più che il resto, inconsciamente, eppure era così.

L'unica cosa che ebbe in risposta fu il leggero sbuffo di Caroline, accompagnato da una ben poco rassicurante frase.

«L'amore va bene, Ele.» le disse. «Però ammetterai che il rapporto che avete sviluppato tu e lo Stronzo è... cavolo, è al limite del morboso. Sembra che nessuno dei due possa esistere senza l'altro. In effetti, un po' spaventa, non so se sono pronta per una cosa del genere, è un grosso impegno.»

Elena, addirittura, mise il broncio. «Non c'è niente di morboso tra me e Dam.» era una risposta automatica, però, nemmeno si era fermata a pensare alle parole della sua amica.

Forse agli occhi di un estraneo poteva anche sembrarlo, ma non era sicura che voler vedere un ragazzo con cui stai da relativamente poco potesse essere classificato come comportamento morboso. Si era innamorata, non c'era nulla di male a voler stare con lui ogni momento libero.

Già si vedevano poco, con quella stupida storia della punizione, poi ci si era messo anche Alaric e adesso Caroline. Non era giusto farsi rovinare i momenti che riuscivano a ritagliarsi con delle inutili paturnie, eppure...

Non avrebbe dovuto dar loro ascolto, né Caroline decise di continuare la discussione, anzi, le accennò al parcheggio dove faceva bella mostra una Camaro blu.

«Parli del diavolo, eh.» commentò, quasi divertita.

Elena, invece, non poteva trattenere il sorriso: come sempre, aveva mantenuto una promessa. Era super eccitata dai piani che poteva avere per quel pomeriggio: perché andarla a prendere, sennò?

«Ci vediamo domani!» salutò la sua amica così, prima di correre verso il suo ragazzo, bello come sempre, con degli occhiali da sole sul naso, appoggiato alla Camaro, nella sua giacca di pelle sempre troppo leggera per il freddo di gennaio.

"Hai bisogno di voti alti per un'ammissione al College e lui è molto probabile che non resterà tanto a lungo per vedertici entrare."

Rallentò il passo e il sorriso le morì sulle labbra, finché non si fermò. Perfino Damon ne sembrò confuso, l'aveva notata da che era uscita di scuola, era lì da pochi minuti, ma gli era sembrato di aspettare in eterno di vederla uscire.

Adesso aveva in faccia stampata una faccia quasi da funerale, e non capiva perché, ma sapeva che se ne sarebbe dovuto preoccupare a breve, specialmente quando la vide contrarre le labbra per trattenere le lacrime.

Subito lo travolse il pensiero che qualcuno le avesse fatto qualcosa.

Per questo di avvicinò, mentre Elena si portava le mani agli occhi per asciugarli prima che fosse troppo tardi, prima che lui potesse leggerle in faccia ciò che la preoccupava: sarebbe rimasto fino al diploma? Le sarebbe scivolato via tra le dita come l'acqua, ancora prima che potesse rendersi conto che lo stava perdendo?

Il solo pensiero rischiava di ucciderla.

«Piccola mia, che succede?» le domandò, ma non attese la risposta: la strinse tra le braccia, la schiacciò contro il suo petto.

Elena gli si aggrappò alla giacca sulla schiena, sforzandosi di non piangere, e di pensare al momento in cui erano, invece che di turbarsi col futuro.

Tanto lo sapeva che prima o poi avrebbero dovuto separarsi: lui non la voleva, una famiglia. Eppure una parte di lei aveva sempre sperato che potesse cambiare idea.

"Le persone cambiano"

Ma lo fanno davvero?

«Va tutto bene.» le promise, anche se lei non poteva credergli. «Dimmi che è successo.»

«Niente.» e non era una bugia, solo che quella conversazione le aveva dato modo di riflettere: il suo non era il per sempre delle fiabe, era la vita reale, il per sempre non esisteva. «Niente, davvero... mi è solo andata qualcosa nell'occhio.»

Non voleva spiegare, non ne aveva la forza, non avrebbe mai trovato le parole senza suonare un'insicura troppo dipendente da lui.

«Elena.» la rimproverò il ragazzo, senza sciogliere l'abbraccio.

Alla faccia del non farsi influenzare dalle parole o opinioni altrui, lei gli si strinse addosso più che poté, un modo per rassicurare se stessa.

«Stringimi e basta, ti prego.» implorò, piano.

E Damon lo fece, senza fare altre domande, lasciando perlomeno che si calmasse, che fosse pronta a parlare di cosa mai fosse successo in quelle poche ore, del perché non l'avesse subito cercato.

Fino a che non l'aveva visto sembrava andasse tutto benissimo, ma non si azzardò nemmeno a muoversi: Elena avrebbe confessato quando si sarebbe sentita di farlo, anche se quel cambiamento completo di umore da quella mattina un po' lo preoccupava.

«Ho parlato con Ric.» la sentì dire, e lì riuscì a ricollegare tutti i puntini, anche senza sapere niente, perché quel presentimento che Alaric avrebbe finito per incasinare di nuovo il mondo ce l'aveva avuto da che aveva pronunciato il suo nome fuori dalla sua porta.

«Gli spacco la faccia.» sentenziò, deciso.

Fece per andare proprio a fare ciò che aveva promesso, ma Elena lo trattenne. «Non ha fatto niente.» a parte farle la parte a cui ormai avrebbe dovuto essere abituata.

Aveva solo aggiunto delle cose che l'avevano turbata più di quanto le sarebbe piaciuto. E non è che non le avesse già sapute da sola, solo che sentirle così, a voce alta... le aveva rese improvvisamente più vicine di quanto le avesse mai pensate.

Damon le rivolse un'occhiata in tralice.

«Che ti ha detto?» le domandò.

Elena si strinse nelle spalle. «Le solite cose.» rifletté. «Che non ho dei bei voti per il College, che non ho uno straccio di idea di cosa fare della mia vita, che tu mi stai portando via un sacco di tempo e attenzione e... che non sei altro che un ragazzo in mezzo a migliaia di altri e che devo pensare prima alla mia vita di qualunque altra cosa.»

Damon detestava dare ragione a qualcuno con cui ce l'aveva, attualmente, a morte. Una parte di lui però lo sapeva che aveva ragione: per Elena la prima cosa importante avrebbe dovuto essere se stessa, il suo futuro.

Certo non pensava certo di starle così tanto tra i piedi.

«Aspetta.» le disse, cauto. «Hai voti bassi per colpa mia?»

Lo sguardo che gli rivolse Elena poteva essere definito omicida. «La mia vita è una merda, è per questo che ho i voti bassi.» borbottò, prima di dargli una leggera spinta. «Ho una sorella morta, un padre che dire soffocante è poco, attacchi di panico che arrivano quando meno me l'aspetto, tra le altre cose e pensi davvero di essere la causa dei miei voti bassi? Li avevo anche prima che tu arrivassi, ma a quanto pare hanno pensato tutti bene di accorgersene solo adesso!»

Frustrata, grugnì.

«Nessuno capisce che non me ne importa niente del College.» concluse, con un leggero sbuffo.

Non sapeva nemmeno che cosa avrebbe dovuto fare nella vita, che male c'era ad aspettare un anno e decidere con calma? Si aspettavano tutti qualcosa da lei, il bello era che ognuno si aspettava una cosa diversa.

«C'è ancora tempo prima delle ammissioni.» le disse, incoraggiante. «Sono sicuro che, per allora, lo saprai.»

Elena sembrava scettica: in tre o quattro mesi dubitava di scoprire qualcosa a cui non era arrivata in diciott'anni, ma non aveva voglia di mettersi a discutere, soprattutto nel parcheggio della scuola.

E più lo guardava, più sapeva che non avrebbero resistito alla distanza, alla mancanza di tempo. La loro storia non era fatta di spazi, erano tutti quanti riempiti, non c'erano silenzi lunghi, non c'erano distanze da coprire, era come un elastico: le vacanze, le cose brevi andavano benissimo – anche se su quelle avevano avuto discreti problemi –, ma i mesi?

Un elastico si rompe, se lo tiri troppo.

«Va a finire che aveva pure ragione.» sussurrò, incredula, lei, continuando a pensare alle parole di Alaric.

Damon non capiva: «Chi? Su cosa?»

«Lo sapevo da subito che non siamo destinati a durare per sempre.» confessò, a malincuore. «Solo che sentirmelo dire non è stato bello.»

Soprattutto perché il tempo che le aveva dato era stato molto più breve delle sue più disastrose ipotesi. Si era vista molto più in là con Damon, in realtà, anche se sapeva tutto fin dall'inizio, non si immaginava una vita con un altro.

Damon lo sapeva, sapeva tutto di Elena, sapeva dei suoi desideri sul matrimonio e la famiglia, sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento, per uno dei due, di fare un passo avanti oppure di tirarsi indietro.

Lui non poteva dire, ancora, cosa avrebbe fatto, era un problema che aveva sempre pensato di lasciare al se stesso del futuro, a cui ancora una volta, lo rimandò: «Elena, io sinceramente non riesco a preoccuparmi nemmeno di cosa mangerò per cena.» disse. «E non ti posso dare garanzie su cosa vorrò tra cinque anni, nemmeno Alaric può, oppure tu, perché nessuno lo sa. C'è solo un modo per saperlo: andare avanti finché il momento di scegliere non arriva. Non sono decisioni che possiamo prendere adesso, anche io da bambino sognavo di fare l'astronauta, questo non significa che adesso sono nelle condizioni di poterlo fare, o che ancora lo voglia.»

Sorprendentemente, Elena sbuffò una risata. «L'astronauta?»

Un po' il sorriso le era tornato a sentirlo parlare in quel modo: era vero, non aveva garanzie, ma questo valeva in un senso o nell'altro, non stava escludendo a priori nessuna possibilità.

E poteva essere considerato un miglioramento per uno che aveva spergiurato di non voler avere niente a che fare con abiti bianchi e bebè.

Lui sospirò: «Grandioso. Hai notato solo l'unica cosa imbarazzante.»

«Ho capito quello che vuoi dirmi.» lo tranquillizzò, con tono disteso. «Non devo preoccuparmi del futuro quando non so nemmeno cosa mangerò per cena.»

Aveva senso, e non era altro che la filosofia che le aveva suggerito di usare per il College: al momento opportuno avrebbe deciso.

Sperava solo che, arrivata a quel momento, l'avesse capito.

«Più o meno.» concordò il ragazzo. «E poi potremmo sempre arrivare a tirarci addosso il tostapane o, non so, dei piatti, molto prima che sia opportuno pensare al matrimonio e ai marmocchi.»

Di nuovo, Elena gli diede una spinta leggera. «Okay, ho capito.» ripeté, quasi sillabando. «La smetto di preoccuparmi.»

Damon avrebbe potuto anche nascondere il sospiro di sollievo, ma gli uscì fin troppo spontaneo: «Ottimo.» commentò. «Andiamo, adesso?»

«Sì, ti prego.» questa volta, Elena gli prese la mano. «Sto morendo di sonno.»


Ebbe modo di metterlo a parte delle novità in macchina, sia su quello che aveva fatto Caroline a casa sua, cosa di cui Damon non si mostrò particolarmente entusiasta, anche se era di certo rimasto impressionato, sia di Stefan, delle cose che si erano detti loro due e anche lui e Caroline.

«Tanto lo so che sei curioso.» gli rinfacciò, prima di fargli la linguaccia.

«Mio fratello conteso da due ragazze!» si giustificò Damon, come se non fosse una cosa da tutti i giorni, e, in effetti, non lo era. «È la versione meno trash di uno di quei reality che piacciono a mia madre, capisci? E poi è un'ottima scusa per prenderlo per il culo.»

Elena scosse la testa. «Prima di riniziare a prenderlo in giro, forse dovresti essere gentile.»

La faccia che fece fu abbastanza eloquente, ma lei sperava stesse scherzando, oppure che la stesse facendo più teatrale di quanto fosse necessario: Stefan non era necessariamente arrabbiato, ma deluso sì, avrebbe dovuto riconquistarsi un po' di fiducia, avrebbe dovuto sforzarsi di ricucire il rapporto senza troppe battutine idiote, ma chi poteva saperlo? Magari Damon ci sarebbe anche riuscito, doveva ancora vederlo fallire in qualcosa su cui non si fosse fissato ad arrivare fino in fondo.

Anzi, era addirittura riuscito in cose che lei avrebbe ritenuto impossibili, tipo portare Stefan a una festa al College a ubriacarsi.

«Siamo arrivati, signorina Rottenmeier.» la avvisò, prima di darle un pizzicotto sul fianco.

Lei gli fece un'altra linguaccia e scese dalla macchina. Il portico di casa e il vialetto erano riempiti di foglie secche, che scricchiolarono sotto i passi di entrambi, di nuovo mano nella mano mentre si avvicinavano alla porta, tanto erano sicuri che suo padre, anche ammesso fosse stato in casa, non si sarebbe arrabbiato, dopo quello che era successo, avrebbe semplicemente pensato che Damon si era affrettato a farsi vedere per preoccupazione.

Questo, almeno, pensò Miranda, quando aprì la porta.

«Sei a casa.» commentò, sollevata, allungando le braccia per stringere sua figlia.

Elena lanciò uno sguardo a Damon, il quale trattenne il sorriso birichino. «Mamma...» borbottò lei, un po' imbarazzata.

Lei però non sembrò affatto curarsene. «Stamattina sei scappata non ci hai nemmeno dato modo di parlare.» non era un rimprovero, solo una constatazione.

Poi si spostò dalla porta per farli passare entrambi, accolse Damon con un sorriso caloroso. «Suppongo sappia anche tu di quanto è successo ieri sera.»

Il ragazzo si limitò a scrollare le spalle: sapeva solo che Caroline aveva minacciato di gettarsi dalla finestra, fingendosi Elena, non era stato messo a parte di molti dettagli. Non fingeva noncuranza, era solo una risposta, come per dire: "Come faccio a non saperlo?"

«Pensa come sono messa se devo ricorrere a queste minacce per far rinsavire papà.» si lamentò Elena, gettandosi a peso morto sul divano.

In fondo, era anche coerente con quanto successo a casa sua: Caroline non doveva aver dormito un attimo esattamente quanto lei.

Miranda la occhieggiò dubbiosa. «Sembravi molto più convinta ieri sera.» imputava quel cambio di comportamento alla presenza di Damon, perciò non le parve poi tanto strano.

«Certo, non ne posso più!» ribatté la ragazza, sbuffando, poi allungò le braccia verso il fidanzato con il labbro inferiore sporgente. «Siediti qui, Dam.»

Lui le strizzò le guance come si fa con in bambini, prima di accontentarla. Certo, sapeva essere una grande attrice, se lo desiderava, oppure era tutta una scusa per avere coccole extra da tutta la sua famiglia.

«Posso stare tranquilla che non proverai a fare niente di stupido?» le domandò Miranda, seria.

Elena si accoccolò sopra Damon, era il momento di chiudere la partita con le carte che le aveva passato la sua migliore amica. «Dipende.» concesse. «Posso riavere la mia vita da persona normale? Perché altrimenti tanto vale che mi butto davvero!»

Sua madre spalancò le palpebre, incredula: già la sera prima si era trovata milioni di giustificazioni per pensare che stesse solo esagerando, e sebbene ne fosse un po' più convinta, non poteva non pensare che Elena sarebbe ricorsa a qualunque mezzo, questa volta.

«Elena.» fu Damon a rimproverarla, perché di quelle cose non voleva sentir parlare nemmeno per scherzo. «Siamo qui per raggiungere un compromesso, non per comportarci come scemi.»

La ragazza si offese.

Damon la ignorò. «Senta, Miranda.» parlò con tono esausto. «Lo so che abbiamo violato il coprifuoco e le altre scemenze, va bene che siamo puniti. Però Elena non era con un idiota minorenne, era con me, mi prendo cura di me stesso da quando ho quindici anni, sono perfettamente in grado di gestire una diciottenne che è, anche da sola, in grado di gestire se stessa. Non sono un drogato, non ho problemi con la giustizia... e ho relativamente la testa a posto, Elena non era in mezzo a una strada, e siamo lo stesso sottostati a delle regole assurde. Direi che è il momento di finirla, non crede anche lei? Lasciando anche perdere le minacce a vuoto di sua figlia in un momento di scarsa lucidità mentale.»

Elena per poco non lo soffocò con la sciarpa: stava mandando al diavolo tutto il lavoro di Caroline e la loro unica possibilità di sfangarla!

«Grayson mi è sembrato ben disposto, dopo ieri.» ammise Miranda, con calma, prima di lanciare uno sguardo a sua figlia, che aveva le braccia conserte e la faccia corrucciata, avrebbe lanciato pugnali dagli occhi verso il suo ragazzo, se avesse potuto, ma Damon sembrava troppo stanco per notarlo. In effetti, erano tutti e due pallidi come cenci. «Perché mi sembrate stanchi morti entrambi?»

Nessuno dei due si mosse: erano troppo occupati a ostentare indifferenza per pianificare una reazione coerente.

«Non ho avuto una settimana facile.» fu la risposta diplomatica che le diede Damon. «Dormo poco.»

Elena si morse il labbro. «Di me lo sai già.»

Detto questo, Miranda li osservò e basta, ed Elena stava quasi per capitolare e confessare, che tanto la verità le stava scritta in faccia, non come Damon che aveva la pokerface classica di chi non ha niente da nascondere – o forse fin troppo.

Comunque sembrava tranquillo.

Poi, sua madre sospirò e a lei mancò un colpo al cuore. «Perché non andate di sopra a riposare un po'?» propose, invece. «Grayson temo dovrà farsene una ragione, prima o poi.»

Non se lo fecero ripetere due volte: Elena afferrò il suo fidanzato per una manica e quasi lo trascinò in camera. Si assicurò di chiudere bene la porta, prima di parlare in un sussurro alterato, perché nessuno la sentisse, tranne lui.

«Sei uscito di testa?» gli chiese.

Damon roteò gli occhi. «No.» intanto si era già steso nel letto, stropicciandosi gli occhi. «Penso di essere, anzi, l'unico dei due che ce l'ha ancora sul collo.»

Per smuovere gli animi la scena madre di Caroline poteva anche essere stata utile, ma portarla avanti non avrebbe aiutato affatto la loro causa. Dubitava che i suoi genitori, se la cosa fosse continuata, ci avrebbero creduto ancora a lungo.

Ma chi lo spiegava ad Elena, tutta offesa?

«Non posso crederci!» si lamentò, infatti. «Perché stai provando a rovinare tutto?»

«Elena, ma sei scema?» le chiese, di rimando: era troppo stanco per continuare a essere gentile ed evitare di discutere. «Che cosa ti aspettavi che facessi davanti a tua madre? Appoggiare la brillante idea del suicidio? Sarebbe stata proprio ben disposta ad affidarmi sua figlia, in quel caso! Che idea geniale!»

Lei restò zitta: non ci aveva affatto pensato.

«O forse avresti preferito che dicessi che mi sarei ucciso sul tuo cadavere, nemmeno fossimo Romeo e Giulietta?» continuò il ragazzo, sarcastico. «Penso che questa cosa sia già abbastanza ridicola così. Uno dei due deve provare a essere credibile, se vogliamo uscirne.»

E con questo non intendeva continuare a parlare, perciò si girò su un fianco, dandole addirittura le spalle.

La ragazza borbottò un: «Stronzo.» mentre anche lei si metteva a letto, proprio al suo fianco.

Damon sorrise, non visto.

«Hai ragione Damon, sono stata una stupida a gridarti contro.» alzò la voce di qualche ottava, per fingersi lei, ma sempre rimanendo in un range che non avrebbe superato i muri. «A volte devo solo fidarmi di te perché hai più esperienza nel campo delle menzogne di me che non mento da quando ho smesso di nascondere i giocattoli a mio fratello. Scusami tanto.»

Si girò verso di lei solo per trovare un'Elena con le sopracciglia in alto. «Non ho mai nascosto i giocattoli a Jer.» gli fece notare.

Un sospiro teatrale di sopportazione lasciò le labbra del ragazzo: «Ah, be'... sei anche più noiosa di quello che pensavo.»

La punzecchiò, e lei pensò bene di tirargli un cazzotto ben assestato sulla spalla che lo fece gemere per il dolore – se per davvero, oppure solo per darle la soddisfazione, non l'avrebbe mai saputo.

«Ehi... vacci piano, bellezza.» la circondò con le braccia, e lei si lasciò coccolare un po'.

«Dormi.» lo avvisò, però, fingendo di avercela ancora con lui.

Il fatto che avesse reso tutta quella storia molto più credibile, tanto da farci cascare anche lei, era ottimo.

«Guastafeste.» commentò lui, quando gli tolse la mano dal fondoschiena per portarla sul fianco. «Ti amo.»

Però gli baciò il naso. «Anch'io.»

Si addormentarono praticamente subito, ed è così che li trovò Miranda, quando salì per far vedere a suo marito che per lei era stata instaurata una tregua.

Lui guardò Damon piuttosto torvo, prima di richiudere la porta della stanza di Elena, certo che non avrebbero provato a fare nulla sotto al suo tetto, con loro due in casa, senza sapere quante altre volte era successo.

«Quindi, che si fa?» domandò l'uomo, scornato.

Prima di vedere Elena la sera prima, aveva davvero creduto che Damon non fosse niente di più che un capriccio, ma dopo averla sentita piangere per settimane e dopo la scenata a cui aveva assistito, non se la sentiva più di relegarla soltanto a questo.

Forse era davvero arrivato il momento del primo amore, e a lui era completamente sfuggito.

«Si fa che Damon può tornare a frequentare casa nostra, così come Caroline e Bonnie.» offrì sua moglie. «Puoi mettere delle limitazioni, se ne senti il bisogno, ma su questo non transigo.»

Grayson annuì, riflessivo.


Ta-daa!

Ce l'ho fatta, in qualche modo, questa è l'ultima parte di capitolo 15. Sembra strano che sono più del doppio. Un'amica mi ha detto che un mio capitolo è lungo quanto tutta la sua storia e la mia faccia era più o meno O.O

Io ci ho provato, ma accorcio da 30 pagine a 23 per far succedere qualcosa... XD

Comunque, mi sono appena resa conto che questo è desolatamente il primo capitolo del 2017 che non è iniziato nel migliore dei modi, però vabbè, me ne farò una ragione, anche se ero piena di speranze e bla bla.

Spero che almeno il vostro anno nuovo sia meglio del vecchio e del mio.

Ho notato che ho aggiunto un bel po' di Steroline nel mucchio senza nemmeno rendermene conto, e ho anche notato che mi piace perché stacchiamo un po' dal drama Delena e mi ha offerto un paio di spunti di riflessione.

Spero che abbiate apprezzato anche voi.

E tipo tra due settimane finisce la serie. Cioè FINISCE.

E, niente, se qualcuno ha qualche informazione su cloni di Ian Somerhalder me lo faccia presente XD

A presto! (Almeno spero a più presto di così)

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