Pennarelli neri e Bic blu

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Mi siedo al mio posto, con uno sbuffo e Marina mi si siede a fianco, dopo aver posato le sue cose sul suo banco. Questo quarto anno si sta rivelando più noioso del previsto, decisamente meno "nuovo" del primo e del terzo, più difficile del secondo. In più, in questa classe di cerebrolesi, mi sono scelto come compagna di banco un fantasma assenteista. Non pretendo niente dai miei diciassette anni: non sento il bisogno di amici, non voglio andare alle feste, non credo di aver bisogno di una fidanzata e non mi servono vestiti costosi, va bene così. Voglio solo finire la scuola e andare a lavorare, le relazioni umane non sono mai state la mia priorità.

Mi passo una mano nei capelli neri, constatando che sono decisamente più lunghi di quanto dovrebbero essere. Devo tagliarli.

«Non ti stanchi mai?» mi chiede Mari. Alzo un sopracciglio.

«Non mi stanco mai di fare cosa?» le domando. Scuote le spalle.

«Essere così acido» dice ridacchiando. Le faccio una linguaccia, lei mi alza il dito medio, poi sposta lo sguardo sui banchi dietro alla mia fila. «Oh merda...» sospira. «Lodu...» sussurra ancora. Mi volto e vedo uno dei due banchi ornato da un bellissimo, come gigantesco, "FROCIO", scritto con un banale pennarello indelebile nero, in diagonale, in modo da prendere praticamente tutto il banco. Scuoto la testa, contrariato. Non riesco a pensare a niente, Dario Loduca è tante cose, ma di certo non gay.

«L'hai fatto tu?» mi chiede Mari. Alzo le mani in segno di arresa e scuoto la testa energicamente.

«Ti giuro, ne so quanto te» mormoro. In quel momento, dalla porta dell'aula entrano Daniele Greco, seguito dal suo amico, nonché proprio il proprietario del banco infamato. Si paralizzano entrambi davanti alla scritta, poi Loduca scoppia a ridere. Noi tre ci guardiamo perplessi, lui si siede alla sua sedia e con un'invidiabile nonchalance, prende dall'astuccio un pennarello indelebile ed esattamente sotto la parola incriminata, ci scrive "mi dispiace, il mio ragazzo è molto geloso, non posso uscire con te". Sbarro così tanto gli occhi che penso che mi possano uscire dalle orbite. "Ragazzo", Dario Loduca ha un ragazzo. La persona con più testosterone che io conosca, ha un ragazzo. Penso che l'allineamento astrale di questa mattina mi abbia catapultato in un mondo parallelo in cui effettivamente Dario è gay.

«Non smentisci?» domanda Marina. Lui scuote le spalle.

«Devo smentire una cosa vera?» dice con un sorriso. Spalanco la bocca, esattamente come la mia amica di fianco a me. Dario guarda prima me e poi lei, continuando a indossare il suo migliore sorriso strafottente. «Che c'è? Fa così schifo?»

«Dario. Dario Loduca. Il donnaiolo per eccellenza, gay!?» gracchia la ragazza. Daniele, dal canto suo, ridacchia e Dario gli lancia uno sguardo divertito. Lui è il suo ragazzo? Forse sì, visto che stanno costantemente appiccicati qualsiasi cosa facciano.

«Ci sono problemi?»

«Certo che sì, brutto pezzo di finocchio! Potevi almeno darmelo un bacio, prima di renderti conto di essere sulla mia stessa sponda!» grida, fortemente ironica. Lui scoppia a ridere appoggiando la testa al muro di fianco a sé.

«Te lo darei pure un bacio, ma sono un uomo fedele...» ribatte lui, prendendo un sorso dalla bottiglia d'acqua che ha tirato fuori dallo zaino. «Che ci vuoi fare? Sono all'antica» continua, ridendo.

Sbatto gli occhi un paio di volte, cercando di rimettere in ordine le idee. Un mio compagno di classe è omosessuale. Wow. Davvero, wow. Negli ambienti che frequento a malapena se ne parla, di omosessualità, che ero quasi arrivato a credere che fosse una leggenda metropolitana. E che i gay fossero creature mitologiche.

«Che coraggio, comunque, dirlo così...» borbotta Marina.

«Me ne devo vergognare?» chiede sarcastico.

«Ma che dici, cretino? No, certo che no, ma magari ti romperanno il cazzo, o... boh, ti prenderanno a pugni, un giorno o l'altro». Lui scrolla di nuovo le spalle, noncurante.

«Li aspetto» dice, con tranquillità, tirando fuori un quaderno dal suo zaino. La campanella suona, Marina sospira e si alza, salutandoci e andando al suo posto. Sento ancora delle chiacchiere, mentre prendo il libro e il quaderno di matematica, semi-pronto ad affrontare la prima ora di questo giovedì mattina.

Quando il professore entra in classe e inizia a spiegare, inizio a perdermi tra i miei pensieri. Niente creature mitologiche, Adam, i gay esistono eccome e se ne stanno dietro di te a ridere con i loro amici mentre giocano a tris durante le ore scolastiche. Penso a Dario, com'è fatto, come si comporta, come parla, come si veste e mi convinco sempre di più che non possa essere omosessuale. Poi penso a lui e al suo ragazzo, a come dev'essere, a come sono loro due mentre stanno insieme, ai loro baci, al sesso tra loro, sempre che ne facciano, di sesso. Certo che ne fanno, Dario ha 17 anni ed è un ragazzo, di certo non si accontenta della masturbazione. Chiudo gli occhi un secondo, pensando a quel groviglio di corpi, pelle sudata, sospiri e gemiti bloccati dai baci. Ok, pensare a del sesso gay non è per niente consono alla situazione in cui mi trovo ora. Mi gratto la guancia, imbarazzato con me stesso dei miei stessi pensieri.

A scuotermi dal flusso di coscienza cui sono vittima, è qualcosa di vagamente appuntito sulla schiena.

«Hey, Adam» mi chiama Dario da dietro, sussurrando per non farsi sentire dal prof. Mi giro verso di lui e mi sorride. «Hai una penna?» mi chiede. Annuisco e prendo la prima bic che mi capita in mano, porgendogliela. «Grazie». Gli mostro il pollice alzato e mi giro di nuovo, dandogli le spalle.

«Scroccone» borbotta Daniele, ridacchiando.

«Zitto, scemo» gli ribatte il compagno.

«Ma che schifo, Da, almeno non mettertela in bocca! Gliela ridai zuppa di saliva!». Non sento altro che una risata e sospiro, appoggiando la testa contro la mano. Gay che usano le penne... chi l'avrebbe mai detto.

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