Matite

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"Sei arrabbiato per qualcosa che ho fatto?"

"No"

"E perché sei scappato così, oggi?"

"Avevo da fare"

Continuo a guardare questa mini-conversazione telematica, da un quattro minuti buoni, mentre il libro di elementi di design giace esanime sul tavolo, totalmente ignorato dal mondo. Sospiro. È palese che Dani si sia arrabbiato. In parte, ha ragione, l'ho trattato un po' di merda. Ma non potevo fare altro, con papà come un avvoltoio a due passi da noi.

Non so bene cosa dirgli, non vorrei fare la figura del coglione, che ha paura o cose del genere. Vorrei uscire in questo momento, andare da lui, dirgli che lo amo e che andrà tutto bene. Il fatto è che non ci credo neanch'io, che andrà tutto bene. Dopo che lui se n'è andato, papà si è volatilizzato in camera sua e non è più uscito fino a cena, dove non mi ha rivolto nemmeno uno sguardo, figuriamoci chiedermi scusa per il suo comportamento ridicolo. Ora se ne sta con mamma, sul divano a guardare la tv, come tutte le sere e sembra quasi una giornata qualsiasi.

"Ti chiamo", mi scrive, mezzo secondo prima che il mio cellulare prenda a squillare. Sobbalzo. Non sono esattamente pronto, so che papà apparirà a breve. Rispondo, con gli occhi chiusi.

«Hey» gli dico, con una voce che lascia trasparire tutto meno che sicurezza.

«Hey» risponde lui, abbastanza distante.

«Come va?» provo a domandargli. Non penso di essere mai stato così imbarazzato con lui, da quando lo conosco. Mi sento sempre di più uno scemo e vorrei andare al punto, prima che papà compaia.

«Va. A te?»

«Va»

«Che stavi facendo?»

«Cercavo di studiare design. Ero distratto»

«Mh»

«Tu che stavi facendo?». Sembriamo due dannatissimi sconosciuti. Che assoluta e profonda merda.

«Niente, stavo suonicchiando, ma anch'io ero distratto»

«Vuoi parlare di oggi?»

«Oggi?»

«Di quello che è successo»

«Ah. No. Non ho niente da dire». So che è una bugia bella e buona, lo sento dalla sua voce e lo so perché lo conosco. Lui ha sempre qualcosa da dire, su tutto. Ha un'opinione sulle cose che non lo riguardano in prima persona, sui fatti suoi avrà sicuramente un palazzo di parole.

«Non mentirmi»

«Non ti sto mentendo. Cosa devo dire? Hai fatto tutto da solo»

«In parte è vero... mi dispiace... ma anche tu... è un po' difficile per me...». Lo sento sospirare dall'altra parte.

«Ascolta. Mi dispiace, so che ho un po' tirato la corda con tuo padre, so che è e sarà un periodo del cazzo per te. Solo che... ero nervoso, ho capito che lui sa di noi due e come mi guardava... sembrava che volesse farmi vergognare e lì ci ho visto rosso. Poi hai detto quella cosa a Da e ho creduto che lo dicessi per legittimare il comportamento di tuo padre. Poi sulla porta. Dio, menomale che me ne sono andato, se no ti avrei tirato un pugno. Ciao? Dam, ciao? Neanche, bho, "ti voglio bene" o "ci sentiamo", non mi aspettavo un bacio di certo, ma cazzo, ciao...». Sospiro, papà è comparso ed è sulla soglia. Ma è mai possibile? Cioè, diciamo, non può farsi i cazzi suoi e lasciarmi per dieci santissimi minuti quel minimo di privacy di cui penso di avere diritto?

«Mi dispiace, lo so, sono stato una mezza merda, però, capiscimi... non so che fare... e neanche cosa dire»

«Non sai mai cosa dire, tu...» mugugna. Papà mi guarda, con un espressione seria, ma tranquilla. Onestamente, spero che non sia tutti i giorni così, perché non ce la posso fare. Se ogni volta che sono al telefono, o in videochiamata su Skype, deve esserci lui sul suo trespolo ad ascoltare ogni mia conversazione, posso definirmi spacciato. Ripeto, privacy. Giusto un goccio, non pretendo molto. Anche perché non sono nella posizione di pretendere un bel niente da lui. «Dam? Ci sei?»

Corda del SolWhere stories live. Discover now