Stelline

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«Per l'ultima volta, Dani, così è sbagliato» ripete Da. Dani sbuffa, la matematica non la capisce; in realtà, non capisce nessuna materia. Arriva sempre alla fine dell'anno con una promozione per il rotto della cuffia.

«Non farti bocciare all'ultimo anno, dai» aggiungo io, un po' sovrappensiero. Sono le quattro e mezza, in casa mia ci siamo noi tre e Sal, che sta facendo i compiti per i fatti suoi. Noi studiamo matematica da almeno un'ora, ma Daniele non collabora.

«Non voglio farmi bocciare, ma questa roba non mi entra in testa» borbotta il diretto interessato. Non rispondo, ancora estremamente scosso da ieri. Papà stamattina non mi ha rivolto la parola, a pranzo si è ripetuta la scena e io non gli ho detto niente. Non voglio che si incazzi più di quanto lo sia già.

Stamattina, con un goccio di riluttanza, ho saltato la prima ora con Da, che mi ha offerto caffè e brioche, facendosi raccontare per filo e per segno cosa fosse successo. Mi ha rassicurato un po' e, poi, ha aggiunto "tuo padre è un po' un pezzo di merda". Ho riso amaramente, lui ha capito e mi ha detto "non pensare che sia tu quello in torto, sei solo stato te stesso".

Con Dani, ho parlato appena uscito da scuola, non ha saputo aiutarmi un granché, più per mancanza di esperienza in questo campo, che di volontà, ma mi ha abbracciato a lungo, facendomi capire che, in ogni caso, qualsiasi cosa fosse successa, lui ci sarebbe stato per me. Mi ha portato a casa in auto e, prima di farmi scendere, mi ha coccolato per almeno un quarto d'ora, facendomi sentire un po' meglio, un po' più al sicuro.

«...E quindi devo trovare il differenziale? Ma che stronzata è? Scusa, non ha senso» mugugna Dani, guardando questi esercizi, poi sospira. «Dai, proviamo col dodici». Io e Da annuiamo e tutti e tre proviamo a fare questo esercizio dodici, che ha solo una stellina di difficoltà su tre.

«Dado, a te viene?» mi chiede Da. «Ah ok, niente, viene anche a me» dice, velocemente, finendo di scrivere sul suo quaderno.

«A me viene giusto» mormoro, confrontando il mio risultato con quello del libro. Dani rimane a fissare i suoi conti per un paio di secondi, poi sbatte la biro sul foglio e incrocia le braccia al petto.

«A me no! Questi stupidi esercizi non mi vengono! Mi sono rotto, basta!» esclama, frustrato. Sospiro, ridacchiando.

«Dai, fammi vedere cosa sbagli» gli dico, alzandomi e accostandomi dietro di lui. Prendo la penna e inizio a spiegargli qual è il giusto metodo di risoluzione.

Sento la porta aprirsi, un paio di scarpe infilate nella scarpiera e delle ciabatte che cadono sul pavimento. Papà appare sulla soglia della cucina mezzo minuto dopo. Non riesco a muovermi e il mio cuore sale fino in gola, mentre guarda Dario, poi me e, infine, Daniele. E quando il suo sguardo si posa su di lui, stringe gli occhi fino a farli diventare una linea nera, sia realmente sia figurativamente. Dani lo squadra, i suoi occhi azzurri adombrati da un principio di sfida. Spero con tutto il cuore che a nessuno dei due venga in mente di prendere a pugni l'altro. Riempire il frigorifero di testate non mi è mai sembrata un'idea tanto bella come in questo momento.

Papà regge il suo sguardo per un paio di secondi ancora, prima di fare ritirata e sparire in corridoio. Mi lascio andare in un sospiro di sconforto. Lo sento salutare Sal, andare in camera sua per pochissimo tempo, prima di tornare in cucina, del suo completo non rimane altro che la camicia e i pantaloni. Non dice niente, nessuno ha il coraggio di aprire la bocca. Qui dentro la tensione si taglia con un coltello, mentre papà si lava brevemente le mani e beve dell'acqua. Decido di rompere questo pesantissimo silenzio in prima persona, è l'unica opzione rimanente. A parte suicidarmi, s'intende.

«Ho chiesto a mamma se potevano venire per studiare... non volevo disturbarti... pensavo te l'avesse detto» mormoro a lui, che non mi guarda neanche.

Corda del SolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora