Lo specchio dei ricordi

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I vicoli fra le baracche a ridosso dei Docks erano stretti, tortuosi, maleodoranti e bui; aggrovigliati intorno a costruzioni fatiscenti, brulicavano di mendicanti, ubriaconi, folli e prostitute.

Man mano che Lawrence si addentrava nel cuore del ghetto, avvertiva la sensazione opprimente della disperazione. Era sicuro che avrebbe trovato lì, quella vecchietta notata al mattino nei pressi della scena del crimine, a pochi metri da dove si trovava ora.

L’odore acre dei rifiuti lo stordiva quasi; girovagava senza mèta e senza più alcun punto di riferimento.

Aveva provato anche a chiedere a qualcuno se conoscesse quella donna: ne aveva descritto l’aspetto, i lineamenti e anche quella strana creatura che l’accompagnava. Nessuno, però, gli diede risposta: aveva ricevuto occhiate diffidenti o spaventate, ma mai una parola, un’indicazione, nulla.

Erano trascorse ore – non sapeva quante di preciso – da quando si era fatto lasciare dalla carrozza all’inizio della strada principale per poi inoltrarsi da solo e appiedato in quel dedalo di stradine pregne di miseria.

Cominciava a sentirsi stanco; la testa gli doleva; stava per desistere dal suo intento, quando un piccolo passaggio fra due case che pendevano in modo da dar l’impressione che i loro segmenti superiori si sorreggessero a vicenda, attirò la sua attenzione.

Non avrebbe saputo spiegarne il motivo: forse un baluginio, un movimento colto con la coda dell’occhio, non sapeva. Ad ogni modo si infilò in quel vicolo stretto e buio più degli altri; era corto e chiuso al fondo da un muro diroccato.

Una folata d’aria gelida lo costrinse a chiudersi meglio il bavero del cappotto sulla gola. Gli parve di sentire dei sussurri, ma non c’era nessuno, lì. Le pareti delle case erano lisce, prive di porte o finestre. Lawrence raggiunse il muro, lo esaminò. Nessun passaggio, nessun indizio.

“Sei nel posto giusto, tuttavia”

La voce graffiante della vecchietta, alle sue spalle, lo fece sobbalzare. Si voltò di scatto e se la ritrovò davanti, appoggiata al proprio bastone, lo sguardo scuro fisso su di lui.

Dietro la donna c’era quell’essere che aveva visto con lei anche al mattino: ringhiava sommessamente, tenendogli gli occhi addosso, piegato sulle gambe come se fosse stato pronto a sferrare un attacco.

“Cercavi me, eccomi” aggiunse lei, con un sorriso sdentato

Lawrence si guardò intorno, alla ricerca di qualche porta che gli fosse sfuggita: nulla. Quando il suo sguardo tornò sulla vecchietta, qualcosa di quanto aveva incontrato il vagare sei suoi occhi gli fece raggelare il sangue nelle vene: non riusciva più a vedere il passaggio che aveva utilizzato per arrivare fin lì, celato da una strana nebbia azzurrognola.

“Sto sognando.” mormorò, serrando la mano attorno al fazzoletto che aveva usato per fermare l’emorragia del polpastrello. Non credeva nelle cose che non potevano esser spiegate razionalmente, lui. Era un uomo semplice, pragmatico, con i piedi per terra.

“Può darsi. Ma stai cercando delle risposte e io posso dartele. Guarda qui”

Moma gli indicò con la punta del bastone una piccola pozza d’acqua che si trovava ai loro piedi.

“É una pozzanghera. Cosa…?”

La donna scosse piano il capo

“É lo specchio dei ricordi. Taci e guarda, se vuoi sapere la verità”

Moma iniziò a far roteare lentamente la punta del bastone, sospesa a pochi centimetri sopra l’acqua la quale pian piano prese a vorticare come se lei la stesse mescolando. Lawrence trovava tutto ciò assurdo, eppure non riusciva a muoversi di un passo, non poteva distogliere lo sguardo da quanto stava accadendo sotto ai suoi occhi.

Vide l’acqua assumere un colore rossastro, mentre vorticava sempre più rapidamente.

La donna gli parlava, ma lui non riusciva ad afferrare il senso di quanto sentiva: era rapito da quella strana visione.

All’improvviso al centro della spirale che si era formata nel liquido color sangue, comparve il volto di Virginia.

Lawrence urlò. 

Requiem per una sposaWhere stories live. Discover now