52. pacco regalo

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Alessia si dondolò sui piedi, sorridendo mentre il biondo si stava dirigendo verso di lei.
Quella sera, il clima a Roma aveva deciso di essere mite, quasi tiepido. Un sole incredibile aveva scaldato tutta la città durante la giornata, scaldando l'aria gelata, e risvegliando parte del buon umore della ragazza, che era arrivata nelle prime ore del pomeriggio. Federico l'aveva avvisata che la sera successiva i suoi compagni sarebbero andati in un locale e tutti avrebbero avuto voglia di conoscerla, così lei aveva passato almeno un paio di ore a cercare qualcosa di adatto. Quando l'aveva trovato, era filata in albergo, si era fatta una doccia e poi si era infilata qualcosa di comodo per andare allo stadio.
Era qualche settimana che non lo vedeva, e forse proprio per quel motivo sentiva il cuore esploderle nel petto mentre lui si avvicinava.
Aveva addosso i vestiti della nazionale: la tuta azzurra e il giaccone scuro, le scarpe da ginnastica invece erano bianche. Il biondo la guardò da lontano, allungando il passo. Non vedeva l'ora di abbracciarla. Aveva i capelli stretti in due trecce attaccate alla nuca, che poi le scendevano sinuose lungo la schiena, le gambe avvolte in un paio di jeans neri e la parte superiore del corpo nascosta da un giaccone grigio che annullava tutte le sue forme. Le si fermò davanti, gettando il borsone blu scuro per terra e guardandola dall'alto. Aveva uno sguardo furbo, abbinato alla sua solita espressione arrogante, e le mani nascoste nelle tasche della giacca. Si inumidì le labbra guardandolo per un attimo, poi gli si gettò addosso, cingendogli il collo con le braccia e lasciandosi sollevare da lui, che la strinse il più possibile a sé «Ciao 'more» mormorò la ragazza, stampandogli un bacio sul collo, per poi allontanare la testa dalla sua e farsi posare di nuovo a terra. Il cuore di lui perse un battito nel sentire quella parola. La usava poco, e quando lo faceva elideva sempre la a iniziale, quasi come se fosse troppo pigra per pronunciarla, ma restava il fatto che nessuno l'aveva mai chiamato in quel modo e gli faceva ancora strano sentire quelle poche lettere uscire dalle sue labbra.
Lei abbassò lo sguardo verso le sue cosce. Quella sera era partito titolare, ma era stato sostituito a poco meno della metà del secondo tempo per un fastidio muscolare «La gamba?» gli domandò quindi, alzando un sopracciglio. Il biondo scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. Dopo un primo tempo mediocre, nel secondo tempo si era sentito proprio fuori forma. Non aveva capito perché, ma a un certo punto un malessere generale l'aveva invaso e si era manifestato soprattutto nelle sue gambe, colpendo direttamente il suo quadricipite destro e obbligandolo a chiedere il cambio, non che poi il mister avesse fatto tante storie. Sospirò, formando un broncio adorabile con le labbra.

«Bene, solo uno spavento, Stephan se la vedendo peggio» diede una carezza leggera al volto della castana, per poi portare la sua testa vicino alla propria e lasciarle un bacio sulle labbra. Alessia sorrise e infilò le dita tra i suoi capelli, mantenendolo vicino a sé mentre lo guardava negli occhi. Il suo amico aveva preso un brutto colpo alla testa mentre stava cercando di mandare la palla in rete e, dopo esserci riuscito, si era accasciato nella rete stessa, tenendosi il viso. Nonostante la confusione che si era creata, nessuno sugli spalti aveva capito che cosa fosse successo.

«Ahia, male la faccia?» gli domandò, facendo una smorfia al solo pensiero. Si era sentita con il castano in quei mesi, sempre come amici e senza nessun tipo di malizia, e l'affetto nei suoi confronti cresceva sempre di più. Stephan era una persona buona, genuina, e lei era quasi arrivata a sentirsi in colpa di averlo trattato brutalmente come un ripiego qualche mese prima visto che le cose tra lei e Federico stavano andando male. Non sapeva come si ponesse il biondo rispetto a quell'amicizia che stava giusto nascendo, ma era consapevole che non avesse nulla di cui preoccuparsi, perché il su cuore e la sua testa erano tutti per lui.
Il ragazzo posò le mani sui suoi fianchi, poco convinto, e poi infilò alcune delle sue dita sotto il giaccone, accarezzando il suo maglione pesante, e poi la sua pelle liscia.

«Dovresti vederlo, ha tutto l'occhio gonfio» rispose lui, portandosi la mano al viso e indicando il proprio occhio, lasciando la pelle fredda di lei per qualche attimo e poi recuperando il suo posto. Non sarebbero stati insieme quella sera, lui sarebbe tornato all'albergo con i propri compagni e lei sarebbe andata da tutt'altra parte. Federico, però, l'aveva convinta ad andare lì, anche solo per passare qualche minuto insieme prima che lui dovesse di nuovo andare via. In realtà, c'erano un sacco di persone lì. Mamme, bambini, amici forse, tutti che aspettavano di salutare i giocatori che, lentamente, stavano uscendo dagli spogliatoi. Loro se ne stavano lì, in disparte in un angolino, a parlare sottovoce per tagliare tutto il mondo fuori da quella loro conversazione. E, mentre i figli correvano in braccio ai loro padri e le mogli li guardavano sorridendo, Alessia pensò che magari un giorno sarebbero potuti diventare anche loro così. Fu un attimo, ma quell'immagine le rimase bene impressa negli occhi, e la trasportò da tutt'altra parte, alienandola da quella stessa situazione.

complici, federico bernardeschiWhere stories live. Discover now