46. così così

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«Perché mi guardi così?» Alessia posò la penna tra le pagine del quaderno degli appunti. Aveva i capelli raccolti in modo disordinato e veloce in una crocchia fatta qualche ora prima e ormai qualche ciocca era scappata, ricadendole sulle spalle e sugli occhi, obbligandola a doverli soffiare via ogni minuto. Davanti a lei, Thomas, sistemato nella sua culla, la guardava curioso. I suoi occhi- che per fortuna aveva preso dal papà e quindi erano di un color ambra molto intenso- la scrutavano come se volesse studiarla a fondo, e non gli interessasse altro. Aveva addirittura perso l'iniziale interessamento che aveva avuto per il suo ciuccio verde e che di solito era l'unica cosa che lo teneva buono e tranquillo quando la sua mamma non c'era.
Anna era partita presto quella mattina, doveva andare in università per firmare alcune carte per confermare il fatto di volersi ritirare; nemmeno le tante argomentazioni forti che le avevano messo davanti e le occhiate contrariate che le avevano rivolto i suoi coinquilini l'avevano convinta, perché ormai viveva solo e unicamente per suo figlio. Aveva in progetto di lavorare in un ristorante come cameriera, e aveva fatto i conti, arrivando alla conclusione che i soldi dello stipendio le sarebbero bastati.
Nicola, invece, si era praticamente relegato nella biblioteca dell'università per studiare. Mancavano due settimane al suo esame di laurea e, chiaramente, era più nervoso del solito.

In tutto quel putiferio, la castana era l'unica a casa, e quindi l'unica che si poteva veramente occupare del bambino nonostante, ancora prima che nascesse, lei aveva detto che si sarebbe presa cura di lui solo il minimo, non per cattiveria ma perché non era un compito suo, perché avevano voluto la bicicletta e avrebbero dovuto pedalare da soli. Alla fine, però, si ritrovava sempre così: Anna era a lavorare, Nicola a studiare o a parlare con il proprio referente di tesi, e lei a casa, con Thomas. Le stava simpatico, quel bambino. Sorrideva spesso, piangeva poco- solo quando aveva fame oppure doveva essere cambiato- e, per il resto del tempo, se ne stava tranquillo, a guardarla studiare con i suoi occhi curiosi.

Alessia allungò un indice verso il viso del bimbo, che prontamente lo afferrò con le ditina e lo strinse, sorridendo con la sua boccuccia sdentata e portando una ventata di freschezza a quella giornata che stava diventando opprimente. In quel mese, gli erano cresciuti i capelli. Erano scuri, neri quasi come quelli della madre. Sapeva che sarebbe venuto fuori un bel bambino, magari con l'energia frizzante del biondo e la delicatezza attenta e mai banale della castana.
Il cellulare le suonò sul tavolo, attirando l'attenzione di entrambi. Sullo schermo dallo sfondo scuro- la foto che lei e Federico avevano fatto nella vasca a Trieste- risaltava una notifica proprio dell'ultimo.

Federico:
Oggi così così, tu invece?

Lesse velocemente quelle poche parole e si mordicchiò l'interno guancia. Ormai era sempre "così così" per Federico, solitamente tendente al male ma senza mai il coraggio di ammetterlo.
Il libro l'aveva chiuso, e non aveva in programma di riaprirlo per i seguenti dieci minuti. Thomas, per quanto fosse carino, non era molto di compagnia, considerato anche che non aveva ancora imparato a parlare, chiaramente. In più, il biondo aveva bisogno di lei, lo sapeva, quindi prese il telefono e avviò una videochiamata, per poi appoggiarlo ai libri davanti a lei, osservando il proprio riflesso mentre aspettava che lui rispondesse. Sperava che lo facesse in realtà. Sarebbe dovuto essere a casa almeno da una mezz'oretta, era quasi l'una, però di solito non aveva quasi mai il telefono sotto mano.

«Ciao biondino!» esclamò, quando vide il suo viso stanco finalmente comparire sullo schermo. Federico distese le guance in un sorriso sofferente e si passò una mano tra i capelli, guardandola e godendosi tutta la serenità che gli trasmettevano quegli occhi azzurri, anche a centinaia di chilometri di distanza.

«Ciao tu, come va?» replicò lui. Era seduto sul divano, probabilmente stava guardando un telegiornale o qualche puntata di una serie tv, e aveva appoggiato il cellulare sul tavolino davanti a sé, spostando velocemente gli occhi tra i due schermi. Sotto le sue ciglia bionde campavano delle occhiaie scure che macchiavano fastidiosamente la sua pelle bianca, il suo viso pulito e liscio. Lei l'aveva visto sereno e tranquillo durante l'estate, l'aveva visto scherzare con i propri amici ed essere accomodante con i suoi, cercando di stargli simpatico, e sapeva che sembrava totalmente un'altra persona. Quando l'aveva conosciuto- conosciuto veramente, non come lo conosceva al liceo- era leggero, leggiadro quasi, maturo ma non sempre, solo nei momenti giusti, e divertente anche quando lei era veramente troppo cattiva da essere sopportata. In quel momento, le sembrava un vecchio, un altro Federico, uno che aveva perso completamente il brio e non riusciva a vedere come la felicità stesse nelle piccole cose, come aveva sempre fatto.

complici, federico bernardeschiWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu