36. correrti dietro

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Quella mattina, nonostante le poche ore di sonno, Federico si era svegliato presto e si era recato al campo di allenamento. Poche settimane prima la squadra aveva dovuto subire uno smacco tremendo, la sconfitta contro la Lazio, e il morale di tutti era a terra. Ognuno aveva un modo personale di affrontare quella sconfitta, e il suo era quello di correre a testa bassa, lavorare in silenzio, allenarsi da solo e concentrarsi solo su sé stesso, la propria preparazione fisica, il proprio modo di giocare. In più, quella notte era stata tremenda. Non aveva avuto il coraggio di entrare nella propria camera perché sapeva che avrebbe solo infastidito la ragazza che ci stava dormendo. Se la immaginava distesa, accoccolata in posizione fetale come quella famosa notte a Firenze, le gambe strette al petto e gli occhi azzurri serrati. In realtà, però, sperava che fossero aperti, a guardare davanti a sé, senza riuscire a dormire nonostante fosse stanchissima, tormentata dalla sua testa che continuava a correre, come era successo a lui.
Aveva dormito sul divano, le dita infilate tra il pelo corto di Wendy e una coperta troppo leggera a proteggerlo dal freddo pungente di quella Torino. Si era svegliato tutto indolenzito, con la schiena che gli faceva male e un piede addormentato, ma non aveva osato dire nulla. Allora, aveva acceso la macchinetta del caffè e, cercando di mantenere un passo felpato, si era intrufolato nella propria camera e nella cabina armadio, recuperando dei vestiti per cambiarsi e il borsone per andare ad allenamento. Uscendo dalla cabina armadio, si era soffermato per un attimo con lo sguardo su quel fagottino sistemato sul lato sinistro del suo letto, i suoi capelli castani sparsi sul cuscino e le sue mani sistemate sotto il viso. Non era convinto che stesse dormendo, e infatti era così. Appena Alessia aveva sentito la porta della camera aprirsi, aveva chiuso gli occhi e aveva sperato che non si sarebbe avvicinato, cercando di percepire ogni minimo movimento, sentendo i suoi passi leggeri allontanarsi, riavvicinarsi, e poi fermarsi. Non sapeva se aprire gli occhi o lasciarli chiusi, sperare che se ne andasse o auto convincersi che l'avesse già fatto. Il biondo la osservò da lontano, notando i suoi tratti delicati irrigidirsi per un attimo e poi distendersi di nuovo, segno che era consapevole di cosa stesse succedendo intorno a sé, così decise di rischiarla e si avvicinò al suo lato del letto, prendendo posto sulle coperte e guardandola da vicino. Le ciglia lunghe e scure della ragazza sfarfallarono per un attimo, per poi fermarsi. Era sveglia, e per giunta sarebbe stata una terribile attrice, visto che nemmeno sapeva fare finta di dormire.

«Scusa, mi dispiace veramente» allungò una mano verso il suo viso pulito, posandoci sopra due dita e accarezzandolo lentamente e godendosi ogni attimo in cui le loro pelli erano a contatto e vedendo la pelle d'oca formarsi sul suo braccio nudo e scoperto. Gli occhi di lei si schiusero leggermente e i loro sguardi si incrociarono. Avevano entrambi gli occhi che pizzicavano, la testa che pulsava e le occhiaie profonde.

«Vai ad allenamento?» mormorò lei, mettendosi distesa con la pancia in su e guardandolo attentamente. Si sentiva male per come l'aveva trattato, ma d'altro canto sapeva di non essere dalla parte del torto, o almeno non totalmente. Inoltre, si sentiva anche in colpa per averlo costretto sul divano mentre lei si era sistemata senza nemmeno chiedere sul suo comodissimo letto, nonostante non fosse riuscita a chiudere occhio per più di mezz'ora, e solo un paio di volte. In quella casa c'erano delle stanze per gli ospiti ma nessuna di quelle era sistemata in modo che qualcuno ci potesse dormire, visto che bisognava come minimo fare il letto.

«Sì, torno stasera. Tu che fai?» Federico posò una mano a lato del fianco di lei, poggiandoci un po' del proprio peso e assumendo un'espressione un po' più rilassata di quella precedente. La ragazza scrollò le spalle nonostante sapesse perfettamente come avrebbe passato quella giornata: si sarebbe trascinata dal letto al divano o alla cucina, avrebbe cercato di studiare ma sarebbe finita per non essere mai tropo concentrata a causa della discussione che avevano avuto la sera prima e quindi il suo morale sarebbe peggiorato ogni volta, il che era un male visto e considerato che era già ampiamente sotto terra «Va bene, a stasera allora» la salutò il ragazzo quando non sentì nessuna risposta. Si alzò dal letto e uscì dalla stanza in silenzio, completamente avvolto da quell'atmosfera fredda che era caduta su di loro la notte prima, dopo le sue parole.

complici, federico bernardeschiWhere stories live. Discover now