75. Solletico

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Federico chiuse gli occhi mentre si appoggiava di schiena a una delle portiere della propria macchina, la valigia davanti a sé ma senza dimostrare una chiara forza di metterla nel bagagliaio. Avevano appena salutato la sua famiglia, all'interno dell'aeroporto, e in quel momento erano nel parcheggio «Sono stanco morto, mi sembra di aver fatto festa una settimana, in realtà abbiamo solo vissuto con la mia famiglia per qualche giorno» affermò, mentre Alessia frugava nella sua borsa per trovare le chiavi della macchina. Quando erano partiti lui l'aveva presa in giro perché si era portata una "borsa da mamma", una di quelle estremamente spaziose in cui ci sarebbe potuto stare di tutto. Subito dopo, però, le aveva chiesto se avesse potuto tenere lei le chiavi della sua macchina perché sicuramente le avrebbe perse in una delle mille tasche delle sue giacche, o ancora peggio, le avrebbe lasciate in Sardegna.

«È probabilmente solo tutta la stanchezza che ti viene su ora, anche perché quando passi il tempo con Mami e Olivia c'è sempre bisogno di essere attivi per farle divertire e tenerle sotto controllo» alzò una gamba, con il ginocchio piegato, e lasciò la borsa appoggiata sulla gamba, continuando a muovere le cose dentro quello spazio che sembrava enorme. Il biondo si offrì silenziosamente di aiutarla, porgendole le mani aperte con il palmo verso l'alto, gli occhi ancora chiusi e la testa piegata verso il basso, totalmente abbandonato alla propria stanchezza ma cercando di velocizzare quel processo.

«Hai ragione, hanno sempre così tanta energia quelle due» asserì lui, sbadigliando ma cercando di nascondere la bocca spalancata nella propria spalla, mentre lei gli dava prima quello che sembrava il suo portafoglio, poi una penna, un paio di assorbenti, un mazzo di chiavi e forse pure una maglietta. Quando la sentì esultare sottovoce, sospirò silenziosamente, mentre lei rimetteva tutto al proprio posto. Aprì la macchina, per poi incastrare entrambe le valigie nel bagagliaio. Federico sembrava già addormentato, totalmente privo di qualsiasi tipo di energia, pronto per gettarsi a letto e alzarsi solo almeno dodici ore dopo. Si fermò davanti a lui, infilando le dita delle mani tra le sue e avvicinandosi al suo viso, lasciandogli un bacio leggero sulla guancia, leggermente ricoperta da uno strato di barba.

«Guido io?» chiese, già aprendo la portiera dalla parte del guidatore, aspettando solo una sua risposta affermativa per sedersi e cominciare a guidare.

«Ti scoccia?» le chiese il biondo, passandosi una mano sul viso per cercare di darsi una svegliata e mettendosi in piedi. Allungò le braccia davanti a sé, stiracchiandosi debolmente, pensando che sicuramente l'ultima cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era guidare, soprattutto con Alessia come passeggero, perché doveva essere attento come se stesse facendo continuamente il proprio esame di guida, e non era abbastanza lucido per farlo.

«No, non era una domanda» replicò lei, un sorriso furbo mentre si appoggiava all'interno della portiera aperta, guardandolo dal basso. Lui fece un passo verso di lei, posandole una mano sulla vita prima di darle un bacio sulla fronte.

«Grazie 'more» mormorò, senza nemmeno rendersi conto di quello che stava dicendo perché troppo stanco, parlando sostanzialmente per abitudine. Alessia sorrise debolmente, presa in contropiede da quella semplice parola che prima usavano sempre. Lo spinse scherzosamente via e si sedette al posto del guidatore. Prese un respiro profondo, mentre lui ancora non era entrato in macchina, cercando di calmare il proprio cuore che aveva cominciato a correre senza alcun apparente motivo. Non era un attacco di panico, lo riconosceva, ma era quella voglia indescrivibile di sorridere e farsi coccolare fino ad addormentarsi. Infilò le chiavi nel quadro, sistemò il sedile in avanti e lo specchietto in modo da vedere propriamente. Il biondo si sistemò accanto a lei, appoggiando il retro della nuca al sedile e chiudendo gli occhi, rilassandosi finalmente.
Alessia lo guardò per un attimo, sinceramente intenerita da quella scena. Nonostante fosse un uomo fatto e finito, con la mascella definita e arrogante e i tatuaggi scuri che lo facevano sembrare quasi aggressivo, tormentato, l'espressione da bambino che assumeva mentre dormiva lo faceva sembrare un angioletto. Con le labbra schiuse, le sopracciglia leggermente aggrottate e la fronte liscia, sembrava essere un magnete per lei, che lo avrebbe anche semplicemente guardato fino ad addormentarsi, visto quanto era bello, visto quanto la faceva sentire bene, visto che nessuno la faceva sentire come la faceva sentire lui.
Girò la chiave, posando la mano sul cambio.

complici, federico bernardeschiWo Geschichten leben. Entdecke jetzt