24. Confessioni e richieste

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Alessia allungò un po' le maniche della felpa nera che aveva addosso, guardando davanti a sé la strada deserta. Avrebbe voluto scomparire, scivolare sopra il proprio sedile e uscire dalla macchina senza farsi notare, per poi cadere come l'acqua in un tombino, senza che nessuno se ne accorgesse. Non sapeva perché era lì, perché aveva accettato di vederlo nonostante fosse notte fonda e la sua stanchezza fosse evidente visto che aveva guidato da Firenze a Roma andata e ritorno e aveva dovuto sopportare il peso causato dalle emozioni che si erano succedute durante quella dannata partita.

Vide il suo viso sporgersi dal limite del cancello e guardare a destra e a sinistra per controllare se ci fosse qualcuno. Sarebbe potuta rimanere in macchina, lui non l'avrebbe mai saputo e le cose tra di loro non si sarebbero sistemate, ma, con uno scatto di altruismo di cui non capì la provenienza, decise che erano le tre di mattina per entrambi e che lo sforzo non era solo lei a farlo.

Federico era in piedi un passo dietro al cancello che delimitava il centro sportivo di Coverciano. Nessuno di loro sarebbe potuto andare in libera uscita quella sera perché erano tornati a Firenze che era già notte fonda e c'era un'altra partita da preparare quindi era importante anche riposarsi, e lui era deciso a parlare con lei, pur senza infrangere le regole e provocarsi chissà quale penalizzazione o strigliata dal mister o da qualsiasi membro dello staff. Per quello, aveva deciso di fermarsi a parlare un attimo con il custode notturno per chiedergli di chiudere un occhio mentre sgusciava dal cancello per raggiungerla in macchina. Sicuramente la mattina dopo qualcuno si sarebbe accorto del fatto che lui aveva dormito poco, era il peggiore nel nasconderlo, ma in quel momento quello era l'ultimo dei suoi pensieri. Vide una portiera aprirsi e poi riconobbe la sua figura scendere dalla macchina.
Il suo primo istinto fu di sorridere. Aveva addosso un dei pantaloni della tuta e una felpa, entrambi neri, e un paio di scarpe da ginnastica bianche. I pantaloni erano suoi, nonostante le stessero larghi aveva fatto in modo che si adattassero al suo fisico, ma la felpa sembrava rubata dall'armadio del fratello, o da quello del coinquilino. I suoi capelli erano legati in una coda alta, di quelle che ondeggiavano a ogni suo movimento anche minimo, e il viso era pulito da ogni trucco o crema, con un semplice burro cacao che faceva in parte riflettere le luci soffuse dei lampioni sulle labbra piene. Si avvicinò alla macchina e si fermò davanti a lei.

«Sei venuta» la salutò lui, mantenendo quel sorriso spontaneo. Alessia lo guardò dal basso. Lui era vestito in modo molto simile al suo, ma sembrava essere addirittura più bella del solito. Sarà il tempo che abbiamo passato lontani, si disse, o il fatto che ho un sonno tremendo.

«Pensavi che ti avrei lasciato solo al freddo?» rispose lei, nonostante probabilmente entrambi sapessero che la risposta sarebbe potuta tranquillamente essere sì. Sì perché si era comportato da stronzo e lei sapeva di meritarsi un trattamento decisamente migliore, sì perché magari aveva altro da fare alle tre di mattina e sì perché non sarebbe stato da tutti arrivare fino a lì a quell'ora della notte per parlare senza sapere bene di cosa.

«Io non potrei uscire e tu non puoi entrare, ti va se ci sediamo qui a parlare?» aveva già controllato bene dove stavano le telecamere e aveva capito che l'unico modo per eluderle era rifugiarsi in macchina.

«Certo» lei asserì a quella richiesta, pensando a quanto fosse strana, e fece un passo indietro, rientrando in macchina e sedendosi al posto del guidatore mentre lui fece lo stesso ma dall'altra parte. Lei si sistemò a gambe incrociate e girò la testa, guardandolo direttamente in viso. Stava pensando a quanto fosse strano, a come non avesse mai fatto una cosa del genere con nessuno. Di solito, tutti la apprezzavano quando si metteva i tacchi e aveva passato ore allo specchio a sistemarsi per evitare di sembrare fuori luogo nei ristoranti, ma lui si comportava allo stesso modo anche quando era semplicemente in tuta, erano seduti in macchina a notte fonda e, auspicabilmente, nessuno li stava guardando.
Restarono in silenzio per qualche minuto. Lei guardava rapita le stelle, nonostante a causa dell'inquinamento visivo fossero poco distinguibili contro il cielo notturno e lui osservava i suoi tratti tanto particolari, morbidi e spigolosi allo stesso tempo.

complici, federico bernardeschiWhere stories live. Discover now