Capitolo 15

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Autumn's pov

Scopro dopo poco tempo dove mi vuole portare Nathan: ad un luna park. Non mi aspettavo che ci fosse così tanta gente a quasi mezzanotte, invece tutte le giostre sono ancora aperte e ci sono così tante persone che per un attimo ho paura di perdere di vista Nate. Con questa scusa, ci riprendiamo la mano, come se non lo avessimo già fatto qualche minuto fa senza un motivo. Per spezzare il silenzio gli chiedo come ha trovato questo posto, magnifico, per di più. L'entrata è costeggiata di luci colorate, un carretto dello zucchero filato e alcuni stand dove si spara per finta o si pescano papere per vincere dei peluche. Più avanti ci sono gli autoscontri, un trenino per i bambini e una casa stregata. C'è persino una montagna russa, ma per mia grande fortuna è l'unico gioco che ha chiuso alle undici. Mentre mi guardo intorno Nate mi spiega che ci veniva spesso l'anno scorso con Luis e i loro vecchi compagni di college, che adesso hanno cambiato tutti. Sembra dispiaciuto mentre lo dice, così gli stringo la mano. Non ho mai avuto amici veri, e quindi non so com'è averli a distanza, ma il solo pensiero di lui o Morgan lontani da me mi fa stringere il petto in una morsa. Spero di non dover mai affrontare questo problema.

Nathan mi distrae dai miei pensieri. «Hai mangiato? Perché io ho una gran voglia di zucchero filato.» Si passa la lingua sul labbro inferiore, forse per dare più enfasi alla sua affermazione, e ignoro la vocina della mia testa che trova questo gesto particolarmente attraente. Ignoro anche la parte di me che vorrebbe dirgli che non ho idea se mi piace lo zucchero filato, perché non l'ho mai mangiato. Mio padre non è proprio il tipo che porta una figlia al luna park.

«No, non ho mangiato.» Teoricamente dovevo alla festa, ma per ovvi motivi non ho potuto. Mi sento anche in colpa che Nate non sia con i suoi amici a divertirsi, ma una parte di me è anche felice. Ha scelto me, in un certo senso. E nessuno mi ha mai messa per prima come fa lui.
Il viso di Nathan si illumina, sembra un bambino piccolo che ha visto una montagna di regali per lui a Natale. Mi viene da ridere mentre lo guardo trascinarmi verso il negozio di zucchero filato più vicino. Forse è questo quello di cui avevo bisogno: qualcosa di nuovo.
Osservo Nathan prendere due porzioni di zucchero filato e quando sto per cacciare il portafogli mi ferma, sorridendo. «Faccio io, Summer. Oggi mi sento un gentiluomo.» E mi scappa una risata.

Non mi lascia mai la mano, neanche quando iniziamo a passeggiare per il luna park e contemporaneamente mangiare lo zucchero filato. Scopro che mi piace, lo zucchero filato. È appiccicoso, ma vale la pena per il sapore dolce che rilascia una volta sulla lingua. «Stai un po' meglio?» Domanda Nate dopo qualche minuto. Si riferisce a quando stavo piangendo, probabilmente. Mi chiedo se stia facendo tutto questo per pietà, ma mi riprendo subito. È di Nathan che stiamo parlando. Lui non ha pietà di me. O forse sì? Perché mi è vicino da quando sa di Thomas e del livido? Qualunque sia il motivo mi va bene. Non mi importa che cosa pensa o prova. Mi importa di cosa penso o provo io per lui. Ed è tutto quello di cui ho bisogno.

Mi schiarisco la mano. «Sí, sto molto meglio.» Poi decido di parlargli di lei. Non lo faccio con nessuno, neanche con Thomas. Ma come potrei con lui? Probabilmente mi riderebbe in faccia. «Stavo così per mia madre, sai? Ci sono momenti in cui mi manca più del solito e altri in cui credo che posso superare la sua assenza. Però poi tornano i ricordi e rincomincia da capo il dolore.»

«Lei è...?» Inizia a chiedere Nate, avendo paura di completare la frase. Annuisco. «Morta, sì.» Ignoro il gruppo che ho in gola. «E anche per colpa mia.» Il dolore che porta la sua perdita non è l'unica cosa a farmi male. È anche il senso di colpa. Quando torno a casa e mi rendo conto che non c'è lei ad aspettarmi con un sorriso, quando vedo le sue foto, quando chiudo gli occhi e sento il suo profumo in mezzo alla strada; in quei momenti il senso di colpa mi consuma come nient'altro al mondo. Se non avessi fatto la bambina, forse lei sarebbe qui. In circostanze diverse, avrei potuto presentarle Nathan. Avrei potuto parlarle, confidarle i miei sentimenti per lui. Forse non avrei neanche il problema di Thomas.

«Non dire così, Autumn.» Nate ha un tono severo e mi stringe più la mano. È in contrasto con la sua figura perfetta che mangia zucchero filato. Mi sta sgridando, rimproverando perché mi sto incolpando di qualcosa che secondo lui io non ho fatto, eppure visto da fuori sembra che noi siamo una bella coppia che mangia dolci e chiacchiera normalmente. «Non ho idea di cosa sia successo, ma non puoi darti la colpa. La morte arriva e basta e tu non ci puoi fare niente.»

«Stavo guidando io.» Ringhio, non a lui, ma al dolore. Ignoro le lacrime che vogliono di nuovo uscire. Ma io non sfogo quasi mai il dolore, lo sopprimo fino a farlo andare via. È come la rabbia, con l'unica differenza che non scoppierò. «Eravamo in macchina e stavo guidando io, Nathan. Se non è mia la colpa, non so di chi è.» Avevo appena finito di litigare con mio padre, lei voleva rimanere e chiarire in modo che non scoppiasse la terza guerra mondiale in casa, mentre io volevo solo andarmene. Così ho preso le chiavi e le avevo chiesto di venire. Mia madre era la mia migliore amica, il mio pilone. Se potevo sbollire la rabbia in qualche modo, era con lei.

Nathan scuote la testa e butta in un cestino il bastoncino dello zucchero filato che oramai ha finito. Poi si ferma, facendo fermare anche me, e mi passa dolcemente la mano libera tra i capelli. «Gli incidenti capitano, Summer. È orribile, ma è così. Tu non hai colpe, non ne ha nessuno.» Mio padre mi ha accusato per settimane della sua morte, prima di trasferirci qui in Canada. Diceva che se non ci fossi stata, o se non avessi avuto l'idea di portarmela con me, l'amore della sua vita sarebbe stata ancora con lui. Come se lui avesse mai provato amore per qualcuno, poi. Però per il resto gli dò ragione.

«Alcune volte vorrei solo che non fosse stata in macchina con me, Nate. Vorrei solo dirle che mi dispiace tanto per averla uccisa.» Mi scappa un singhiozzo, così lui mi stringe a sé e mi bacia la fronte. Tengo lontano lo zucchero filato che non ho ancora finito e chiudo gli occhi, beandomi della sensazione delle sue braccia intorno a me. In più, ignoro i bambini che mi guardano straniti.

«Va tutto bene.» Mi sussurra ad un orecchio, cercando di rassicurarmi. Odio questa frase, perché non va bene niente, ma lui non ha colpe. Sta solo cercando di consolarmi e apprezzo il suo gesto. «Non piangere, ci sono io okay? E tua madre sa che le vuoi bene. Va tutto bene, Summer.» Ci sono io, ecco una frase che mi piace molto di più. Se solo lui sapesse che mi sto follemente innamorando di lui, allora scapperebbe a gambe levate.

Improvvisamente sorrido e mi separo leggermente da lui, guardandolo degli occhi. «Facciamo qualche giostra, così magari non ci deprimiamo?» Nate ridacchia, poi fa segno di sì con la testa. Propone gli autoscontri e io sono ben felice di accettare. Ironia della sorte, ho appena finito di parlare di un incidente e vado a fare un gioco che consiste praticamente in questo. Ma è proprio ciò di cui ho bisogno al momento. Cercare di essere normale, superare il dolore.

La fila non mi è mai sembrata così lunga. Però parlo con Nathan, ridiamo e mi sento felice. Finisco anche a malincuore il mio zucchero filato, con l'aiuto di Nate dato che ne prende un po'. Alzo gli occhi al cielo quando un gruppo di ragazze iniziano a guardarlo e a ridacchiare in modo troppo esplicito, ma lui fa spallucce e mi riprende la mano. Allora le ragazze smettono e io torno a sorridere. Thomas probabilmente se le sarebbe portate tutte a casa. È questa la differenza tra Nathan e Thomas: il primo è una brava persona, che fa di tutto per le persone a cui tiene. Thomas è un gran bastardo.

Quando finalmente tocca a noi salire sugli autoscontri, non sono più nella pelle. Io e Nathan decidiamo di prendere due macchinine separate per vedere chi riesce a colpirne di più, solo per sfidarci. Salgo sulla prima che vedo, di un solo posto, di colore giallo. Nathan su quella dietro la mia, che è verde. «Preparati a perdere, Summer!» Mi dice ridendo quando ci danno il via per partire.
Accelero e tampono subito una macchinina a due posti, dove ci sono un padre con una ragazzina che avrà al massimo dodici anni. Mi guardano ridendo, così sorrido e giro, pronta a scontrarmi con qualcun altro. I cinque minuti degli autoscontri sono i più divertenti della mia vita. Rido così tanto che mi fa male la pancia e ho le lacrime agli occhi, così quando la macchina si ferma e Nathan si scontra con la mia, penso che non c'è nulla di male se mi innamoro di lui. Così, mentre lui mi chiede se mi sono divertita e mi guarda in quel modo dolce che mi sa far battere il cuore, allungo la mano quando basta per accarezzargli una guancia. E, ancora con il sorriso sulle labbra, lo bacio.

~Angolo autrice~
Spero che vi sia piaciuto il capitolo, vi voglio bene. ❤️

Off limitsWhere stories live. Discover now