Capitolo 6

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Autumn's pov

Ha visto il livido. Ha visto il livido che mi ha lasciato Thomas, continua a ripetersi nella mia mente come un mantra. Ieri mi sono ribellata di uscire con lui ed i suoi amici, così Thom ha deciso bene di trascinarmi con la forza. Il risultato? Ho la sua mano tatuata di viola sul polso. Il problema? Nathan l'ha visto, ed ho l'impressione che non si fermerà finché non gli dirò chi è stato. O gli assicuro che sto bene sul serio. «Autumn.» Mio padre apre la porta del suo appartamento due secondi dopo che ho bussato. Nonostante sia venerdì pomeriggio, è impeccabile come sempre. Camicia senza neanche una piega, cravatta stretta, sguardo glaciale. Mio padre sembra più un dittatore che un direttore. «Ce ne hai messo di tempo.»

«Ho...» Cerco una scusa plausibile, che non sia dire la verità: ho perso cinque minuti abbondanti per parlare con Nathan. Se lo dicessi a mio padre, avrei condannato il povero ragazzo. «...avuto un imprevisto. Un imprevisto da donna.» Aggiungo, poi, sperando che ci creda. Mi ha chiamato dieci minuti fa chiedendomi di venire a casa sua di urgenza, ma il mio appartamento dista meno di cinque minuti a piedi dal suo. Sa benissimo che c'è qualcosa che non va, ma decide di ignorare il problema. Sbuffa; come se avessi detto l'eresia dell'anno, e mi fa entrare nella sua casa. Ci sono stata una sola volta, ma sono felice di non vivere più con lui e di avere un posto solo per me. Niente mio padre, niente persone che ficcano il naso nella mia vita, niente Thomas.

«Fai come se fosse casa tua, Autumn.» Guardo il divano bianco latte a qualche metro da me, la libreria piena di libri da intellettuale che sono sicura mio padre non abbia mai letto; la tv spenta e grande difronte a me sembra nuova di zecca e il pavimento non ha neanche un granello di polvere. Alla fine decido di starmene in piedi, perché non voglio sedermi e avere la sensazione di rimanere con mio padre più tempo del dovuto. Non so perché mi ha chiamato, ma spero che faccia in fretta. Voglio ritornare nel mio appartamento, aprirmi una bottiglia di birra e guardare il vuoto dal balcone. Thomas finalmente è uscito con dei suoi compagni di corso e voglio sfruttare questo tempo per me stessa.

«Grazie.» Gli dico, rimanendo dove sono. Mio padre mi lancia un'occhiata, ma non mi dice niente. Prende un bicchiere d'acqua e me lo porge. Non faccio storie e bevo tutto d'un sorso, ovviamente sempre sotto lo sguardo attento di mio padre. Non capisco perché deve sempre osservare ogni minimo particolare delle persone: io non riesco a farlo, dopo qualche istante mi distraggo. Le persone non sono poi così tanto interessanti.
O almeno per me.

«Dovremmo parlare di fatti molto importanti, ragazza.» Il suo sguardo va sul livido presente sul mio polso. Sorride ed io mi chiedo come può un padre sorridere ad un fatto del genere. «Non hai ascoltato Thomas?» Senza rispondergli, abbasso finché posso la manica fino al polso. Non sono abbastanza brava a nascondere queste cose: mio padre è la seconda persona ad essersene accorto in dieci minuti. Papà continua, senza aspettare una risposta da parte mia che non arriverà mai. «Credo che tu ti stai ribellando un po' troppo. Entri nel mio ufficio senza permesso, mi prendi in giro davanti ad una persona finita nei guai, non ti impegni con Thomas. Qualcosa non va, Autumn cara?»

La verità è che sono stanca. Forse essere il burattino di mio padre e di Thomas non mi va più bene; forse vorrei ritornare la ragazza che aveva una madre e che si sentiva normale, senza sensi di colpa e un padre che le diceva passo per passo cosa fare della sua vita. «Mi dispiace.» Mi costringo a dire, mordendomi l'interno della guancia in modo da farmi venire le lacrime agli occhi e fingere di essere mortificata con mio padre. A quanto pare funziona.

«Perché ti ha fatto quel livido?» Mi prende il bicchiere dalle mani e lo porta in cucina, però continuo a vederlo, dato che è la porta affianco. Chiudo gli occhi, frustrata. Chi glielo spiega che non volevo andare per la seconda volta in una settimana a casa sua? Alla fine dico esattamente questo: «ieri non volevo andare a casa sua». Mio padre ritorna in salotto. Ha un sorriso provocatorio sul viso, come se stesse per farmi il torto dell'anno. E forse è proprio così. Non so mai cosa aspettarmi da lui; prende decisioni per me senza consumarmi e me le dice quando è già tutto pronto. Un giorno verrà qui a dirmi che mi dovrò sposare con Thomas. Il solo pensiero mi mette i brividi. «Tra poco sarà casa vostra, Autumn.»

«Che cosa?» La mia voce è roca, quasi mi avessero dato un pugno in pieno stomaco. Mi sento un po' così, in verità. Vivere con Thomas è l'ultima cosa che voglio, dopo sposarlo, ovviamente.

«Credo che vivere insieme vi farà bene. Ormai siete insieme da un po'.» Il cuore si ferma con i battiti, o almeno così mi sembra. I palmi delle mani si riempiono velocemente di sudore dovuto all'ansia e al nervosismo. E nella mia testa c'è solo un pensiero: no. Vivere con lui sarebbe un incubo, se non di più. Stare insieme a lui ventiquattro ore al giorno, dormire nello stesso letto, cenare ogni sera insieme, condividere il bagno... mi viene la pelle d'oca al solo pensiero.

«Non stiamo insieme da neanche un anno. Non puoi aspettare almeno l'anno prossimo?» Incrocio le braccia al petto e spero che la mia voce non mi tradisca. Fortunatamente esce decisa e non tremolante come mi sento in realtà. Mio padre assottiglia gli occhi, lasciando che la sua espressione di divertimento finto diventi seria. Si allarga con due dita la cravatta e si schiarisce la voce. Vedo quasi le rotelle nel suo cervello muoversi per decidere cosa dirmi. O la sua mano aprirsi e colpirmi la guancia.
Mio padre non mi picchia in modo violento, né lo fa Thomas, ma alcune volte le loro mani scappano dove non dovrebbero.

Abbasso gli occhi sulle mie scarpe. No, la risposta che sta per arrivare non porterà a nulla di positivo per me. Ma, con mia grande sorpresa, mio padre mi stupisce. «Va bene, Autumn, come vuoi tu.»

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