3.

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Nel mio ufficio regna il silenzio e vorrei soltanto mettermi a braccia conserte sulla scrivania, sprofondandoci dentro. Sono stanca e vorrei andarmene. Gli occhi mi si chiudono da soli e gli sbadigli vanno e vengono.

Mi soffermo sullo schermo del mio laptop e ricordo le ricerche che mi ero ripromessa di fare.

Entro su Google e digito Damian Dobovan.

Zero risultati. Alzo gli occhi al cielo e rifletto.

Beh,un tipo misterioso e pericoloso avrebbe usato dei nomi falsi.

A tal proposito digito: omicidi seriali Sofia.

La pagina principale si riempie di scritte in neretto.

Clicco sul primo link che dice: "trovato morto ragazzo di ventisei anni".Leggo tutto l'articolo, risalente ad un mese fa. Non si sa ancora niente dell'assassino o del movente. È un caso ancora aperto.

Continuo la ricerca finché non mi bruciano gli occhi. Vado a pranzo,incontrando Katarina.

Mi parla ancora di Sergio, dicendomi che si sono incontrati ieri e che c'è stato qualcosa. Mi meraviglio della spontaneità di questa ragazza, il modo in cui mi parla e come si confida con me, pur non conoscendomi così bene.

Non le dico nulla riguardo Bucarest, né di Damian ma soprattutto non le dico che nascondo un ragazzo nel mio scantinato.

Perora queste informazioni rimarranno soltanto mie, nella mia testa.

Non so nemmeno se Damian è il suo vero nome. Dopo il lungo e inesorabile turno di lavoro, torno a casa passando prima dal garage.

Lui è lì, praticamente immobile nella stessa posizione in cui l'ho lasciato. Siede sul sacco a pelo armeggiando con un pezzo di carta.

"Ciao"gli dico, ansiosa. Non faccio altro che pensare a quel sogno. Mi faun mezzo sorriso, poi torna al suo gioco.

"Dobbiamo parlare" lui ha uno sguardo torvo e alza un sopracciglio. Poi mi segue.

Andiamo in casa e lo faccio sedere sul divano. Ha ancora quel berretto abbassato sulla fronte, ma conosco ormai bene ciò che nasconde. Due grandi occhi azzurri che ipnotizzano, penetrano nella mia anima come nei miei incubi.

"Vorrei sapere com'è andata davvero".

Alza ancora il sopracciglio.

"L'omicidio"aggiungo "...se non sei stato tu, puoi raccontarmelo". Si torturale mani. È nervoso e imbarazzato. Non è lui l'assassino,altrimenti non avrebbe reagito così. O forse, se è stato lui ad uccidere, non era nei suoi piani e quindi si è trattato solo di un incidente. Io comunque sono per la prima opzione.

I serial killer li riconosci. Hanno tutti, o quasi, la morte negli occhi. Lo sguardo cupo e spento, l'atteggiamento da asociali e violenti.

"Non sono stato io" ribadisce. Poi mi guarda. C'è tristezza nei suoi occhi, con un lieve accenno di innocenza.

Annuisco e lo osservo. Una goccia di sudore gli scende sulla tempia, mentre serra le labbra. "Parlamene".

"Mi hanno incastrato" si limita a rispondere. "Ero lì e,improvvisamente ho udito dei rumori dall'esterno".

"Chi è morto?" domando. Damian abbassa la testa, torturandosi le mani.Dondola su sé stesso, poi scuote la mano davanti a me.

"Non voglio più parlare". Annuisco, incapace di insistere. Mi giro,avanzando verso la mia camera.

"Aspetta"dice lui. Lo guardo ancora. Ha una pessima cera e uno sguardo triste.

"Sei molto gentile con me, pur non conoscendomi". Sorrido.

𝐃𝐚𝐦𝐢𝐚𝐧 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora