Capitolo 18.

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Le mie gambe si rifiutavano di proseguire oltre.

Il mio respiro era pericolosamente affannato, e il mio cuore batteva all'impazzata. Nessuno mi aveva seguita, adesso ero sola in quell'enorme piazza. Mi guardai intorno mentre cercavo di calmare il mio corpo dall'estrema fatica. Era tutto buio, tranne una panchina poco più infondo illuminata dalla luce fioca di un lampione.

Decisi di sedermi per un'attimo, di certo non sarebbe successo niente, Adair era ferito, e in quella piazza non c'era anima viva oltre a me.

Mi sedetti stringendomi nel mantello, il vento freddo e la neve mi stavano congelando dentro, mi ero dimenticata quanto fosse freddo l'inverno, in realtà mi ero dimenticata quasi tutto del mondo esterno.

Nonostante l'assenza di un posto sicuro, di cibo e di calore ero felice di essere riuscita a scappare da lì. Adesso potevo finalmente riscoprire quel mondo mi era stato malamente portato via.

Cominciai a guardare la piazza attentamente, la fontana centrale, abbellita e decorata con rose in rilievo, i pali per legare i cavalli al lato della strada, i piccoli lampioni che emanavano una luce debole e tanto verde, quella pazza era immersa nell'erba.

In tutta quella perfezione però qualcosa dentro di me non andava, una piccola parte di me mi stava urlando di indarmene, non mi sentivo al sicuro, anzi, mi sentivo osservata.

Che cosa poteva mai succedere in una piazza a sera non ancora inoltrata? Forse Londra non era cosi male come la descrivevano.

Cercai di scrollarmi di dosso quella sensazione, e mi appoggiai con la schiena alla panchina, quel vestito era diventato pesante per colpa della neve che vi ci scioglieva sopra e il freddo mi uccideva, ma, nonstante tutto ciò trovai comunque l'occasione di riposare finalmente gli occhi, il corpo, e la mente.
___

Adair's Pov.

Piccola lurida sgualdrina.

L'avrei presa prima o poi, sarebbe tornata da me strisciando come un verme, ne ero sicuro.

Come avrebbe potuto sopravvivere a Londra tutta sola, senza una sterlina, senza un tetto o del cibo?.

Me ne convinsi mentre Christopher mi medicava la ferita, bruciava, ma nulla era in confronto alla rabbia che provavo in quel momento. L'idea che mi avesse fatto una cosa del genere mi faceva uscire di testa.

- Stai fermo! - Sbraitó Christopher strattonandomi la spalla.

Mi girai di colpo.

- Come puoi pretendere che stia fermo cazzo! -

Lui mi guardó con un'alone di dispiacere e tristezza.
Prese la sedia che era accanto a me e la piazzó di fronte alla mia, per poi sedersi e guardami dritto negli occhi.

- Che cosa stai facendo Adair? Che cosa stai diventando? - mi domandó con tono serio, è preoccupato.

- Non so di cosa stai parlando - Spostai lo sguardo alla bottiglia di Wisky, avevo una grande voglia di bermi un bicchierino.

- No - Tuonó girandomi il viso - Adesso non bevi, guardami negli occhi e dimmi, che cosa stai diventando?! - Urló.

L'aumento del suo tono di voce mi fece scattare una piccola vena di ira, odiavo quando qualcuno alzava la voce con me, anche se a lui volevo bene.

- Quello che sono! - Urlai a mia volta.

- No! - mi diede uno schiaffetto per punirmi della mia risposta.

Lui era l'unica persona che poteva alzare le mani su di me.

- TU NON SEI QUESTO! -

Vedevo la rabbia scorrergli negli occhi, la carotide gli pulsava violenta nel collo, la potevo intravedere dalla camicia bianca semi sbottonata.

- Che cosa ne sapete voi di quello che sono io? - Domandai con un tono di appena sufficienza.

Lui rimase interdetto.

- Che cosa ne so? - Domandó quasi incredulo.

Lui lo sapeva perfettamente chi ero, lui sapeva ogni cosa. Era sempre stato il mio redentore quando sbagliavo e cercavo aiuto, ma l'aiuto avevo smesso di cercarlo da tempo.

- Sono il tuo migliore amico, ti ho appoggiato anche quando non avrei dovuto, ti ho aiutato quando eri nei guai, io ti conosco molto bene.
So chi sei, so chi eri, ma non riesco più a sapere cosa diventerai. -

Le sue parole mi stavano facendo male, ed era molto tempo che le parole non mi facevano male.

- Adair, dov'è finito il marito amorevole e il padre soggiogato dal figlio? - Domandó abbassando di qualche tono la voce, come se in realtà mi stesse supplicando di capire.

Io avevo capito da molto tempo, ma non c'è peggior sordo, di chi non vuol sentire.

Alzai la testa mentre il mio cuore esplodeva parole che non riuscivo a pronunciare.

- È morto con loro Christopher, io mi sono arreso, fallo anche tu -

Scosse la testa.

- Sai benissimo che non è vero. -

Risi.

- No? Guardami. - aprii le braccia.

- Guarda quello che sono, un'uomo senza uno scopo, un'uomo vuoto. -

Si avvicinò a me e mi mise entrambe le mani sulle spalle.

- Tu sei tutto, tranne che un'uomo vuoto. -

Lo spintonai.

- IO STO BENE! - Urlai.

- SMETTILA DI RIPETERLO! Io non ci riesco più a vederti andare a fondo -

- Non mi vedrai, perché ci sono già sul fondo. -

____

Continuavo a tirare fumo dal Narghilè accanto a me, mentre stavo seduto per terra.

Ormai non sentivo nemmeno più il freddo pavimento di marmo sotto di me, ma solamente un grande vuoto nel petto.

Nella mia testa scorrevano mille pensieri, mille parole, ma non c'era lei, quelle parole adesso erano destinate a rimanere chiuse dentro di me, mentre mi divoravano ogni giorno di più.

Fumavo.
Fumavo ma non riuscivo a vederla.
L'unica cosa che vidi fu l'immagine di Lanore, sola nelle città di Londra, congelata dal freddo invernale e dalla neve.

Non era ancora tornata, ormai erano passate più di quattro ore, e a dire la verità, cominciavo davvero a preoccuparmi.

Da una parte sapevo benissimo che Lanore era forte, fin dal suo arrivo fui consapevole della sua forza, ero sicuro che avrebbe potuto superare tutto, qualsiasi ostacolo, lei e stessa.
L'avevo messa alla prova molte volte, e spesso molto duramente, ma non aveva mai ceduto.
Per quanto poteva essere spaventata là fuori, sapevo che ce l'avrebbe fatta.
Lei combatteva, io no.

Mi alzai di colpo e diedi un violento calcio all' Arghillè rovesciandone tutto il contenuto.

Nonostante la mente annebbiata, la ferita dolorante e il corpo insicuro decisi di uscire di casa, l'avrei cercata, ovunque, e per tutto il tempo necessario, ma l'avrei riportata a casa, da me.

Uscì di corsa, non sentivo freddo nonostante non mi fossi messo il cappotto, l'oppio mi aveva inibito tutti i sensi, non riuscivo a sentire nulla se non il bisogno di stringere quella ragazza, quella ragazza bionda, quella ragazza bionda e testarda, quella ragazza per me speciale.

Vagai in quello che mi sembrava l'inferno sceso in terra per via della droga, quando sentì un'uomo provenire da poco vicino al punto dove mi ero fermato.

Quella era Lanore, conoscevo bene le sue urla di terrore.

Corsi immediatamente verso quella voce, e quando la vidi mi bloccai.
Stava a terra, si dimenava mentre un'uomo la teneva costretta a terra. Aveva un coltello in mano.

Nessuno poteva toccarla.
Lei era mia, e l'avrei dimostrato.

Il Patto. (Amore proibito)  { IN REVISIONE}Where stories live. Discover now