12. Come se t'importasse.

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Come se t'importasse.

ARIZONA'S POV

Varco la soglia di casa trattenendo un respiro, che lascio andare nel momento in cui la porta mi si chiude alle spalle e sono così stanca delle giornate che mi riempiono la vita che se adesso dovessi ascoltare l'istinto, comprerei volentieri un biglietto aereo di sola andata verso una meta qualsiasi, pur di evadere da questo posto infernale.

L'esame di chirurgia toracica è fortunatamente andato bene, tanto che momentaneamente accanto in un piccolo angolo del cervello l'argomento, giusto per fare spazio al prossimo che dovrò poi affrontare. Solo, non oggi.

Mi spoglio poi del cappotto, abbandonandolo sul bracciolo del divano con noncuranza e nel momento in cui accendo il lettore musicale, le note riprodotte da Ludovico Einaudi riempiono immediatamente il salotto.

E finalmente posso tornare a vivere, come se tale melodia fosse cibo per la mia anima.

Lascio che la poltrona in velluto inglobi il mio corpo e mi rilasso, ascoltando I giorni.
E quando socchiudo le palpebre mi sembra di riuscire a toccare ogni singola nota, le quali ballano per la stanza come se non esistessi più.

Dopodiché alzo ulteriormente il volume, grazie al telecomando che stringo nella mano e mi si azzerano completamente i pensieri; mi stringo le gambe al petto come se potessi tornare nel sacco amniotico di mamma e cerco di riflettere, su tutto e niente.

Perché vorrei urlare a perdifiato il mio umore, la mia tristezza e tutta la mia disapprovazione, ma non posso. E sarei una bugiarda se dicessi che la vita non sia stata clemente con me, dato che ho degli amici su cui contare, una casa in cui abitare ed un ragazzo decisamente sopra le righe che mi corteggia senza sosta, ma forse il fulcro centrale del mio malumore è che questo non mi basta più.
Oppure non mi è mai bastato.

Cade il silenzio e la melodia cambia.
Adesso le note che aleggiano nell'aria sono quelle de Le onde e potrei riconoscerle tra mille mila spartiti differenti.
Perché sanno di casa, di amore e quando serro definitivamente le palpebre mi sembra d'essere ancora a Philadelphia, insieme ai miei genitori.

Posso sentire il calore che le braccia di mamma mi trasmettono, quando mi avvolgono e riesco persino a odorare il profumo della cena che sta cucinando papà, rigorosamente a base di carne.
Capto anche il più insignificante dei rumori, come la forchetta che tintinna contro la padella ed il petto di mia madre che si gonfia contro la mia guancia; fulminea una lacrima mi riga la gota leggermente arrossata, però mi affretto ad asciugarla come se qualcuno potesse vedermi e giudicarmi, ripetendomi che sono forte e che devo farcela, malgrado il potente attaccamento alla mia famiglia m'impedisca di vivere bene la situazione che sto affrontando da anni, ormai.

Inizia un'altra canzone. Una mattina. Ricordo quando papà l'ascoltava a tutto volume ed in casa si respirava null'altro che gioia, che subito diventava allegria quando si metteva seduto al pianoforte e tentava di riprodurre tali note, ma senza nessun tipo di risultato e ricordo quando mi diceva che senza la musica, l'essere umano non è niente, se non un granello di polvere in un tornado d'angosce e sorrido, perché mi pare di udire la sua voce pronunciare quelle parole.

E aveva ragione, lui ha sempre ragione.

Nuvole bianche. Le dita mi pizzicano al ricordo di quella precisa melodia, che imparai spronata da papà in un freddo pomeriggio invernale.
Era difficile e tremendamente complicata, mi sembrava che le note si prendessero gioco di me, ma nel momento in cui le aprii tutto il mio cuore divenne tanto semplice che l'appresi senza più alcuna difficoltà.

ThunderWhere stories live. Discover now