26. Partenze.

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Partenze.

ARIZONA'S POV

Mi perdo a osservare la valigia pronta sul letto, quando io invece non lo sono affatto.

È arrivato quel periodo dell'anno, quello in cui torno a casa dai miei genitori a Philadelphia e resto in città una manciata di giorni, per condividere con loro un po' di prezioso tempo.

Senza più indugiare chiudo la zip che sigilla il bagaglio e metto la sicura, in modo che nessuno possa frugarci dentro in aeroporto e mi dirigo in soggiorno, facendo mente locale per verificare di aver preso tutto il necessario per affrontare al meglio i giorni a venire.
Osservo per l'ultima volta il mio appartamento londinese e dopo aver preso coraggio mi chiudo il portone d'ingresso alle spalle, ma prima d'inoltrarmi nella cabina dell'ascensore rivolgo ancora una rapida occhiata in direzione di casa di Thomas, con un ingombrante e pesante macigno ad appesantirmi lo stomaco.

«Mi mancherai tantissimo, lo sai... vero?» Tom mi circonda il collo con un braccio, stringendo il mio busto contro il suo e gli accarezzo la fronte imperlata di sudore, dato che abbiamo appena finito di fare l'amore. Siamo ancora nudi, petto contro petto, cuore contro cuore, anima contro anima e non potrei assolutamente chiedere di meglio. Però un profondo senso di tristezza mi appesantisce il cuore, quando realizzo che non lo vedrò per troppo, davvero troppo tempo.

«Anche tu, vorrei che partissi con me...» riprovo a domandarglielo, siccome durante la serata mi ha sempre risposto negativamente.

«Lo sai che non posso... però vorrei.» mi lascia un bacio a fior di labbra. «Non sai quanto.»

E nel momento in cui le porte metalliche dell'ascensore mi si chiudono davanti alle pupille lascio andare un profondo sospiro, che nemmeno mi ero resa conto di star trattenendo, decidendo di lasciare a Londra tutte le preoccupazioni riguardanti Harry e gli studi, ma una persona in particolare non vuole proprio abbandonarmi la mente: Thomas.
Solitamente sono felice di partire, ma quest'anno è diverso in quanto devo lasciare qui un pezzetto del mio cuore, quello più ingombrante e dato che so già che mi mancherà terribilmente ho messo in valigia una maglietta intrisa del suo profumo, in modo da poterla stringere nelle notti in cui la sua mancanza si farà sentire maggiormente, così potrò immaginare di essere tra le sue braccia al posto di essere stesa, sola, nel mio piccolo lettino d'infanzia.

Esco in strada a testa bassa, attendendo che il taxi che ho prenotato si palesi, il quale non tarda ad arrivare.
L'autista mi aiuta a caricare il bagaglio nel baule e mi accomodo nei sedili posteriori, con un lieve senso di malinconia a rattristirmi nel momento in cui imbocchiamo la strada verso Stansted, più lunga del previsto.
Mi accascio contro lo schienale imbottito e scruto una Londra ancora piuttosto addormentata, mentre il gracchiare della radio fa da sottofondo e spezza il silenzio calato nell'abitacolo.
Il sole sta facendo capolino nel cielo plumbeo, ma è ancora troppo timido per mostrarsi e quindi si nasconde dietro ad un cumulo di soffici cirri.

«Sta bene, signorina?» chiede timidamente il signore alla guida, facendomi sospirare. Sconsolata gli rispondo. «Mai stata meglio.»

*

Varco la soglia dell'aeroporto con quasi le lacrime agli occhi, però cerco di farmi ancora coraggio ed il rumore delle ruote della mia valigia mi scortano attraverso questi immensi spazi, ricolmi di persone che vanno e che vengono, che partono o che sono appena arrivate.
C'è una frenesia che può caratterizzare solamente un aeroporto, un clima spensierato ed angosciato e felice e triste allo stesso tempo, che mi sferza in tutta la sua potenza.

E mentre mi dirigo al check in m'imbatto in una ragazza della mia età forse, che abbraccia quelli che penso siano i suoi nonni, vista l'età dei due.
Si stringono a vicenda e non riesco a non immedesimarmi in loro, quando sono partita per Londra insieme alle mie insicurezze, oltre che una buona dose di paure a cui poi ho guardato in faccia e affrontato, superandole a testa alta.

ThunderOnde histórias criam vida. Descubra agora