Epilogo

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Con quale coraggio il mondo coreano osava chiamare "caffè" quella brodaglia chimica ottenuta da del granulato di dubbia provenienza e acqua riscaldata nel microonde?

"Caffè, certo", pensò Suga sprezzante.

Si appoggiò coi fianchi al ripiano della cucina e si specchiò nel liquido marrone. Una sottile schiuma torbida emerse dai fondali fangosi della tazza e nascose il riflesso del suo volto schifato. Una volta che si ha avutola fortuna di provare un prodotto top di gamma, è difficile (se non addirittura impossibile) tornare alla mediocrità che un tempo si considerava ordinarietà.

Avvicinò l'orlo della tazza alle labbra e ingoiò un sorso di "caffè".

Insapore, fluido come acqua, tiepido.

Non aveva niente a che vedere con l'esplosione di aroma e gusto che, almeno una volta al giorno, era solito colpirlo in Italia.

Sospirò con disappunto e lasciò la tazza nel lavabo, ancora piena. La mattina seguente qualcuno (senza fare nomi, Jin) avrebbe sicuramente avuto da ridire sulla stoviglia sporca abbandonata, ma era giusto che tutti venissero messi al corrente della sua opinione: il caffè idrosolubile è una schifezza, un'offesa nei confronti dell'Italia.

L'Italia, già.

Cazzo se gli mancava.

Il suo sguardo scivolò per terra, andando a nascondersi sotto le sue pantofole. Sentì lo stomaco contrarsi e farsi di pietra mentre la forza di gravità si accaniva con spietatezza su di esso. Era come se dentro al suo corpo qualcuno o qualcosa si aggrappasse con disperazione alla sua gola, cercando di trascinarlo verso il basso per poter risalire e uscire dalla voragine di triste rimpianto che si era spalancata nel suo petto quando era tornato a Seoul.

Suga strinse le labbra e chiuse gli occhi, massaggiandosi il setto nasale con due dita.

Mettersi l'animo in pace era più dura del previsto.

Aveva scritto, composto, cantato e pubblicato la canzone nella vana speranza di raggiungere Delia. Voleva che sapesse cosa aveva provato durante il soggiorno in Italia: quella valigia di sentimenti era un bagaglio troppo pesante per essere portato da una sola persona. Non aveva modo di sapere se lei l'avesse ascoltata o meno; sotto un certo punto di vista, era come se avesse scritto una lettera d'amore, l'avesse chiusa dentro una bottiglia di vetro e l'avesse lanciata in mare aperto, alla cieca. Le probabilità che la sua canzone avesse raggiunto le orecchie della ragazza italiana erano basse, ma Suga aveva riposto tutte le sue speranze e aspettative su quella persona che, durante la sua permanenza in Toscana, gli aveva procurato solo ansie e paure: Azzurra. Comico come adesso una figura tanto pericolosa come quella di un'ARMY si fosse trasformata nella sua unica speranza.

"Basta", pensò scuotendo la testa con forza.

Si scrollò di dosso la malinconia e ciabattò fuori dalla cucina. Spense la luce, attraversò il salotto con passo pesante e si diresse verso lo studio. Scivolò al suo interno come un fantasma.

Muoversi e lavorare di notte era diventata la sua specialità. Namjoon e Seokjin lo avevano ripreso più volte, riempiendogli la testa con le solite inutili preoccupazioni: "Non fare tardi", "Non affaticarti", "Ricordati del Lotte Family Concert", bla bla bla. 

Da quando "Guardami come se fossi Dante Alighieri" era uscita, RM si era come sdoppiato: di giorno e in pubblico era il solito e perfetto leader, organizzatissimo e ligio al dovere; non appena calava la notte e i ragazzi si ritiravano nell'appartamento, si trasformava in un essere divorato dall'ansia dello scandalo e sempre pronto a fulminare Suga con lo sguardo. Era inquietante assistere al suo sdoppiamento di personalità. Negli ultimi giorni, però, Namjoon sembrava essere riuscito a ritrovare un equilibrio, e ciò aveva tranquillizzato Suga. D'altro canto, nessuno degli altri compagni sembrava essersi reso conto di cosa rappresentasse veramente quella canzone.

Guardami come se fossi Dante Alighieri [Min Yoongi]Where stories live. Discover now