XXVI

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Gennaio, 2005

Un ragazzo pronto a lasciare la sua vita precedente cominciò a fare i bagagli, quel ragazzo era Stefano Manetti, ormai diciottenne.

Ritornare al mondo esterno, dopo anni in un convitto, gli faceva paura, ma allo stesso tempo aveva voglia di tornare alla vita, di farsi dei buoni amici e se possibile, continuare gli studi.

La preside gli aveva lasciato una lettera di raccomandazione per l'università come miglior studente dell'istituto, così avrebbe potuto accedere più facilmente, grazie alle conoscenze della donna, in almeno tre delle cinque università della Sicilia. Inoltre, se fosse riuscito a mantenere alti i suoi voti, avrebbe avuto accesso alla borsa di studio.

Il suo pensiero slittò irrimediabilmente anche su Michele, dall'ultima volta che l'aveva visto erano passati più di due anni. Dopo l'aggressione il padre di Giorgio fu costretto a sporgere denuncia contro ignoti, visto che Michele aveva cambiato cognome da tempo. Si chiese se si fosse ricordato di lui, se fosse stato fuori da quel cancello ad aspettarlo. Doveva ammettere che in effetti il ragazzo aveva mantenuto la sua ultima promessa, infatti non avevano mai più smesso di scriversi. Era anche riuscito a convincerlo a tornare all'università, dove finalmente si era deciso per la facoltà di architettura.

Dall'ultima volta che l'aveva visto, anche lui era cambiato. La sua pelle era sempre diafana e rimaneva comunque altissimo, ma aveva preso peso, cominciando anche ad allenarsi, sebbene con non notevoli risultati.

Si diresse verso l'ufficio della preside, una volta finito di fare i bagagli. Ripercorse tutti i corridoi, seguendo percorsi più lunghi e articolati, per rivivere tutti i momenti felici passati lì, la maggior parte legati al periodo in cui c'era anche Michele. Ricordò Stacey, quasi rivedendola nel cortile, con quella sua risata squillante che lo fece sorridere e quella voglia di vivere impressa negli occhi luminosi. Ricordò le lunghe ore perse sui libri, la sua prima festa di compleanno in quel posto, la gelosia verso il suo migliore amico. Continuò a camminare, percorrendo tutti i corridoi e quando finalmente fu fuori dall'aula della preside si fermò, con un leggero affanno.

Non aveva corso ma era teso, quella era l'ultima formalità prima di andare via.

🔸

"Non capisco, perché mio padre è qui?" il ragazzo era sorpreso. Ormai erano anni che suo padre non si faceva più vedere.

"Beh, mi sembra ovvio, tu stai per lasciare l'istituto"gli ricordò la preside. Stefano prese posto accanto all'uomo che aveva il suo stesso sangue, ma con cui aveva ben poco da spartire. Notò che era molto cambiato, i capelli diradati sulla fronte e bianchicci, il fisico smagrito e la barba incolta, in generale sembrava una persona trasandata e sciatta, Stefano stentò a riconoscerlo.

Dopo le formalità, i due lasciarono l'ufficio della preside, rimanendo però nel cortile. L'ultimo dei suoi pensieri era lasciare quel posto sotto braccio del padre, così si sentì in dovere di chiedergli il motivo reale della sua presenza quel giorno.

"Beh, non potevo rifiutarmi, poi credo sia arrivato il momento di darti questa"

Una lettera, l'ennesima lettera della sua vita. Stefano la prese titubante. Era ingiallita e stropicciata, come se fosse stata letta molte volte e poi in fine lasciata a marcire in un angolo.


Caro Matteo, ti scrivo questa lettera non per spiegarti i miei motivi, ma solo per darti alcune direttive che dovrai seguire, se non vuoi perdere tutto.

Stefano non deve crescere con te, entrambi sappiamo che non riusciresti a gestirlo nel modo giusto, hai intuito la sua reale natura, quindi ho predisposto tutto per far si che entrambi possiate avere il miglior futuro possibile.

Dovrai lasciare Stefano all'istituto "Figlio del rinascimento", all'indirizzo che troverai alla fine di questa lettera, loro sapranno cosa fare. Non dovrai preoccuparti del costo, perché ho già provveduto a tutto io, pertanto contatta l'avvocato Giulio Gentili e ti spiegherà nei dettagli ogni cosa. Inutile dirti che Stefano non dovrà mai sapere di questa lettera.

Per quanto riguarda noi due, spero davvero che riuscirai a trovare la pace, un giorno.

Tara.


Quando Stefano lesse la lettera che suo padre gli aveva dato cominciò a tremare senza controllo. Guardò il cortile dell'istituto, dove solo lui e suo padre rompevano il silenzio della natura che li circondava. Gli alberi frusciavano nel vento, il ragazzo riuscì perfino a scorgere dei passanti fuori dal cancello principale, come se volesse essere ovunque tranne che in quel punto, con Matteo.

"So che è difficile, ma tua madre sapeva cosa...sei, ha solo trovato una soluzione al nostro problema."

Il ragazzo non riuscì davvero a dire nulla, continuava a guardare nel vuoto, sperando in un segno divino che potesse scuoterlo e riportarlo alla realtà, si sentiva soffocare, come se fosse sott'acqua.

Oltre a questo, il palese rifiuto dei suoi genitori verso la sua natura gli fece venire il vomito. Lui non aveva scelto di essere gay, ci aveva messo così tanto a venire a patti con quella consapevolezza e ora scopriva che chi l'aveva generato lo disprezzava totalmente.

Alla fine un conato di vomito gli risalì davvero lungo la gola, finendo sulle scarpe di Matteo che fece un verso disgustato. Il petto di Stefano era sconquassato dai sussulti di un nuovo conato, sempre più forte del precedente, che il ragazzo non riuscì a fermare. Gli occhi presero a lacrimargli, il naso gli colava, ma il disgusto più grande lo provò verso se stesso. Per tutto il tempo che aveva perso a farsi la guerra, a cercare di cambiare la sua natura.

🔸

Si congedarono dopo poco, Stefano gli disse di non volerlo rivedere mai più, Matteo annuì, senza nessuna emozione. Aveva ormai capito che quel figlio non era niente per lui, l'aveva accettato e aveva fatto pace con se stesso.

Lasciò quel luogo, per dirigersi alla sua macchina. Nel tragitto intravide un ragazzo dall'aria conosciuta, ma gli passò davanti senza salutarlo.

Attraversò la strada e vide un bambino intento a giocare nel parco, doveva avere sui sei anni. Poco lontano la madre gli fece cenno di non allontanarsi, probabilmente notandolo e ritenendolo inquietante.

Erano due mesi che non sentiva l'odore del sangue, due mesi che la sua malattia sembrava assopita, ma in quel momento, in quel parco, dopo che suo figlio l'aveva scacciato, sentì di nuovo la sensazione alla nuca che lo spingeva a commettere delitti.

Spinto da quella sensazione si avvicinò alla donna del parco, per chiederle l'ora.

CoscienzaWhere stories live. Discover now