XIII

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"Lascia che te lo dica oggi quanto ti voglio bene, quanto tu sei stato sempre per me, come hai arricchito la mia vita. Tu non puoi misurare ciò che significhi. Significa la sorgente in un deserto, l'albero fiorito in un terreno selvaggio. A te solo debbo che il mio cuore non sia inaridito, che sia rimasto in me un punto accessibile alla grazia" - Hermann Hesse.

Stefano tornò dalla sua classe, dopo la lezione di scienze; aveva due ore libere per potersi riposare e magari pranzare in tranquillità.
Corse nell'ala del dormitorio dove si trovava la sua stanza, a quell'ora era semideserta: praticamente il paradiso.
Il ragazzo posò la cartella in un angolo e si gettò sul letto, sprofondando con la faccia nel cuscino.
In quei pochi attimi liberi ripensava alla sua vita, a quale direzione stesse prendendo.
Aveva sua madre, l'amore della sua vita, morta.
Una morta che però voleva ancora dirgli qualcosa!
Poi c'era suo padre, schivo, freddo, quasi anaffettivo, che l'aveva mollato senza troppe cerimonie.
Vi era Fiona, che era come una ventata di freschezza in tutto quel grigiume.
Lei lo aiutava sempre, con buoni consigli e grandi verità, era l'unica a sapere della sua omosessualità e anche l'unica che l'accettava, visto che Stefano stesso non lo faceva.
Si chiedeva in continuazione perché fosse successo proprio a lui, quale scherzo volesse giocargli il destino questa volta, per vederlo soffrire ancora.
Si rigirò sul letto, stavolta fissando il soffitto.
E poi c'era Michele.
Lui era tutto quello che Stefano non poteva mai ammettere, era il peccato più grande che avrebbe mai potuto commettere.
Sarebbe mai riuscito a confessargli tutto?
E lui, l'avrebbe accettato?
Dubitava fortemente che sarebbero finiti insieme, quindi perché rivelarsi, per soffrire senza motivo?
Non era colpa di Michele se lui provava questi sentimenti, tanto forti da fargli tremare le mani solo pensando a lui.
Chissà se ogni tanto anche lui lo pensava, se anche a Michele tremavano le mani.
Scosse la testa e nel farlo, notò una busta che nella foga di gettarsi sul letto gli era sfuggita.
Si sporse oltre il letto, troppo pigro per alzarsi, e prese la lettera dalla scrivania.
Probabilmente era stata Stacey a portargliela in camera.
La rigirò tra le mani e seppe di chi era.
Il fiato si affievolì, e la salivazione si azzerò completamente, mentre estraeva il contenuto della busta.
Vi erano varie foto e dietro ognuna di essa una breve descrizione del posto che raffiguravano: erano istantanee.
In tutte erano dieci.
Il duomo di Milano, una fortezza medievale che Stefano riconobbe come castello sforzesco e diverse foto di negozi tipici vari.
Nell'ultima foto c'era lui.
Stefano deglutì a vuoto, cercando di non essere troppo patetico, ma già poteva sentire gli occhi inumidirsi di lacrime.
Era un autoscatto fatto in un bar, lui sorrideva ma il sorriso non arrivava agli occhi, che sembravano malinconici.
Corrugò la fronte e si decise ad aprire la lettera.
Gettò un'occhiata all'orologio, per sincerarsi se il tempo a sua disposizione prima delle lezioni fosse sufficiente, poi cominciò a leggere:

"Ciao,
stavolta non so davvero cosa dirti, cosa dire a tutti voi.
Ho letto tutte le vostre lettere, la malinconia di Stacey e il mio nuovo nome.
Perché mi hai dato il tuo cognome?
Non ci avevo pensato e non credevo ci pensassi tu.
Qui la vita è molto veloce, un gran caos, proprio come me, in questo momento.
Sono seduto al tavolino di un bar (ti ho allegato una foto) ma non so se è davvero questa la vita che voglio.
L'avvocato mi ha svelato il mistero: Mia madre mi ha lasciato in istituto appena nato, ma lo ha fatto assicurandosi che non mi mancasse nulla.
Questo mi ha fatto a pezzi.
Sono spezzato Stefano, completamente distrutto.
Se mi ha lasciato dei soldi è perché mi voleva bene, non avrei mai pensato all'eventualità che abbia dovuto lasciarmi lì per forza, ma da quando l'avvocato mi ha lasciato la sua lettera...
Non so, non so più niente."

Nient'altro.
Stefano ripiegò la lettera con cura, rimettendo tutto nella busta. Poi prese una penna e così come faceva sempre con le lettere di Michele la datò, dandogli un nome, che in quel caso era: Malinconia.

🔸

Le sette del mattino.
La sveglia non aveva intenzione di cessare il suo frastuono assordante, così Michele si costrinse ad alzarsi.
Si trascinò fino al bagno dove cercò goffamente di vestirsi.
Si gettò sotto la doccia, dove sperava che i suoi pensieri aggrovigliati si sciogliessero.
Sua madre lo amava, di questo era ormai sicuro.
La lettera che gli aveva scritto tanti anni prima ne era la prova lampante.
Ma questo, invece di accrescere la sua felicità, accrebbe la tristezza per quella madre perduta per sempre.
Invano aveva chiesto all'avvocato se avesse informazioni su di lei e potesse rintracciarla, sua madre sembrava sparita nel nulla.
L'unica cosa che sapeva di lei era che era molto giovane quando l'aveva avuto e che si chiamava Sophie, Sophie Bonaccorso.
Non avrebbe cavato un ragno dal buco se non fosse tornato a Trapani e in quel momento non poteva lasciare l'Università alla quale si era iscritto.
Sbuffò, rendendosi conto che la doccia non aveva sciolto le mille domande che gli facevano fumare il cervello.
Uscì dalla doccia e si vestì; le sette e trenta.
Alle nove aveva lezione, così si concesse anche una colazione abbondante, per com'era con l'umore preferiva concedersi cibo extra.

🔸

" 'Ciao' mi sembra una parola troppo vaga, non trovi?
Penso che la tua malinconia non sia ben mascherata da quel sorriso finto.
Oggi ho avuto un bel voto in biologia e mi sei venuto in mente, la Lorenzini non è stronza come dicevi, eri solo tu a essere una capra!
È vero, Stacey sta molto male senza di te, non sembra la stessa persona.
Spesso si isola e ha i suoi momenti di chiusura, ma per lei manca poco.
Probabilmente ti raggiungerà lì a Milano, oppure andrà a Torino a cercare dei suoi parenti, vecchi zii dice lei.
Il vero problema per me nascerà quando anche lei andrà via.
Sai, è stata una roccia, ci ha sorretti tutti in tua assenza, ma anche lei ha bisogno di qualcuno e sai di essere tu il prescelto.
Mi spiace non avere foto da allegarti ma conosci le regole del dormitorio, inoltre non potrei nemmeno permettermi un rullino, figuriamoci una fotocamera!
Ti lascio però con l'immaginazione della signora delle pulizie che due giorni fa fece scivolare la direttrice, quella sì che sarebbe stata una grande immagine da immortalare!"

Stefano sperò che la lettera non risultasse troppo frivola agli occhi di Michele, ma non aveva intenzione di rattristarlo più di quanto non lo fosse già.

CoscienzaWhere stories live. Discover now