parte 20

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Quando arrivammo, Max, il cane del maneggiò ci ammonì con le sue grida. Mi ci avvicinai per farlo smettere e lui subito mi assecondò, contento. Mi scodinzolò attorno, buttandosi sulla sabbia nel buio della notte a farmi le feste, come fossi il padrone che torna a casa dopo tempo e in effetti poi, io ero davvero tornata a casa. Non la casa del mio corpo, ma sicuramente dove risiedeva il mio cuore. Lui rimase in disparte, studiando da qualche metro la sagoma chiara e pelosa di Max.
"Ci sono i cani da guardia?" chiese cercando di sembrare il meno allarmato possibile. Io risi e gli feci cenno di dimanere in silenzio.
Ci volle un po' per entrare, perchè non volevo essere sentita. Quando ci riuscimmo, lui non se ne accorse. Lo condussi per i corridoi delle scuderia. La sua paura la sentivo, quasi mi inquietava, ma nonostante questo rimaneva a qualche passo da me.
Non fu la mia voce a svelargli tutto, ma il muso di un cavallo che gli piombò stanco, sulla spalla. Lo vidi reprimere un urlo e piano impallidire e risi forte nel silenzio scuro. Lui si ritirò, con il terrore nelle pupille per poi addentrarsi con me in conoscenze singolari.
Passanno mezz'ora a toccare quegli animali che tanto amavo e desideravo.
Dopo un po' di tempo, lo ricondussi sulla strada  ancora buìa, ancora disastrata. Ci sedemmo su una piccola altura e parlammo, come se non lo avessi mai fatto camminare e non lo avessi mai fatto atterrire.
Parlammo a lungo, flirtammo, proprio come ragazzi della nostra età. Giovani, forti ed incompresi, proprio come la nostra età. Eppure, ci sentivamo grandi, avremmo potuto toccare il cielo e sfiorare la luna con le dita come il volto di una bellissima donna. Lo facemmo, la sfiorammo con le dita, seduti per terra. Filrtammo come se lo facessimo dalla nascita, ci veniva naturale punzecchiarci, darci fastidio, mostrarci anche più grandi sapendo di essere piccoli, con solo l'anima di grande. C'era tanto freddo ma non c'era paura.
Non avevamo paura della notte, entrambi amavamo troppo le libertà che ci dava.
Di notte, la gente dorme e le anime si rivelano.
Di notte, le anime si svegliano e posseggono il corpo.
Di notte, tutti sono immersi di sonno, poco attenti e noi due, amanti, potevamo amarci o provarci senza dover dar retta a niente d'altro. Potevano togliere le maschere e cadere in pezzi in tutto il nostro disastroso splendore.
Era buio pesto, ma non avevamo paura, il buio ci proteggeva, ci lasciava muovere velocemente e il vincelo, ci faceva sentire invincibili.
Era davvero tardi, ma non avevamo paura.
Eravamo bambini, ma bambini con dei cuori da leoni.
Avevamo amato troppo quei sogni infranti, divenuti stelle, per aver paura della notte.
Eravamo al gelo, è vero. Faceva davvero un freddo artico, ma preferivamo il freddo pur di essere liberi di scappare ovunque. Non avevamo confini, non avevamo limiti.
Se lui mi avesse voluta portare, io sarei andata ovunque e lui aveva fatto lo stesso.
Alla fine, divemmo tornare. Non potevamo mica perderci l'alba dal posto in cui l'avevamo resa nostra.
Tornando, cantammo, come se nessuno oltre noi esistesse, forse perchè, per noi, nessuno esisteva se non io e lui e la nostra notte che stava volgendo al termine. Cantammo, e mi adorò perchè sapevo le canzoni che metteva. Era uno sfidarci entrambi a chi sapeva ed entrambi, sembrammo sapere tutto. Per una volta, forse l'ultima... sapemmo tutto l'uno dell'altra.
Forse proprio oerchè non dovevamo conoscerci, ci conoscevamo così bene.
Giocavamo a mangiarci senza toccarci.
Fischiai forte quella notte, per farmi se tire dagli animali e lui cantò "suona il corno" di Spirit e furono risate fragorose e occhiate con pupille dilatate. Fu splendido. Alzammo le voci, urlammo alla Luna, e lei ci sentì, ci osservò. Urlammo forte e lei non si azzardò a contraddirci. Eravamo più forti della Luna.
Quando tornammo cercammo di stare in silenzio, ma anche solo il battito del nostro cuore era una canzone a volume alto in due casse umane che erano le nostre risate sommesse.

L'Alba di Caøs ed ÅrmoniåDove le storie prendono vita. Scoprilo ora